Animenta racconta i disturbi alimentari – La storia di Chiara

Ho sempre pensato di star costruendo una strada grigia, di mattoni, una strada in mezzo al nulla che dovevo percorrere per giungere alla vera luce, la luce della vita.

Questa strada era fatta di cose concrete. Mentre la costruivo non la vedevo mai questa luce. Vedevo sempre il grigio dei mattoni che però si incastravano perfettamente. Solo che ogni volta che mi fermavo e alzavo gli occhi dalla strada era proprio il grigio a predominare.

La luce continuava a non vedersi e tutto intorno a me c’era solo deserto. Io speravo in un’oasi ogni tanto, una sorgente in cui abbeverarmi, in cui riposarmi, per capire che la strada era quella giusta. Che quel lavoro nell’arido deserto sarebbe magari stato ancora duro per mesi, ma che alla fine mi avrebbe portato dove volevo. Bramavo l’oasi e non vederla mi rendeva solo stanca, frustrata e arrabbiata. Continuavo a cercarla e a non capire cosa stessi facendo.

Ormai ho capito che non esiste una meta, che la luce non è un giorno, non è un momento unico, che non c’è davvero un traguardo alla fine della strada. Che guarire non è la prima pizza né il primo panino, e non è nemmeno il ritorno del ciclo. Guarire è essere a proprio agio con il discomfort, è guardarsi allo specchio e a volte piacersi, è comprendere quanto sia folle far dipendere il proprio umore dal peso. Guarire è perdonarsi, è volersi bene, è essere flessibili e spontanei. Può essere ridere, sentirsi vivi, sentirsi immersi nel mondo, entusiasti, in equilibrio e in pace con sé stessi. È sentirsi fieri e grati. È non pensare costantemente al cibo, non accettare i morsi della fame, non avere sempre lo stomaco in fiamme.

Guarire è raccontare il proprio DCA agli altri.

Confessare quanta paura e quanto dolore si porta dentro, guardare il mostro negli occhi e tendergli la mano. Guarire non è non avere più paura, ma avere paura e fare lo stesso ciò che ci spaventa, perché i limiti esistono solo nella nostra testa. Non esistono limiti reali, nulla è impossibile.

Guarire è avere un obiettivo e provare a realizzarlo; è accettare un invito a cena senza preoccuparsi di quale sarà il menu, godersi un momento, un paesaggio, sentire un sapore, un odore, una musica commovente e piangere di gioia. Guarire è funzionare, provare emozioni, fidarsi del proprio corpo e far sì che esso si fidi di noi. È intercettare lo stimolo di fame e sazietà, la stanchezza e l’energia. È fare sport per godersi la natura, per sentire i muscoli vibrare di potenza e non affaticarsi per il dolore. Guarire è esplodere di voglia di vita, sentire il sangue e gli ormoni in circolo, sentire caldo, spogliarsi, fare l’amore, baciare, tuffarsi nelle onde del mare, ballare, sentire la sabbia sotto i piedi e l’acqua del mare sulla pelle.

Guarire è tutto e niente. È anche piangere, arrabbiarsi. È provare il grandangolo di colori delle emozioni in ogni sfaccettatura, accettare anche la noia, accettare anche il fastidio e la tristezza e andare avanti consapevoli che la vita non è il rigido cristallizzarsi del DCA, che il corpo cambia e non può essere freddo e immobile per sempre.

La vita è continuo mutamento, è movimento, è contrasto.

Il DCA e la malattia sono immobilità e stasi e sono il contrario della vita vera.

Guarire significa accettare il gonfiore, le smagliature, la cellulite, i peli e il sudore, accettare che le ossa sporgenti non sono indice di bellezza, che i vestiti vecchi non vanno più e bisogna cambiarli, accettare le proprie forme, le gambe che si toccano, le imperfezioni che in realtà non esistono perché la perfezione non esiste. È accettare di soffrire, di mettersi alla prova, di vincere e di perdere.

Guarire è tutto questo e molto altro, è indefinibile, è bellissimo, è una moltitudine di aspetti da riscoprire, alcuni dei quali ancora neanche immagino, perché mai davvero li ho provati, né prima né dopo il DCA.

Guarire è un’avventura, è qualcosa che chi è abituato a vivere da sempre senza la malattia e non si è mai ammalato non può comprendere davvero.

È tutto, guarire è quello che voglio.

Per guarire si può cominciare da subito, anche se uscire dalla zona di comfort fittizia fa paura. Bisogna sfidarsi, bisogna superare i limiti, responsabilizzarsi, darsi degli obiettivi, bisogna prendere la vita di petto e trafiggerla, fare testa e muro. Essere flessibili di fronte alle intemperie.

Guarire, che bella parola. Guarire si può e si può per sempre.

Non può volerci un tempo per guarire, non si può standardizzare quanti giorni e mesi ci vogliono perché la guarigione è diversa per ciascuno. La guarigione fisica può essere fatta coincidere con il recupero del ciclo, con il peso naturale, con lo scomparire di tutti i sintomi che hanno accompagnato il travagliato cammino infernale fino a quel momento. Ma la guarigione psicologica è oggi, è ieri, è ogni volta che ci si sente davvero liberi, davvero spensierati e felici. E io sono profondamente convinta che una parte del disturbo, una parte dei pensieri disfunzionali, fossero anche solo il ricordo di quello che ho provato in passato, mai davvero mi lascerà camminare da sola. Ma non per questo non sarò guarita, non per questo non potrò vivere con pienezza la mia vita.

Non posso dimenticare un’ombra così meschina, che ha preso in maniera così preponderante la mia vita per tutto quel tempo. Non potrò mai svegliarmi al mattino e cancellare quello che è stato il 2021, l’annus horribilis della mia storia. Ma la verità è che non vorrei nemmeno farlo, non vorrei mai azzerare questo percorso, resettare i miei ricordi e continuare a vivere come se nulla fosse. Non funziona così, la cicatrice esiste e mi ha reso ciò che sono. La forza di reagire, di prendere a calci ciò che mi stava uccidendo mi ha concesso di sfidarmi in tanti aspetti della mia esistenza che fino a quel momento mi ero preclusa.

Ho ripreso a guidare, dopo essermi autoconvinta per due anni di non esserne in grado e aver pensato che non sarei mai riuscita nemmeno a tenere fra le mani il volante. Poi ho cominciato a cucinare, innamorandomi della natura vera dei cibi, provando sapori e odori mai sentiti, non delegando più agli altri le funzioni che invece spettavano a me. Ho girato la mia città in lungo e in largo, scoprendo angoli di Napoli che non avevo mai visto, innamorandomi dei murales agli angoli delle sue strade, degli scorci nascosti di Posillipo e delle scritte sui muri dei Quartieri.

Non posso e non voglio dimenticare.

Non voglio che tutto ciò che ho costruito, che le radici piantate nelle ceneri che hanno tratto linfa dal carbone ustionato di quello che ero, crollino e vengano soffiate via dal vento del tempo. Sono le fondamenta del mio essere. E, per quanto io abbia odiato tutto ciò, non posso fare a meno di esserne grata ogni giorno.

L’articolo è stato scritto da Chiara, che ha raccontato la sua storia

Contenuto a cura di Animenta

PASTA DI SEMOLA DI GRANO DURO LUCANO

Rasckatielli

Pasta Secca 500g

Ingredienti: Semola di Grano Duro Lucano del Parco Nazionale del Pollino, Acqua.

Tracce di Glutine.

Valori Nutrizionali

(valori medi per 100g di prodotto)

Valore energetico

306,5 kcal
1302 kj

Proteine

13,00 g

Carboidrati

67,2 g

Grassi

0,5 g

Prodotto e Confezionato da G.F.sas di Focaraccio Giuseppe
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