Caro ma tanto odiato Corpo,
Non avrei mai pensato di scriverti, ma forse è arrivato il momento di farlo: non riesco ancora a chiederti scusa perché sfogo tuttora il mio dolore su di te. Ti uso come un mezzo per far vedere la profondità del mio dolore, ma in realtà non riesco ancora a capire cosa tu abbia fatto di male per essere stato ed essere trattato così.
Ti ho privato di tutto, volevo farti scomparire.
Volevo farti diventare trasparente privandoti di ogni nutrimento affinché tutti percepissero il mio dolore attraverso te.
Ti ho fatto avere paura di quell’elemento che ti tiene in vita, ovvero il cibo.
Il mio obiettivo era farti perdere peso, coprendomi con lunghe felpe che pensavo mi facessero da fasciatura per le ferite che si celavano all’interno.
Non ti sei ammalato tu di un disturbo alimentare, si è ammalata la mia anima, ancora oggi piena di ferite e di lividi indelebili. Tu sei stato solo un evidente conseguenza del mio malessere interiore, sei stato l’unica cosa che ero in grado di controllare.
Però di una cosa ti devo ringraziare: hai resistito, anche se morente, tutte le volte in cui ti ho maltrattato e punito, facendoti toccare il fondo. Pieno di ferite hai sostenuto il peso della mia anima, ormai arrivata al limite.
Ti auguro di trovare un tuo equilibrio.
E, anche se ci riuscirai, penso che l’anima continuerà a litigare con te, ancora segnata da questo mostro silente. Un mostro silente che si è presentato a te come un amico e che tu hai accolto inconsapevolmente, perché non sapevi ancora che ti avrebbe cambiato la vita, togliendoti tutto.
Quando hai iniziato a soffrire di disturbi alimentari, caro Corpo, non hai perso peso tu, ha perso peso l’anima che era sempre più vuota.
Ti chiedo scusa per essermela presa con te quando il problema non eri tu.
Perché il problema non è il peso del corpo, ma il peso dell’anima, che rimarrà segnata con delle ferite incancellabili per l’eternità.