Disturbi alimentari e rapporti sociali: Francesca si racconta

I disturbi del comportamento alimentare (DCA), al contrario di come comunemente si possa pensare, incidono anche su aspetti che non riguardano il cibo.

Uno di questi sono le relazioni sociali, che cambiano radicalmente all’insorgere di un DCA, o, a volte, possono essere una tra le molteplici cause scatenanti.

È emerso che, problemi sociali come bullismo, relazioni tossiche, abusi sessuali e familiari affetti da disturbi psichiatrici (ansia, stress post-traumatico, abuso di sostanze stupefacenti) possono essere una delle cause che portano allo sviluppo di un disturbo del comportamento alimentare.

L’influenza della pandemia

Nella mia personale esperienza, i rapporti sociali hanno avuto un impatto fortissimo nell’insorgere dei miei DCA. Mi sono ammalata in piena pandemia, dopo aver passato un’estate ricca di esperienze e in cui, per la prima volta, non mi vergognavo di farmi vedere in costume. Avevo un fidanzato con cui andare a cena all’aperto e al mare, un gruppo di amiche con cui fare aperitivi e passare serate, una famiglia che mi stava accanto e mi lasciava libera di fare, uscire e sperimentare. Poi è arrivata la batosta.

Probabilmente il disturbo alimentare  stava già crescendo in me, ma era inibito da tutto quello di cui mi circondavo. C’erano stati episodi in cui il mio malsano rapporto col cibo era uscito alla scoperta, ma ero riuscita a nasconderlo e a farlo nascondere tramite tutto quello che facevo. 

Poi la seconda ondata, il secondo lockdown, ci hanno costretti a restare chiusi tra le pareti di casa e io ho iniziato a fare i conti con quei demoni che stavo covando di nascosto. Non c’erano più le mie amiche a distrarmi davanti ad una ciotola di patatine, non c’era più il mio ragazzo a farmi ridere davanti a una pizza. Eravamo solo io e quello che avevo davanti. E sebbene ci fosse la mia famiglia, erano tutti troppi distratti da ciò che c’era fuori per rendersi conto e poter prevenire quello che accadeva nella mia testa. 

E io, con loro, non ho voluto aprire bocca: non ne volevo sapere di parlare dei miei problemi, mi sono chiusa in me stessa e ho iniziato a spegnermi. Ho reso impotente chiunque mi volesse bene, impedendogli di aiutarmi in un momento in cui, invece, un conforto e un confronto da chi di più caro avevo poteva farmi solo bene.

Questa chiusura mentale e comunicativa con la propria famiglia è molto comune, ed è stato, pertanto, riconosciuto scientificamente che la difficoltà di comunicazione all’interno di un nucleo familiare contribuisca al mantenimento di un disturbo alimentare.

Alcune comorbidità

Insieme a un disturbo alimentare, che, ricordiamo, è una malattia mentale, è molto comune che insorgano altri disturbi psichici: in particolare il disturbo ossessivo-compulsivo, di cui emerge soprattutto la caratteristica del perfezionismo (che, tra l’altro, può essere anche uno dei fattori scatenanti dei disturbi alimentari restrittivi), il disturbo borderline di personalità e il disturbo evitante.

Questi tre disturbi influiscono fortemente sulle relazioni con gli altri: il perfezionismo conduce a evitare situazioni sociali, di convivialità, che possono distrarre da quello che si sta facendo e che si ritiene necessario e ”produttivo”; il disturbo borderline risulta in una forte instabilità relazionale che, inevitabilmente, conduce a perdere contatti e all’isolamento; infine il disturbo evitante di personalità causa inadeguatezza, timore di un giudizio negativo da parte degli altri e perdita di socialità. 

Come il cibo influisce sull’umore

Anche la condizione fisica influisce sull’umore e, di conseguenza, sull’atteggiamento verso gli altri: è stato dimostrato tramite un esperimento che quando si è fortemente sottopeso, si è più irritabili e si rischia di cadere in depressione; e così vengono minati ulteriormente i rapporti sociali che si coltivavano prima.

La restrizione alimentare prende le forme, metaforicamente, anche di una restrizione relazionale: si pensa di non meritare nemmeno l’amore degli altri, oltre al cibo, quando invece le persone vogliono solo tendere una mano. 

Nella mia esperienza personale ho notato che davvero la qualità dell’alimentazione influisce direttamente sull’umore: quando non mangiavo ero irritabile, rispondevo male ai miei familiari, tendevo a isolarmi e a voler stare da sola; riprendendo a mangiare, pian piano, ho anche ripreso a sorridere davvero, a essere spensierata e a godermi i momenti di convivialità.

Guarendo, mi sono resa conto che chi mi circonda voleva soltanto il mio bene, che tutte le parole che io prendevo come sfide erano, in realtà, volte ad aiutarmi.

Ma quando si hanno tante voci che gridano nella testa, la razionalità si offusca e non si capisce chi ascoltare e chi no. 

Perchè è importante parlarne?

Parlarne con chi c’è intorno risulta difficile perché ci si sente a disagio, ci si sente diversi, impauriti, ci si vergogna di quello che sta succedendo: ma non dobbiamo e non possiamo vergognarci di quello che stiamo passando, stare male è umano e si chiede aiuto. Quando una persona si rompe una gamba va in ospedale, quando uno ha mal di testa va dal medico; e allora perché vergognarci di una malattia, di quello che ci sta accadendo?

Parlarne fa bene, aiuta a mantenere vive le nostre relazioni, la fiducia che abbiamo negli altri e viceversa.

E uscendo da un disturbo alimentare si può riprendere la vita di prima; può risultare difficile perché la nostra mente potrebbe avere degli ingranaggi che ancora non funzionano perfettamente, le nostre voci potrebbero continuare a urlare, ma noi siamo più forti.

I rapporti sociali risentono di un disturbo alimentare, è vero, ma se si accompagna chi ci circonda nel nostro mondo, se si mostra quello che si prova, è più facile riuscire a gestire le relazioni: le persone comprendono, vogliono aiutarci perché ci vogliono bene, quel che resta è dare loro la possibilità di farle entrare. 

Contenuto a cura di Francesca Lucarini

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Pasta Secca 500g

Ingredienti: Semola di Grano Duro Lucano del Parco Nazionale del Pollino, Acqua.

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Valori Nutrizionali

(valori medi per 100g di prodotto)

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