Animenta racconta i disturbi alimentari – La storia di Micol

Mi sono interrogata a fondo sulle motivazioni che mi hanno portato a voler entrare in contatto con persone che stanno vivendo un’esperienza simile alla mia. Mi sono risposta che forse ho sentito il bisogno di abbattere il muro del silenzio costruito in questi anni. Probabilmente questa necessità sottende la speranza di sentirmi meno sola e, perché no, quella di provare a dare un piccolo contributo condividendo la mia storia.

Non so bene quando è iniziata

Non so risalire esattamente al momento in cui il mio rapporto con il cibo è diventato un problema. E non credo neanche che sia esistito un fatto specifico che mi abbia portato a sconfinare nel territorio ostile dei disturbi alimentari. Forse piuttosto è stato un susseguirsi di episodi apparentemente insignificanti. Episodi che, se osservati con la lente della consapevolezza, permettono di ricostruire il puzzle nella sua estrema complessità.

Da giovanissima ero una ragazza abbastanza sportiva, ma non perché mi preoccupassi della cura del mio corpo. Non lo vedevo né come un problema né come un’attività a cui dedicare tante energie.

Ricordo che durante le scuole medie e una buona metà delle superiori sembravo estremamente più piccola di tutte le mie coetanee. Mi sono sempre contraddistinta per la mia chioma leonina informe e per un abbigliamento selezionato da mia madre. Ed era tutt’altro che in linea con le mode del periodo.

Soffrivo la discriminazione e il fatto di sentirmi sempre fuori luogo e fuori tempo. Ne ho fatti di tentativi per omologarmi ai compagni, ma spesso erano goffi e infruttuosi. Rimanevo la classica secchiona, tutto cervello e di ben poco interesse per i compagni della sua età.

A diciassette anni ho smesso di ballare perché i ritmi della scuola di danza che frequentavo da sei anni erano insostenibili. Non erano compatibili con l’impegno scolastico, o meglio questa era la scusa ufficiale.

Mi sentivo fuori posto anche nella scuola di danza in mezzo a ragazze molto meno ingenue di me per cui ho colto la palla al balzo per sfuggire dall’ennesimo ambiente nel quale non mi sentivo apprezzata.

Aver lasciato lo sport è un rimpianto che porto dentro.

Durante gli studi di ingegneria, la sedentarietà, la scarsa cura dell’alimentazione e del mio corpo in generale mi hanno portato a prendere peso. L’aspetto tristemente ironico è che non sono mai stata davvero in sovrappeso ma a quei chiletti che percepivo come in eccesso attribuivo tutta la responsabilità dei miei insuccessi: il mancato superamento di un esame, la fine di una relazione e così via.

È semplice figurarsi come il mostro rinchiuso in soffitta abbia trovato in questa condizione di fragilità il terreno fertile per fare capolino.

I tentativi della mia famiglia di supportami, seppur animati dalle migliori intenzioni, hanno paradossalmente contribuito a darmi la spinta decisiva per scivolare nel burrone. La soluzione che abbiamo adottato per aiutarmi a calare di peso è stata quella più inflazionata in assoluto: una dieta fai-da-te. Una scelta non sostenibile nel lungo periodo e che, percepita come un’imposizione, mi ha portato a seguire una dieta da fame durante i pasti principali per poi recuperare con gli interessi nei momenti di solitaria tranquillità.

Ricordo gli spuntini notturni, l’umiliazione di dover giustificare il fatto che fosse sparito un quarto del dolce della sera prima e il senso di fallimento scaturito dall’incapacità di controllarsi. Adesso so quanto sia stato stupido pretendere autocontrollo di fronte ad alcuni alimenti che, per loro natura, sono stati progettati per essere irresistibili per chiunque.

L’unica differenza è che una persona “sana” smette di nutrirsi quando si sente appagata. Una persona che si ammala perde la capacità di connettersi con il proprio corpo e di riconoscere la sensazione di soddisfazione che dovrebbe sancire la fine di un pasto.

Ricordo l’imbarazzo evidente, anche se mai verbalmente esplicitato, di mia madre nell’aiutarmi a scegliere il vestito della laurea. Nessun tubino o giacca sembravano calzarmi come avrebbe auspicato. È stato come se la luce di un riflettore si fosse posata su di me mettendo a nudo il risultato di uno stile di vita non sano per me, prolungato nel tempo. E in quel momento, in quanto visibile agli occhi esterni, non era più un fatto privato.

Ho deciso di installare una delle app per dimostrare a me stessa e agli altri di poter controllare il mio peso e che nessuna ingerenza esterna sarebbe stata ancora tollerata: da adesso in poi avrei fatto a modo mio.

Ho perso molto peso in poco tempo, con un’alimentazione totalmente sbilanciata e povera di nutrienti e un’attività fisica estrema. I complimenti delle persone che vedevano i miei “progressi” costituivano la benzina che alimentava il serbatoio di questo motore malato.

Mi hanno salvato tre elementi: la scoperta di una patologia tiroidea che mi ha obbligato a curarmi, la sala pesi e la nutrizionista a cui mi sono affidata quando ho accettato di non essere in grado di gestire da sola la mia alimentazione. L’aspetto ironico è che la professionista in questione aveva una forma fisica molto generosa, ma questo non ha costituito un problema per me, anzi, mi sono sentita capita e mai giudicata. Mi ha insegnato le basi della corretta alimentazione e mi ha spronato ad impegnarmi nella sala pesi, attività che mi appassionava da tempo, ma che praticavo solo saltuariamente anche perché non era ben vista nel mio ambiente familiare.

Oggi posso dire che la sala pesi è il mio sport e che l’allenamento ha contribuito a tirarmi fuori dalle sabbie mobili in cui ero immersa.

Non mi sento di dire che sono guarita completamente perché il rapporto con l’alimentazione è ancora complesso e mai del tutto leggero. Ora però sono in grado di vedere e dare un nome alle emozioni che si celano dietro a quei gesti che compio quando sono sotto stress.

Da qualche mese, dopo oltre sette anni, ho iniziato a mangiare senza pesare gli alimenti. Non mi obbligo a fare pasti di cui non ho voglia e non mi nego nessun piacere legato al cibo, specialmente in compagnia dei miei amici.

Godo di questi piccoli successi con la consapevolezza che hanno tutto il valore del mondo.

L’articolo è stato scritto da Micol, che ha raccontato la sua storia

Contenuto a cura di Animenta

PASTA DI SEMOLA DI GRANO DURO LUCANO

Rasckatielli

Pasta Secca 500g

Ingredienti: Semola di Grano Duro Lucano del Parco Nazionale del Pollino, Acqua.

Tracce di Glutine.

Valori Nutrizionali

(valori medi per 100g di prodotto)

Valore energetico

306,5 kcal
1302 kj

Proteine

13,00 g

Carboidrati

67,2 g

Grassi

0,5 g

Prodotto e Confezionato da G.F.sas di Focaraccio Giuseppe
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