“Non superare le dosi consigliate” è il primo romanzo di Costanza Rizzacasa d’Orsogna, giornalista e autrice sul settimanale “7” della rubrica “anyBody. Ogni corpo vale”, in cui affronta, da una prospettiva diversa da quella del romanzo, le stesse tematiche: fat shaming, body shaming, la condanna estetica ed “etica” dei corpi fuori norma, il bullismo contro gli obesi.
Il romanzo racconta la storia di Matilde. Ma chi è Matilde? Matilde, noi la conosciamo bene, È la compagna di scuola grassa, quella che era oggetto delle risate della classe. Quella che tutti tormentavo. È la compagna di palestra grassa che si affanna sul tapis roulant, nel viavai di splendidi corpi scolpiti, e sa di certi sguardi che la raggiungono. È l’amica alla quale magari hai fatto un discorso, e volevi aiutarla davvero, ma le hai detto che è tutta questione di forza di volontà, e lei annuiva. E sei stata brava, evitando di dire la parola “grasso”, parlando con circospezione di “sovrappeso” e “massa corporea”, e chiedendole di colludere con te sul fatto che, in fondo, il corpo è solo questione di volontà e di controllo. Di colludere con te sul fatto che il modello di bellezza è uno solo, e non si scappa: magro. Che probabilmente vuol dire felice.
Un’equazione tutta da rivedere
Che poi questa equazione secondo cui grasso = triste, magro = felice, chi lo ha mai detto che sia vera? Chi lo ha mai detto che rispecchi la realtà? Noi di Matilde non sappiamo nulla. Noi di quella ragazza paffutella che tutti deridono, di quella ragazza che non trova altra consolazione se non il cibo non sappiamo nulla. Di quello che crediamo di sapere, di quello che crediamo che dimostri quel suo corpo così “estremo”, coì lontano dallo stereotipo non conosciamo nulla.
La trama di “Non superare le dosi consigliate“
C’è un peso che non si può perdere, anche quando l’hai perso tutto, scrive Costanza Rizzacasa d’Orsogna nella trama di “Non superare le dosi consigliate” e Matilde lo sa: la mamma, bulimica, passa le giornate a vomitare; lei ha cominciato a ingrassare quando aveva sei anni ed è affamata da una vita. A scuola elemosina biscotti, a casa ruba il pane, e intanto sogna che le taglino la mano. Ottanta chili a sedici anni, a diciotto quarantotto; Matilde va in America a studiare, splende, ma la fame e la paura le vengono dietro. Finché, dopo la morte della madre, il tracollo finanziario del padre e una relazione violenta, supera i centotrenta chili. E quando esce, c’è sempre qualcuno che la guarda con disprezzo. Allora Matilde si chiude in casa per tre anni, e sui social si finge normale. Ma che vuol dire normale?
Matilde non è Costanza
“Non è un’autobiografia”- afferma l’autrice -“ho scritto un romanzo e non un memoir perché ho pensato che spersonalizzando, creando un personaggio che fosse un alter ego non sarebbe stato possibile liquidare la cosa come “la storia di Costanza”. Matilde ha molte cose in comune con me ma non coincide con me: tutti possono immedesimarsi, la sua può diventare una storia di tutti. I disturbi alimentari, l’insicurezza sul corpo riguardano tantissime persone. Ho voluto scrivere un libro sul dolore, sulle persone che non hanno amore ma lo desiderano. Che hanno un vuoto riempito dal cibo. Io volevo far vedere il dolore di coloro che combattono con questi mostri dei disturbi alimentari”
Matilde siamo tutti noi, grassi o magri, tutti noi che non ci sentiamo mai abbastanza belli, che non ci sentiamo mai abbastanza ma sempre un passo indietro. Matilde siamo noi che non abbiamo nessuna protezione intorno, noi che vediamo il cibo come un mezzo e non solo come fonte di nutrizione. Noi che soffriamo di disturbi alimentari e ci salveremo da soli.
