Perché hai scelto di diventare una dei volontari di Animenta e di cosa ti sei occupat*?
Ho scelto di fare parte del team di volontari di Animenta perché sentivo che era la cosa giusta. Volevo fare qualcosa di concreto o anche solo “esserci”, perché quando “era toccato a me” avrei voluto sapere di più di quello che mi stava accadendo. Con il supporto anche di altri volontari, mi sono occupata principalmente di un breve percorso di sensibilizzazione in una scuola superiore.
Raccontaci qualcosa in più di quello che hai fatto
Assieme ad Animenta abbiamo realizzato un progetto di PCTO in un liceo. Insieme ad altre due volontarie dell’Associazione che si alternavano nell’affiancarmi nei singoli incontri, abbiamo sviluppato un percorso con un gruppo di ragazzi che hanno scelto di aderire al progetto. In ogni incontro approfondivamo un aspetto di una tematica fondamentale legata ai disturbi del comportamento alimentare, con anche il supporto di professionisti del settore. I ragazzi, poi, divisi in piccoli gruppi, hanno approfondito loro stessi ognuno una tematica facendo ricerche e cercando materiale, mettendosi in gioco in prima persona.
Cosa hai imparato? Ma soprattutto, cosa hai provato?
Ho imparato tanto, soprattutto dai ragazzi e dai loro sguardi. Ho capito quanto poco purtroppo si sappia dei disturbi del comportamento alimentare, di quanto sia necessario scavare a fondo per superare le barriere della superficialità e della disinformazione.
Ho provato tante cose: paura di non essere all’altezza, timore di essere troppo vulnerabile. Poi emozioni, tante, nel vedere cambiare lo sguardo dei ragazzi incontro dopo incontro, dolore nel vedere negli occhi di alcuni di loro la stessa sofferenza che anche io avevo provato, soddisfazione e gratitudine nel sentire dalle loro parole (alla fine del percorso) quanto fossero loro stessi soddisfatti di quello che avevamo fatto insieme.
Quali sfide hai affrontato?
È stata una intera sfida per me. Non avevo mai parlato di disturbi del comportamento alimentare in prima persona a qualcuno prima di quel momento. Mi sentivo una enorme responsabilità sulle spalle. Volevo riuscire ad usare le parole giuste, volevo dare il massimo cercando di essere precisa e corretta nel trasmettere informazioni ma allo stesso tempo sapevo di non poter zittire completamente il mio lato emotivo e vulnerabile.
Avevo paura di non essere in grado di non farmi trascinare troppo dalle emozioni che ancora premevano sotto la pelle (e non hanno mai smesso). Sono grata a me stessa per aver affrontato tutte queste paure perché questa esperienza è stata una delle cose migliori che io abbia mai fatto.
I tre motivi per cui ha senso diventare volontario in Animenta
Ce ne sono molti più di 3, a dire il vero! Se dovessi riassumerli, però, direi che la cosa più importante è sapere di poter contribuire in qualsiasi modo nella crescita di una realtà che si impegna ogni giorno per promuovere una reale sensibilizzazione su tematiche spesso ancora poco conosciute o vittime della disinformazione. Diventare una dei volontari di Animenta è stato questo, per me.
Ma più di tutto, ha senso nella misura in cui (e vale per ogni esperienza che facciamo) ti fa sentire vivo.
L’intervista è stata scritta da Sara, volontaria dell’Associazione