La mia storia inizia circa tre anni fa. Periodo incasinatissimo quello del covid: avevamo troppo tempo per pensare. Nel mio caso non era tempo per pensare a cose dilettevoli come il cimentarsi in una nuova passione, ma il mio pensiero era ricorrente e rivolto verso il solo obiettivo di perdere peso. Non sono mai stata una ragazza con grande autostima, di questo ne sono consapevole, ma mai avrei immaginato di cadere nel baratro dei disturbi alimentari, e di farmi anche male.
L’inizio della malattia
Iniziai pian piano a seguire una dieta, sembrava andare tutto per il meglio, fino a quando l’ossessione per il peso divenne un qualcosa di davvero insostenibile.
Iniziarono le camminate compulsive, la riduzione dell’introito calorico sufficiente ad una persona per permetterle di compiere azioni quotidiane quali seguire una lezione, studiare, vedere una serie tv, leggere.
Ricordo la prima volta che i miei mi portarono da una psicologa, dopo essersi accorti che qualcosa non andava: continuavo a ripetere che stava tutto nella loro testa, io non avevo assolutamente nulla.
E ricordo bene quando, per un integratore rifiutato, mi ritrovai nel reparto di pediatria, dal quale uscii dopo tre giorni convinta di aver ‘’fregato’’ tutti.
Ma non avevo fregato proprio nessuno, se non me stessa.
I sintomi dei disturbi alimentari
Infatti stando a casa il peso continuò drasticamente a scendere, le mie forze a svanire del tutto fino a quando non fui ricoverata d’urgenza in ospedale, e stavolta per rimanerci davvero.
Si sa, l’ospedale ti salva quando è possibile, quando è il corpo che è debole: ma a livello psicologico non può fare molto.
Ed è per questo che, dopo 28 giorni, fui trasferita in una struttura residenziale per disturbi alimentari dove conobbi la mia compagna di stanza, Antonella.
L’aiuto dei cari durante la guarigione dai disturbi alimentari
Questa testimonianza è per lei, ora piccolo angelo che mi osserva dal cielo, e che spero sia fiera di me e dei progressi che sto facendo.
Lei mi ripeteva sempre che potevo farcela, mi guardava con quell’aria talmente severa che a volte mi sentivo in soggezione dinanzi a lei.
Mi ha dato la forza, in quei quattro mesi e mezzo, di andare avanti, di lottare, di capire che potevo farcela, che tutti erano dalla mia parte, che non ero sbagliata.
Insomma, chi sceglie di ammalarsi?
I rapporti con Antonella, uscita dalla struttura, sono rimasti piuttosto frequenti fin quando, un giorno, smisi di sentirla. Credevo fosse normale: insomma, magari aveva bisogno di tempo per ragionare, per prendersi cura di sé. Poi scoprii l’amara verità: lei non era più con noi.
Ma una cosa mi ripeto sempre, quando le mie giornate sembrano non avere senso, quando ho paura di star rovinando tutto: lei è sempre con me. In ogni cosa che faccio.
Se sono viva, il merito è anche suo.
Se il mio cuore batte, pieno d’amore e gratitudine, è grazie a lei.
Quindi grazie, Anto, per essere stata così tanto speciale.
Il mio percorso continua, e ti posso assicurare che lo porterò avanti, per entrambe!
Nessuno è solo
Spero che chiunque mi stia leggendo in questo momento e si trovi in un momento di difficoltà, possa capire che la solitudine è una condizione mentale che ci creiamo noi per non soffrire, finendo spesso per farci il doppio del male.
Nessuno è solo.
Ognuno di noi ha qualcuno che sarebbe disposto a fare fiamme e fuoco per renderlo felice.
Le mie parole sono davvero sentite, e non è facile per me mettere per iscritto ciò che provo, ma se lo sto facendo è per far capire a tutti che una strada per uscire dal tunnel c’è, ed è anche tanto luminosa.
Quella strada, quella tortuosa, piena di fossi, di cadute, è però la più bella che possa esistere perché ci fa rendere conto di essere vivi!
L’articolo è stato scritto da Sophia, che ha raccontato la sua storia