Animenta racconta i disturbi alimentari – La storia di Anna

Tutto è cominciato intorno ai 15 anni. Tanti erano i problemi in famiglia e tanti erano i litigi. Non riuscivo a costruirmi una vita sociale, perché per me uscire di casa significava perdere il controllo su ciò che accadeva tra i miei genitori. Non potevo permettermelo.

La mia malattia era un modo per polarizzare le attenzioni della mia famiglia, perché, vedendomi e sapendomi malata, tutti si concentravano su di me. 

Ma nella mia storia ricordo anche altri eventi significativi. Per via dell’età, la mia fronte era costellata di terribili pustole. Per questa ragione, ho iniziato a prendere una pillola che potesse riequilibrare un po’ la situazione, ma purtroppo assumendo il farmaco ho iniziato a gonfiarmi. Vedevo il mio corpo che cambiava, assistevo alla sua metamorfosi e non riuscivo ad accettarla.

Ricordo poi anche quel giorno a casa del nonno. Eravamo io, con il mio corpo ingombrante, e mia cugina, longilinea. E ricordo benissimo le parole di mio nonno: “Mangia tu”, rivolgendosi a mia cugina. “Ma tu… Tu che mangi a fare, Anna?”, rivolgendosi a me.

Da lì ho smesso di mangiare.

Mangiavo sempre meno, ricordo che bevevo solo enormi quantità di Fanta. I miei genitori non avevano idea di cosa mi stesse succedendo, non si accorgevano di nulla. All’epoca non si sapeva cosa fossero i disturbi del comportamento alimentare.

Sentivo gli altri che mi dicevano “Come sei dimagrita!”, e dalle loro parole traevo la forza per andare avanti. Fino a quando non è arrivato il primo ricovero: “Signorina, lei soffre di anoressia”.

Ho vissuto 3-4 anni tra alti e bassi, con una vita sociale quasi assente. Ho saltato la festa dei miei 18 anni. Poi ho raggiunto il punto di non ritorno.

I miei genitori hanno contattato diverse strutture, finché ne hanno trovata una a L’Aquila. “Sua figlia è totalmente debilitata, potrebbe spegnersi da un momento all’altro”. Eppure a me poco importava.

Dopo due giorni dall’inizio del ricovero sono andata in coma. E dopo 16 ore mi sono risvegliata. Eccolo, il fondo. L’ansia cresceva sempre di più, io non mi reggevo in piedi, ma ricordo di esser voluta comunque tornare a casa, perché quella era l’unica dimensione in cui potevo esercitare controllo. Mangiavo, ma il mio corpo era troppo debilitato anche per tollerare il cibo.

Un altro ricovero, ma stavolta qualcosa è cambiato.

Ricordo il momento in cui la nutrizionista è entrata nella mia stanza per la prima volta. Ricordo di averle preso la mano e di averle detto “Lei mi deve aiutare. Io voglio vivere”. Da qui un percorso di terapia che piano piano mi ha portata a vedere la luce. Mi sono creata una rete di amicizie, mi sono fidanzata, mi sono sposata e ho avuto il mio primo figlio. Tutto ok. Questa volta avevo gli strumenti per affrontarla quella metamorfosi del corpo. Nel frattempo ho anche iniziato e portato a termine gli studi laureandomi in Riabilitazione Psichiatrica.

Dopo sette anni, all’età di 36 anni, ho avuto un altro figlio, una bambina. Questa volta ho iniziato a ravvisare sin da subito dei problemi. Sentivo che c’era qualcosa che non andava, che stavo ricominciando ad esercitare un controllo eccessivo sul cibo. Così ho deciso di rivolgermi nuovamente a un terapeuta e ad una nutrizionista. Che, però, non riuscivano ad aiutarmi.

“La bambina non cresce perché lei non mangia”, mi ripeteva la ginecologa durante la mia gravidanza. Mangiavo sempre meno e, seppur incinta, cercavo di restare sempre in movimento. A un certo punto mia mamma, consapevole del fatto che la situazione poteva solo degenerare, ha chiamato l’ospedale, dove mi hanno immediatamente ricoverata. È così che, all’ottavo mese di gravidanza, è nata mia figlia, con un parto cesareo. Nonostante tutto la bimba era sana, ma hanno dovuto trattenerla in ospedale per un po’. Ricordo che, sebbene io fossi estremamente debole, andavo comunque a trovarla facendo su e giù fino a L’Aquila. Tenendola fra le mie braccia mi sembrava di rinascere. “Voglio guarire, di nuovo”, mi sono detta. “Dobbiamo stare bene. Io e la bimba”.

E sono guarita, di nuovo.

Anche se ho sempre paura. A volte è come se sentissi la malattia sempre lì, in agguato. Ma so che non è come prima, perché adesso sono consapevole di ciò che accade e ho tutti gli strumenti per gestirmi e gestire le mie emozioni. I pensieri ci sono, ma non sono più invalidanti.

Dopo essere uscita dal coma, mi sono detta che volevo vivere, per davvero. Volevo vivere la mia vita con tutto ciò che una vita comporta: gioie e dolori. E così ho fatto. Negli ultimi due anni ho perso mio papà e mio fratello, ho vissuto dei grandi dolori, ma mi sono anche laureata, in Psicologia, e ho proseguito gli studi con la magistrale. Ho iniziato a lavorare e ad oggi sono una mamma che ha due bimbi di 7 e 14 anni di cui si prende cura e si sente realizzata.

L’articolo è stato scritto da Anna, volontaria dell’associazione, che ha raccontato la sua storia

Contenuto a cura di Animenta

PASTA DI SEMOLA DI GRANO DURO LUCANO

Rasckatielli

Pasta Secca 500g

Ingredienti: Semola di Grano Duro Lucano del Parco Nazionale del Pollino, Acqua.

Tracce di Glutine.

Valori Nutrizionali

(valori medi per 100g di prodotto)

Valore energetico

306,5 kcal
1302 kj

Proteine

13,00 g

Carboidrati

67,2 g

Grassi

0,5 g

Prodotto e Confezionato da G.F.sas di Focaraccio Giuseppe
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