San Lorenzo, Io lo so perché tanto
di stelle per l’aria tranquilla
arde e cade, perché sì gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.
È così che inizia la lirica che può essere considerata il manifesto della produzione poetica di Giovanni Pascoli. La notte di San Lorenzo racchiude in sé una dinamica commistione di svariate simbologie. Il 10 agosto, infatti, rappresenta l’intersezione di una serie di eventi, fenomeni e credenze apparentemente lontani e poco correlati tra loro, che hanno a che fare con l’astronomia, la storia antica e la religione cristiana.
L’elemento di raccordo e crocevia di queste tre realtà si configura nelle lacrime, quello che Pascoli definisce, appunto, “gran pianto”.
Scientificamente, infatti, le cosiddette stelle cadenti altro non sono che lo sciame meteorico delle Perseidi, note anche come “lacrime di San Lorenzo”.
Il culmine di questo spettacolo si ha, precisamente, nella notte tra il 12 e il 13 agosto (e non, come vuole la tradizione, in quella del 10 agosto). È in quel momento, infatti, che la Terra entra nel cuore della coda delle polveri lasciate dalla cometa Swift-Tuttle. Rispetto ad alcuni secoli fa, il nostro pianeta ha infatti qualche giorno di ritardo. L’ultima volta che la cometa è transitata nel Sistema Solare interno è stata nel 1992 e la prossima avverrà soltanto nel 2126.
Scopriamo l’etimologia della parola “desiderio”
Di notevole rilevanza nel tentativo di ricostruzione storica e di lettura allegorica del fenomeno che caratterizza la notte di San Lorenzo è l’etimologia della parola “desiderio”.
Consiste in una forma derivante dal latino desiderium, da desiderare. Il termine è composto dalla particella de– (che può indicare una mancanza oppure un’azione distruttiva) e dalla voce sidus, sideris (plurale sidera). Sembra che il lemma abbia avuto origine dal linguaggio degli aruspici, una sorta di sacerdoti ante litteram, tipici dell’antica Roma, ma di chiara ascendenza etrusca. Capitava talvolta che, trovando il cielo coperto dalle nuvole, costoro non riuscissero a compiere le loro funzioni divinatorie, per cui era strettamente necessaria l’osservazione della volta celeste. In questi particolari frangenti, si accendeva negli aruspici un desiderio profondo delle stelle.
Fin dall’antichità, infatti, le stelle erano raggruppate in costellazioni per facilitare l’osservazione del cielo e renderla funzionale a diversi scopi pratici come, per esempio, la navigazione per mare.
Vari significati per vari desideri
Nella sua Periagoge, Guido Cusinato, docente di filosofia presso l’Università degli studi di Verona, offre due possibili prospettive interpretative della parola, a seconda dello specifico significato che si attribuisce a quel famoso de.
Il “de-siderare”, dunque, può esprimere un sentimento che nasce dalla “mancanza di costellazioni”, cioè di punti di orientamento. In questo caso, i desideri esprimerebbero la nostalgia verso quegli elementi di riferimento che sono venuti a mancare.
In merito a questa prima teoria , mi piacerebbe citare il poeta statunitense Thomas S. Eliot che, in apertura e in chiusura del suo Quartetto East Coker, usa delle parole che descrivono appieno quest’idea di desiderio:
In my beginning is my end
In my end is my beginning.
Questa semplice e immediata antimetabole, dal sapore circolare, sintetizza quella che è l’essenza del desiderio di tipo nostalgico: una torsione verso ciò da cui, in origine, siamo stati strappati via.
Nella seconda ipotesi, invece, “de-costellare” indicherebbe implicitamente un tentativo di distruggere la costellazione che imprigiona la propria esistenza attuale. In questo caso, lo struggimento che si prova sarebbe dovuto a una profonda insofferenza nei confronti della costellazione alla quale è legato quello che è il nostro destino di vita. L’insoddisfazione che ne deriva causerebbe un allontanamento dalla propria personale costellazione per cercarne un’altra, nuova, che ancora, forse, non è pienamente visibile. Questo motus di ribellione provoca uno slancio, per cui ci si pone come obiettivo la “de-costruzione” di quello che è stato, fino a quel momento, il proprio personale percorso, deragliando dagli angusti binari della teoria fatalista.
Vi auguro di vedere le stelle
Qualunque sia il vostro pensiero su cosa rappresenta davvero il “desiderio”, spero e vi auguro che possiate realizzare tutto ciò che avete nel cuore, non solo la notte di San Lorenzo, ma ogni giorno della vostra vita. E vi lascio nelle dolci parole di Ilenia, che spera ogni giorno di vedere le stelle.
Far pace con la propria storia…
Guardo il cielo come se fosse un foglio bianco su cui poter scrivere ciò che voglio. Sono così tante le possibilità, che l’incertezza e la paura di esistere sembrano annullare i desideri. Un po’ come quella spirale che ti vortica dentro e che cerca di risucchiarti nel buio delle paure. Ogni puntino sospeso nel cielo è una piccola goccia di speranza.
Vorrei tanto vederla così, vorrei tanto non dover aspettare la notte di San Lorenzo per alzare lo sguardo.
Che banalità sarebbe, adesso, se dicessi che finalmente ‘Uscimmo a riveder le stelle’. Ma forse sarebbe così banale da non riuscire neanche a capacitarmi di come sia possibile tornare a vedere la luce in mezzo ad un tappeto scuro che copre tutto, anche quell’elefante enorme che tutti cercano di ignorare, ma che nessuno di fatto ignora.
Tutti ti vedono quando rifiuti gli inviti, l’imbarazzo quando ti offrono qualcosa. Ma poi vedono anche il disturbo come capacità di autocontrollo e sembrano quasi ammirarti per quel qualcosa che in realtà dentro ti distrugge da tempo.
Guardando in alto, esprimo un desiderio. Forse più desideri.
Non mi importa se non ci sono stelle cadenti. Non mi importa neanche che il cielo sia tutto nero. Anzi, preferisco chiudere gli occhi e immaginarlo, proprio come da bambina, quando la fantasia era l’amica più fedele contro la solitudine e il giudizio degli altri.
…e ritrovare nuovi desideri
Ecco, adesso lo vedo: un cielo incantato pieno di tante lucciole che illuminano l’aria, giocare in un grande girotondo senza conoscere passato e futuro.
Vorrei anch’io vivere il presente senza perdermi nei ricordi che mi fanno male. Adesso apro gli occhi e le vedo davvero, le stelle cadenti lassù.
Mi ricordo, allora, di quando da piccola era il giorno di festa e mi sporcavo le mani con il gelato, mentre mio babbo, accanto a me, mi guardava e sorrideva.
Chissà se era fiero di quella bambina che cercava sempre le rassicurazioni e le attenzioni della sua famiglia.
Chissà se oggi è ancora fiero di quella bambina che il gelato non riesce più a mangiarlo e continua ancora, più insistentemente, a cercare le rassicurazioni della sua famiglia.
E lo desidero ardentemente, un fuoco che divampa nel petto: tornare a mangiare il gelato senza pensieri, ma solo con la spensieratezza nelle mani e i denti sporchi di cioccolato che si allargano in un sorriso felice.
Babbo, che dici: ci riproviamo?
Per adesso lo dico alle stelle, mentre raccolgo il coraggio di chiedertelo anche a te.
E accetto, di nuovo, di avere dei desideri.
L’articolo è stato scritto da Natalia e Ilenia, volontarie dell’Associazione