L’avvicinarsi costante e progressivo ma inesorabilmente infinito di una curva a una data retta in matematica viene definito “asintoto”, dal greco “ἀ” – alfa privativo e “συμπίπτω” “incontrarsi”. Nella realtà, l’infinito tendere a qualcosa che si è destinati a non raggiungere mai ben rappresenta la quotidianità di una qualsiasi persona affetta da anoressia. Essa è emaciata non solo nel corpo quanto nell’anima da un’insaziabile Fame d’Amore¹, ossia, come sosterrebbe il controverso psicoanalista francese Jacques Lacan, quell’ardente desiderio di essere riconosciuti e accettati dall’Altro². Un Altro con cui paradossalmente, tuttavia, non si riesce mai ad avere un incontro perché completamente sostituito dal feticcio di ideali irraggiungibili³.
A fare da sfondo a questa ossessiva ricerca di approvazione e soddisfacimento dell’ideale vi è, oggigiorno, la cosiddetta “società della performance”, essa stessa strutturalmente anoressica in quanto incarna ciò che più di un secolo fa il padre della psicoanalisi Sigmund Freud ebbe definito come “disagio della civiltà”. Esso consiste nella rinuncia pulsionale ai propri desideri più reconditi custoditi dall’Inconscio, a favore di un conformismo dettato da un eccessivo rafforzamento delle difese dell’Io, che, nel tentativo di aderire e omologarsi al modello socialmente accettabile, finisce, come chi soffre di una patologia autoimmune, per autoannientarsi⁴.
Il pensiero socratico come primato della razionalità sulla pulsione
Posta la questione in questi termini, si potrebbe parlare di anoressia come di un vero e proprio fenomeno sociale, se non fosse che le sue condizioni di esistenza fossero state poste molto prima dell’avvento di questa società malata tipica dell’epoca capitalista in cui viviamo. Infatti, la logica anoressica affonda le proprie radici nel pensiero socratico, contro cui si è criticamente scagliato un giovane Nietzsche. «Con Socrate si compie l’autodistruzione dei Greci». Questo ci dicono dei frammenti postumi nietzschiani⁵, tanto che è allora che lo spirito dionisiaco, pura pulsione positiva a ogni contingenza della vita, viene completamente sovrastato e soffocato dallo spirito apollineo, atteggiamento di fuga rispetto all’ignoto e di mera razionalità annichilente e mortifera.
L’iperuranio platonico come feticcio di ideali irraggiungibili
Platone è il principale erede degli insegnamenti socratici, indubbiamente rivisitati e arricchiti dal suo singolare pensiero.
Fatta questa premessa, ciò che interessa a noi della dottrina platonica è la celebre “teoria delle idee”, illustrata in maniera asistematica nei suoi dialoghi. Secondo il filosofo ateniese esiste un mondo al di là del cielo, l’Iperuranio, un mondo perfetto, in cui dimorano entità altrettanto perfette definite idee, di cui il mondo sensibile ed imperfetto in cui noi viviamo altro non è che una copia difettosa, fatta di copie ugualmente difettose.
Queste hanno come paradigma, modello e criterio di giudizio le idee iperuraniche, e tendono al mondo ideale attraverso i seguenti rapporti: metessi, ossia partecipazione, in quanto le cose sono tali avvalendosi delle idee; mimesi, ossia imitazione, in quanto le cose imitano le idee copiandole; parusia, ossia presenza, in quanto le idee sono presenti nelle cose come loro essenza. Il mondo ideale dunque è nettamente superiore al mondo sensibile, ma ne è preclusa la conoscenza piena e diretta in quanto gli strumenti conoscitivi umani sono imperfetti e pertanto non possono cogliere una realtà perfetta.⁶
Senza indugiare in ulteriori approfondimenti, è già chiaro che quello di cui Platone parla sia un non-luogo a cui chi soffre di anoressia tende inesorabilmente manifestando il proprio “todestrieb”, ossia la “pulsione di morte” freudiana. L’Iperuranio infatti, come già accennato, è irraggiungibile per i nostri corpi, ma non per le nostre anime. Esse, sebbene in vita siano imprigionate nel corpo, vi dimorano beatamente nell’intervallo di tempo tra una morte e la successiva reincarnazione, entrando a contatto, finalmente, con le idee.
L’ascesi della filosofia schopenhaueriana come anestetizzante del desiderio
Tenendo a mente il dualismo platonico, faremo ora un considerevole salto temporale nel XIX secolo per parlare di un filosofo che ha provato a trovare una soluzione allo struggimento che deriva dall’inconciliabilità dei due mondi sensibile e ideale: Arthur Schopenhauer.
Nell’opera “Il mondo come Volontà e Rappresentazione” (1818), il filosofo sostiene che il mondo sensibile non sia altro che il “velo di Maya”, destinato a tenere celato il mondo ideale. Il mondo sensibile è quindi visto come parvenza illusoria, mentre è il mondo delle idee ad essere reale: si può vedere qui una contrapposizione tra “Rappresentazione” e “Volontà”. L’essere umano infatti, così come tutte le creature, non è solo mera rappresentazione, ma, afferma Schopenhauer, avendo un corpo «si vive anche dal di dentro» attraverso la manifestazione della sua Volontà. Questa Volontà, una forza inconscia, impulsiva, eterna ed onnipresente, si manifesta dapprima come volontà di vivere e, dunque, soddisfare i bisogni essenziali.
Tuttavia, negli uomini, essa assume le caratteristiche di una volontà bulimica, che finisce per rendere la vita «un pendolo che oscilla tra dolore e noia»: un continuo alternarsi tra momenti di dolore, in cui si desidera qualcosa di cui si sente la mancanza, e momenti di noia, in cui ciò che tanto si è desiderato non appaga più. L’unico spiraglio per il piacere coincide con il frangente di realizzazione del desiderio, in cui si prova gioia psichica o godimento fisico, ma è pressoché effimero.⁷
In chiave psicoanalitica, tale volontà mortifera di cui prima può esistere solo ed esclusivamente nell’uomo. Lacan spiega che solo quest’ultimo è dotato di desiderio oltre che di istinto, e non è raro che il suo desiderio vada contro natura. Inoltre, se il desiderio non si esaurisce esaudendosi, si potrebbe ipotizzare che gli uomini tendano a desiderare un godimento dissipato, che però, secondo una logica freudiana, è impossibile da ottenere data l’inevitabilità della castrazione.²
Qual è la, tuttavia, la soluzione proposta da Schopenhauer affinché l’uomo possa cessare di soffrire? Semplicemente, la negazione della Volontà. Fermo restando che egli propone tre vie di liberazione dal dolore, ci soffermeremo soltanto sull’ultima: l’Ascesi. Il filosofo sostiene che solamente attraverso una rigida ascesi spirituale che comporta astinenza da vizi e piaceri, umiltà, povertà, castità e da ultimo digiuno, si potrà estirpare la Volontà dal proprio sé e raggiungere così il Nirvana.⁷ Eppure, il Nirvana schopenhaueriano è un non-luogo, letteralmente un annullamento assolutamente incompatibile con la vita: anche in questo caso, l’anoressia, una volta oppresso, represso e soppresso il desiderio, seguendo il proprio “todestrieb” (“pulsione di morte”) e portando il corpo allo stremo, lo raggiungerà con la morte.
L’etica del dovere nella filosofia stoica: il ripudio dell’emozione e dell’ossessione
Nello stoicismo, corrente filosofica dell’età ellenistica, molti punti cardine fanno parte della sintomatologia anoressica.
In generale, lo scopo della filosofia stoica è il raggiungimento dell’atarassia, ossia l’imperturbabilità dell’animo, e dell’apatia, intesa come liberazione dalle emozioni e dalle passioni dell’animo, attraverso una rigida etica del dovere.
In particolare, uno dei maggiori esponenti dello stoicismo romano, Lucio Anneo Seneca, ritiene che sia possibile raggiungere questi stati di tranquillitas attraverso la coltivazione della Virtus. Quest’ultima viene definita come una disposizione uniforme e costante all’assolvimento dei doveri, che sono tutte quelle azioni conformi all’ordine razionale regolatore dell’universo. Essa inoltre si articola in saggezza, temperanza, fortezza e giustizia.
Pertanto, la Virtus rappresenta l’unico vero bene che il saggio stoico deve perseguire per raggiungere la felicità, a cui si contrappone il vizio. Tutto il resto, come la bellezza, la gloria, il piacere, ma anche cose che al giorno d’oggi vengono considerate molto importanti come la vita e la morte stesse, non sono da considerarsi né beni né mali, ma cose indifferenti, tutte però con un loro valore che le rende più o meno degne di scelta, sempre in virtù di una vita secondo ragione. È nel momento in cui queste cose vengono confuse per beni e mali effettivi che si abbandona l’etica del dovere e si cade preda delle emozioni, ritenute vere e proprie malattie che turbano l’equilibrio razionale del sapiente.⁸
Non è difficile capire, dunque, che la dottrina stoica non accetta vie di mezzo: chi possiede la ragione, il saggio, agisce bene e virtuosamente praticando l’apatia. Chi ne è privo invece, lo stolto, agisce male e viziosamente lasciandosi influenzare dalle emozioni. È proprio questa assoluta mancanza di flessibilità, questa rigidità intrinseca dell’etica del dovere stoica, questo conformismo alla razionalità e questo totale ripudio dell’emozione, a ricordarci quella che è la sintomatologia anoressica, dove la magrezza è tutto ciò che conta e i svariati e malati “rituali” messi in atto per il suo raggiungimento sono veri e propri doveri da assolvere ossessivamente, anche a costo della vita stessa.
In questo senso, nell’etica del dovere stoica si può leggere un rafforzamento dell’Io eccessivo, che finisce per negare e annientare quello che è, come direbbe Massimo Recalcati, il vero soggetto dell’Inconscio e tutte le sue emozioni, in quanto rischiano di compromettere l’adempimento del dovere, il ché non è concepibile, né men che meno tollerabile.⁹
L’emozione come criterio di verità nella terapia della filosofia epicurea
Per concludere, citerò adesso un’ultima corrente filosofica sviluppatasi in Grecia sempre in età ellenistica, ma questa volta, si potrebbe dire, agli antipodi con la sintomatologia anoressica: si tratta dell’epicureismo.
In parte come nello stoicismo, anche nella filosofia epicurea lo scopo è il raggiungimento dell’atarassia e, invece che dell’apatia, dell’aponia, ossia l’assenza di dolore. L’emozione invece, al contrario, non è qualcosa di cui liberarsi, bensì rappresenta un criterio di verità, in quanto permette di riconoscere il piacere, che è «principio e termine estremo di vita felice».
In tal senso l’epicureismo può essere considerato una dottrina edonistica, in quanto il suo fulcro fondante è il piacere, del tutto ripudiato invece nello stoicismo e nell’anoressia. Questo piacere tuttavia non è da confondersi con un godimento dissipativo, che Epicuro identifica nel piacere cinetico, il quale sarebbe solo un ripudio del piacere stesso, ma si tratta invece di un piacere catastematico, che Epicuro identifica nella «pura e semplice distruzione del dolore». Si è di fronte, dunque, ad una concezione negativa della felicità.
L’edonismo epicureo non predica un abbandono smodato ai piaceri, ma piuttosto un calcolo razionale (ma non ossessivo) di essi che comporta anche delle inevitabili rinunce, ben lontano, tuttavia, dalla ferrea etica del dovere stoica. Anche l’importanza attribuita al ruolo dell’emozione contribuisce a sua volta ad aumentare il divario tra queste due correnti ellenistiche. Questa è paragonabile, invece, alla visione dell’intellettuale contemporaneo Umberto Galimberti, il quale vede l’emozione come «una forza dinamica che consente di muoversi nel mondo ricercando i piaceri ed evitando i dispiaceri» (2021)¹¹, visione che, forse, potrebbe essere utile provare a ripristinare nella clinica dell’anoressia.
Bibliografia
¹ Fialdini Francesca e Mendolicchio Leonardo, 2023, Nella tana del coniglio. Quando la lotta con il cibo diventa un’ossessione, Rai Libri, 2023
² Lacan Jacques,1959, Desire and Its Interpretation. Seminars, Book VI, Polity Press
² Recalcati Massimo, 2012, Jacques Lacan. Desiderio, godimento e soggettivazione, Raffaello Cortina Editore
³ Recalcati Massimo, 2022, Elogio del fallimento. Conversazioni su anoressie e disagio della giovinezza, Il Margine Edizioni Centro Studi Erickson
⁴ Lowen Alexander, 1980, Paura di vivere, Astrolabio
⁴ Recalcati Massimo, 2024, Elogio dell’inconscio. Come fare amicizia con il proprio peggio, Castelvecchi Lit Edizioni
⁵ Nietzsche Friedrich, 1876, Frammenti postumi, Adelphi
⁶ Abbagnano Nicola e Fornero Giovanni, 2012, Percorsi di filosofia. Storia e temi. 1A, Pearson Paravia
⁶ Chiaradonna Riccardo e Pecere Paolo, 2018, Filosofia. La ricerca della conoscenza. 1A, Mondadori Education
⁷ Abbagnano Nicola e Fornero Giovanni, 2012, Percorsi di filosofia. Storia e temi. 3A, Pearson Paravia
⁷ Schopenhauer Arthur, 1818, Il mondo come volontà e rappresentazione, Newton Compton Editori
⁸ Abbagnano Nicola e Fornero Giovanni, 2012, Percorsi di filosofia. Storia e temi. 1B, Pearson Paravia
⁸ Chiaradonna Riccardo e Pecere Paolo, 2018, Filosofia. La ricerca della conoscenza. 1B, Mondadori Education
⁸ Seneca, Tutte le opere. Dialoghi, trattati, lettere e opere in poesia, Bompiani, 2000
⁹ Recalcati Massimo, 1997, L’ultima cena: anoressia e bulimia, Bruno Mondadori
⁹ Recalcati Massimo, 2022, Elogio del fallimento. Conversazioni su anoressie e disagio della giovinezza, Il Margine Edizioni Centro Studi Erickson
¹⁰ Abbagnano Nicola e Fornero Giovanni, 2012, Percorsi di filosofia. Storia e temi. 1B, Pearson Paravia
¹⁰ Chiaradonna Riccardo e Pecere Paolo, 2018, Filosofia. La ricerca della conoscenza. 1B, Mondadori Education
¹¹ Galimberti Umberto, 2021, Il libro delle emozioni, Feltrinelli
https://www.psicologiafenomenologica.it/alle-radici-dellanoressia-tra-filosofia-e-psicoanalisi/
L’articolo è stato scritto da Alexia, volontaria dell’Associazione