Delle volte il corpo sembra diventare un posto stretto e senza ossigeno, e la mente una tana buia per entità affamate di rinuncia e insicurezza. Che poi affamate sembrano esserlo solo loro.
Ci sono delle volte in cui il più tagliente dei silenzi sembra scontrarsi con le voci acute come aghi dei più inspiegabili pensieri. Le stesse volte in cui spiegarsi sembra un privilegio riservato solo a chi non soffre. O sembra non soffrire.
Ci sono delle cose che sembrano. Delle cose che sono. Non sempre qualcuno ci insegna a percepirne la differenza. Quanto è offuscato a volte il ricordo di come erano le cose. Prima che sembrassero. Come erano vive prima che sembrassero esanimi. Come erano intere prima che sembrassero a pezzi. Quanto è complicato ricordarsi com’è respirare, quando in quel corpo svuotato sembra mancare l’aria e in quella mente piena, mancare la luce. Che poi sono la nostra casa. E quanto è complicato sentirsi a casa quando non ricordiamo nemmeno dove abbiamo perso le chiavi.
Ma vorrei dirlo a chi ora fatica a ricordare. Vorrei dirlo a chi crede che da alcune ferite non si guarisca mai. Che forse è vero, delle cicatrici restano. E non è facile ricordare com’era la nostra casa prima di esse. È difficile anche dimenticarsi come sembra diversa poi, quando si soffre. Quando quei mostri mordono da dentro e fuori non si riesce più a prendere a morsi nulla. Vorrei sussurrare nell’orecchio a chi sente di aver perso le chiavi, che la vita è sempre possibile tornare a morderla. Che gli accarezzo il cuore e quelle cicatrici,
perché un po’ lo sento cosa hanno rimarginato sotto. Perché anche le mie mi ricordano di quando avevo fame solo di vuoto. Ma anche che se ora sono tornata a mordere tutto è perché mi sono ricordata che la vita è il mio piatto preferito. E che tornerà ad essere anche il loro.
E la fame, per il proprio piatto preferito, torna più facilmente. Torna sempre.
E così si tornerà ad aprire la porta,
entrare appoggiando le chiavi all’ingresso,
e respirare con la leggerezza di quando ci si sente di nuovo al sicuro.
A casa.
L’articolo è stato scritto da Martina, che ha raccontato la sua storia