Raccontare l’ARFID: cosa c’è dietro la paura del cibo?

raccontare l'ARFID: cosa c'è dietro la paura del cibo

Quando parlo alla mia psicologa degli alimenti che mi spaventano, dell’ansia che provo nelle situazioni di convivialità, di quanto mi terrorizzi l’idea di non digerire un pasto, lei mi chiede: “Cosa racconta questa paura?”. La sua domanda è sempre seguita da un lungo momento di silenzio, in cui cerco di analizzarmi per trovare delle risposte. Nel tempo, questo lavoro mi ha permesso di attribuire un significato al Disturbo Alimentare che mi è stato diagnosticato circa due anni fa, ma di cui soffro da quando ero adolescente: l’ARFID. 

Nel mio caso, la patologia si manifesta attraverso una paura legata ai possibili effetti negativi del cibo sul mio corpo: senso di pesantezza, indigestione, dolori, nausea, vomito. Nella fase più acuta del disturbo, la voce della malattia mi diceva che sarei stata bene solo se avessi avuto lo stomaco vuoto. Oggi, dopo mesi e mesi di lavoro psicologico, sono in grado di interpretare tutto ciò. In quel periodo, avevo bisogno di sentirmi leggera per tollerare il peso dell’esistenza: il peso di ricordi dolorosi, dell’ansia da cui ero costantemente soffocata, di una quotidianità in cui non ero in grado di concedermi piaceri, perché non credevo di averne diritto. 

Oggi sono consapevole che la mia paura del cibo rappresenta metaforicamente paure molto più profonde, e so che, per guarire, è fondamentale affrontare queste paure. Perché l’ARFID è molto di più del non riuscire a ingurgitare un boccone.

Una definizione di ARFID

Il termine ARFID, acronimo dell’inglese Avoidant/Restrictive Food Intake Disorder (“disturbo evitante restrittivo dell’assunzione di cibo”) indica un Disturbo Alimentare caratterizzato da una limitata assunzione di cibo e dal rifiuto di determinati alimenti o caratteristiche del cibo

Spesso, il disturbo si manifesta attraverso la mancanza di interesse per il cibo, l’evitamento di interi gruppi alimentari o di certe consistenze e il consumo di una gamma ristretta alimenti. Tipicamente, la restrizione alimentare non è legata alla volontà di perdere peso o alla preoccupazione della persona per il proprio corpo. 

Come si spiega in un articolo di IPSICO, l’ARFID può essere distinto in tre sottotipi che non si escludono a vicenda: 

  1. Il primo sottotipo si caratterizza per un disinteresse verso il cibo, spesso associato a difficoltà emotive (come preoccupazioni, ansia o tristezza) che influiscono sull’alimentazione. 
  2. Le persone che rientrano nel secondo sottotipo presentano una sensibilità sensoriale che le porta a evitare cibi con determinate caratteristiche. Per esempio, chi soffre di questa patologia può escludere alimenti con consistenze, colori o temperature che pensa di non tollerare. 
  3. Il terzo profilo è contraddistinto da una riduzione dell’apporto nutrizionale dovuta alla paura di possibili effetti negativi del mangiare. In particolare, si temono conseguenze come vomito, soffocamento o dolori addominali. 

È essenziale sottolineare che i comportamenti che caratterizzano questa patologia, come la selettività alimentare, il disinteresse o l’avversione verso il cibo e le preoccupazioni legate all’alimentazione, sono espressione di un disagio psicologico più profondo che richiede cure specifiche. 

ARFID: cause, conseguenze e trattamento

Come evidenziato da diversi esperti, l’ARFID è più frequente nei bambini e negli adolescenti, ma possono soffrirne anche gli adulti. In un articolo sull’argomento, la psicologa e psicoterapeuta Angela Marchese spiega che la comparsa del disturbo può essere ricondotta a fattori genetici, problemi sensoriali o episodi traumatici legati all’alimentazione, come soffocamento, nausea, vomito o influenze intestinali.

Le conseguenze fisiche dell’ARFID generalmente includono perdita di peso, deficit nutrizionali, riduzione della massa muscolare e affaticamento generale. Sul piano della salute mentale, invece, la patologia può comportare difficoltà quali ansia sociale, isolamento e depressione

Per quanto riguarda il trattamento, l’ARFID generalmente richiede l’intervento di un’équipe multidisciplinare che fornisca supporto medico, psicologico e nutrizionale. Attraverso il percorso di cura si cerca di ripristinare un’alimentazione sana ed equilibrata, di migliorare il rapporto del paziente con il cibo e di lavorare sulle cause profonde della malattia. In particolare, a livello medico è fondamentale identificare e trattare le conseguenze fisiche della restrizione alimentare, se presenti; in alcuni casi, può essere prescritta una terapia farmacologica al fine di calmare specifici sintomi. La psicoterapia permette di identificare e contrastare pensieri disfunzionali e paure associate all’alimentazione. Parallelamente, può essere utile intraprendere una terapia familiare volta a migliorare la comunicazione con i membri della famiglia e creare un ambiente di supporto. Infine, un nutrizionista specializzato in Disturbi Alimentari può aiutare il paziente affetto da ARFID elaborando uno schema alimentare personalizzato.

ARFID e sensibilità sensoriale: la storia di Chris Sherman

“Se il mio Disturbo Alimentare fosse un tessuto, i problemi sensoriali rappresenterebbero il filo conduttore che ha innescato, esacerbato e contribuito ad altri comportamenti alimentari disfunzionali”. 

È con queste parole che Chris Sherman, terapeuta che si occupa di Disturbi Alimentari, inizia a raccontare la propria storia in un articolo scritto per l’organizzazione americana Project Heal. 

“Per esempio”, ricorda Sherman, “I problemi sensoriali che sperimentavo alla mensa scolastica (gli odori, i rumori e le pressioni sociali) mi rendevano vulnerabile alle abbuffate, perché quando arrivavo a casa avevo molta fame. Durante le estati con troppi stimoli, in luoghi con cibi poco familiari, ricevevo complimenti perché perdevo peso molto velocemente. Una grave infezione allo stomaco non diagnosticata mi convinse che solo una ristretta gamma di alimenti non mi avrebbe fatto stare male”. 

“Il programma di cura prometteva che se avessi mangiato un’ampia varietà di alimenti, i miei problemi gastrointestinali sarebbero scomparsi e avrei sviluppato associazioni positive col cibo. Per superare la sensazione disgustosa del cibo in bocca, presi l’abitudine di ingurgitare gli alimenti senza masticarli. Con il passare degli anni, questa abitudine esacerbò i miei disturbi gastrointestinali e creò associazioni sempre più negative con il cibo. Dentro di me, sentivo di aver fallito nel percorso di recovery. Avevo imparato a seguire lo schema e a nutrirmi per sopravvivere, ma comunque non mi piaceva mangiare. Con l’aggravarsi dei problemi digestivi, il cibo divenne sinonimo di dolore e terrore”.  

La guarigione dall’ARFID: disimparare “quella paura” 

Sherman prosegue il proprio racconto ricordando i primi cambiamenti positivi. “Comprendere la mia esperienza con l’ARFID e le difficoltà sensoriali mi consegnò un linguaggio importante e fortificante. Per la prima volta, imparai a dire qualcosa di più di: ‘Io questo non lo mangio’. Imparai a descrivere le mie preferenze, il mio disagio fisico e le mie contraddizioni. Incontrai un medico specialista che individuò e curò due infezioni allo stomaco. Poi mi toccò il duro lavoro di provare gli alimenti che temevo mi avrebbero fatto stare male. Una volta trattate le infezioni, mi resi conto che se avessi masticato, molti cibi non avrebbero provocato più quell’effetto. E certe volte, per il mio corpo fu davvero difficile disimparare quella paura”. 

Per concludere, Sherman afferma che ci sono ancora giorni in cui gli stimoli eccessivi, l’ansia o i disturbi fisici rendono i pasti più complicati. Tuttavia, sono più numerosi i momenti in cui trova gioia, emozione e connessione attraverso il cibo, molto più di quanto avesse mai creduto possibile.   

ARFID e difficoltà quotidiane: alcuni consigli 

Nella parte finale dell’articolo, Chris Sherman si rivolge ai lettori e alle lettrici con un vissuto simile al proprio, offrendo loro alcuni consigli. Quando la sensibilità sensoriale interferisce con la relazione della persona con il cibo o rende difficile la ripresa da un Disturbo Alimentare, può essere utile adottare i seguenti comportamenti: 

  • Prendere consapevolezza degli stimoli sensoriali a cui si è particolarmente sensibili (sapori, consistenze, aspetti visivi);
  • Comprendere che le incongruenze fanno parte della complessità della situazione, per cui variare l’alimentazione può risultare più facile in alcuni giorni che in altri;
  • Limitare gli stimoli esterni (come i rumori) durante il pasto;
  • Esercitarsi a calmare il sistema nervoso, attraverso tecniche come la respirazione profonda;
  • Masticare, in quanto una cattiva masticazione può comportare difficoltà digestive che la persona con ARFID tende ad attribuire al cibo, vedendolo come un nemico;
  • Consultare un medico specializzato in disturbi gastrointestinali, che spesso sono correlati alla sensibilità sensoriale; 
  • Identificare cibi sicuri in base alle proprie esigenze specifiche; 
  • Mangiare regolarmente, poiché posticipare il pasto potrebbe renderlo ancora più difficile, e tenere i cibi sicuri a portata di mano.

L’ultimo punto dell’elenco propone un consiglio estremamente prezioso per chiunque soffra di un Disturbo Alimentare: essere gentili con se stessi

“Il cibo è un’esperienza psicosociale”, scrive Chris Sherman. “È difficile sentirsi strani è diversi. Ci si sente soli quando si ha paura e non si trovano le parole per spiegarlo. Può essere terribile non essere creduti. Non sei solo nella tua lotta. La tua lotta è reale e valida. Celebra le piccole vittorie e vai avanti, un morso alla volta”. 

L’articolo è stato scritto da Sofia, volontaria dell’Associazione

Contenuto a cura di Animenta

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