Non so se farlo o meno, ma intanto ci provo. Non solo per aiutare, forse, qualcuno, ma perché in realtà lo devo a me stessa, così come il conto in sospeso che ho, e che piano piano, finalmente, sto riuscendo a “saldare”.
Sono Rachele e ho 21 anni. Solo dopo 21 anni inizio realmente a stare serena con me stessa. Scrivo inizio, perché la strada è abbastanza lunga, però già il fatto che io sia riuscita a trovarla per me è qualcosa di bello, tanto bello, davvero bello.
Ho 21 anni, tre dei quali ho fatto finta di vivere una vita che in realtà era tutt’altro che questo.
Tre anni in cui l’unica cosa che ho realmente fatto è stata scappare da me, dagli sguardi e dai commenti delle persone, dal cibo che mi obbligavo a non mangiare, ma che poi tutto d’un tratto diventava una droga. Dalle foto di gruppo in cui mi mettevo più dietro possibile per nascondere il mio corpo. Dalle cene o dai pranzi con gli amici in cui non mangiavo mai per paura di essere giudicata. Dai jeans che indosso la maggior parte delle volte in cui esco, perché sono l’unica cosa che sento come decente addosso a me, dalle infinite e inutilissime diete che ho provato, dalle sedute stremanti con gli psicologi, dalle paranoie che mi devastano la mente. Dalle innumerevoli analisi e visite mediche per tenere in piedi ciò che io avevo deciso di buttare a terra.
Non mi sopportavo più.
Tre anni in cui evitavo ogni bilancia per il terrore di essere aumentata di peso, e in cui segnavo quotidianamente le calorie ingerite per poi arrivare qualche giorno dopo con una fame che mi costringeva a ingozzarmi con qualsiasi cosa avessi sottomano, con le lacrime agli occhi, i sensi di colpa che stringevano il cuore e l’ansia di essere vista, che mi portava a nascondere ogni traccia di cibo. E per finire il rubinetto dell’acqua aperto, per nascondere qualsiasi rumore.
Chi mi conosce davvero bene, lo sa. Non ho mai indossato un paio di pantaloncini perché non riuscivo a guardare le mie cosce, non ho mai indossato un vestito se non lungo, o con le calze sotto, perché secondo me mascherava la cellulite. Non ho mai fatto una passeggiata in riva al mare d’estate, perché il pensiero che la gente potesse guardarmi mi uccideva.
Non sopporto i complimenti. Anche se piacevoli, li detesto. Li detesto perché penso che chi li pronuncia mi sta osservando, mi sta guardando e quindi giudicando.
All’età di sei anni ho iniziato a fare nuoto sincronizzato, senza il quale tutt’ora non riesco a vivere. E, sebbene fossi un po’ in carne, vivevo tranquillamente il mio sport.
Poi, crescendo e sentendo alcuni giudizi sul mio corpo rispetto a quello delle compagne di squadra, ho iniziato a vedere un’immagine di me che mi ha portato a tenere sempre addosso il telo, a fare le corse per entrare in acqua per essere guardata il meno possibile, a farmi la doccia di spalle e a non riuscire a stare serenamente a bordo vasca in costume come una qualsiasi nuotatrice, per paura di ricevere dei commenti.
Non sono mai andata al mare con gli amici di mia spontanea volontà, perché mi vergognavo tremendamente a mettermi in costume o al pensiero di dover reggere il paragone con gli altri. Quando mi siedo tendo sempre a mettere un cuscino o ad accavallare le gambe per coprire la pancia e i fianchi. Sono arrivata a non riuscire più controllare neanche le mie emozioni, che sfociavano immediatamente in un rigetto.
Tre anni in cui fingevo fosse una cosa passeggera, che si sarebbe risolta con il tempo, senza rendermi conto che peggiorava sempre di più.
Tre anni in cui non volevo realizzare di essere realmente malata di Bulimia Nervosa.
Tre anni in cui non sono riuscita a condividerlo quasi con nessuno, per paura di essere sminuita, non compresa o esagerata, e per paura di dare una delusione ed un peso così grande alla mia famiglia.
Quando si parla di disturbi alimentari tendenzialmente li si associa subito all’anoressia. A una ragazza minuta e fragile come una foglia.
Informazione di servizio:
Non sono minuta, né magra, ma sono anch’io fragile come una foglia.
E sono anch’io malata di disturbi alimentari, di bulimia.
Ho passato tre anni in cui ho forzato a me stessa a raggiungere determinati obiettivi, ottenendo però solamente un ricovero in un centro specializzato in disturbi alimentari. In segreto, senza averlo mai detto a nessuno (o quasi).
Tre anni in cui ho costretto me stessa ad essere qualcuno che non ero, pur di non sentirmi dire nulla o di non avere il peso di domande alle quali non volevo rispondere.
Ho sofferto in un modo che davvero non si può spiegare.
In primis per la mia famiglia, per i miei fratelli, che mi hanno vista stare così male da non sapere più come aiutarmi, senza sapere che se ne sto uscendo è grazie a loro.
Non davo pace a me stessa.
Tutti siamo stati male a causa di qualcosa o di qualcun altro. Il punto qui è che non c’è nessun altro. Forse sarebbe più facile. Il problema è che sto male con me stessa.
Non avrei mai pensato che potesse succedere davvero. E invece sì, si perde il controllo. Diventa una mania, un’ossessione, un’ansia e un terrore. Come se cadessi in un vortice che ti trascina sempre più giù, fino ad essere quasi risucchiata
Il vero problema della mia malattia non è l’oscillazione del peso, ma la perdita di controllo.
E ora vi chiederete: quindi come si fa ad uscirne?
Beh, una risposta ancora non ce l’ho, ma posso dirvi con certezza che, dopo duemila tentativi con effetto yo-yo, probabilmente solo quando si tocca realmente il fondo, e con la Presenza di chi ci vuole bene accanto, si guarisce. Le alternative sono due: o risali, o rimani laggiù.
Io mi sono rotta le palle di restare lì e ho deciso di risalire. Ho già perso troppo tempo, troppa serenità, e troppa vita, e ora voglio godermi tutto quello che finalmente sto scoprendo di essere.
Accettandomi e andando d’accordo con me stessa, cosa che non credevo più di riuscire a fare.
Sono Rachele, ho 21 anni e sto affrontando la bulimia.
E adesso mi sento ogni giorno più forte.
L’articolo è stato scritto da Rachele, che ha raccontato la sua storia