Risorse utili
Come stare accanto ad una persona che soffre di Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA)? Ci sono dei campanelli allarme da osservare? A quali strutture dovrei rivolgermi?
Queste sono alcune delle domande che riceviamo ogni giorno e alle quali, attraverso questa pagina, proveremo a rispondere.
Qui troverai una serie di risorse utili a chi sta affrontando o ha affrontato un Disturbo del Comportamento Alimentare e a chi gli sta a fianco. Il mondo online è sempre più dispersivo e spesso può essere faticoso trovare le informazioni giuste.
Come Associazione abbiamo pensato di racchiudere nelle seguenti sezioni le informazioni più importanti e utili alle persone:
I Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA):
Quando si parla di Disturbi della Nutrizione e Alimentazione (DNA), più comunemente noti come Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA), ci si riferisce ad un gruppo specifico di problematiche particolarmente invalidanti, relative ad un alterato consumo o assorbimento di cibo, che compromettono significativamente la salute fisica o il funzionamento psicosociale. Hanno come focus principale un’eccessiva attenzione al peso e al corpo, ma in realtà coinvolgono in maniera consistente più parti della vita di chi ne soffre: sfera familiare; relazioni interpersonali e di coppia; benessere emotivo e qualità della vita in generale.
Secondo la classificazione proposta dal Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali Versione 5 (DSM-5), i DNA si suddividono in sei categorie più due residue:
- Pica: corrisponde all’ingestione abituale, per almeno un mese, di sostanze non nutrienti e/o considerate non alimentari nella propria cultura come carta (xilofagia), terra (geofagia), feci (coprofagia), ghiaccio (pagofagia) etc. Il comportamento può essere legato a insufficienze mentali o a disturbi psicotici cronici con lunghe istituzionalizzazioni.
- Mericismo (rumination disorder): consiste nell’abitudine, che dura da almeno un mese, di rigurgitare il cibo deglutito per poi masticarlo e deglutirlo di nuovo o sputarlo. Può essere associato a insufficienze mentali o a disturbi psicotici. Nei bambini può essere un fenomeno transitorio.
- Avoidant Restricting Food Intake Disorder (ARFID): è un disturbo evitante – restrittivo. Esso è caratterizzato dall’evitamento di alcuni cibi con le conseguenti carenze nutrizionali che ne possono derivare. L’evitamento avviene, solitamente, per tre motivi: mancanza di interesse verso il cibo in generale, il timore di conseguenze negative (vomito, soffocamento etc.) e/o l’evitamento sensoriale di alcuni cibi per consistenza, colore e odore. È un disturbo tipico dell’infanzia.
- Anoressia Nervosa (AN): un disturbo caratterizzato da una forte restrizione alimentare e un forte bisogno di controllo a cui consegue, anche se non è detto sia sempre così, una repentina perdita di peso. Sono fortemente presenti pensieri ossessivi nei confronti di cibo, peso e corpo.
- Bulimia Nervosa (BN): un disturbo caratterizzato in un primo momento da un episodio di abbuffata (ingestione di grandi quantità di cibo in un arco di tempo limitato con sensazione di perdita di controllo e conseguente senso di colpa) e in un secondo momento dalla messa in atto di condotte compensatorie con lo scopo di “eliminare” quanto precedentemente ingerito. Spesso, abbuffate e condotte compensatorie, avvengono in maniera ciclica.
- Binge Eating Disorder (BED): anche chiamato Disturbo da Alimentazione Incontrollata (DAI), è un disturbo del comportamento alimentare caratterizzato da abbuffate consistenti e frequenti, ma non prevede un ricorso alle condotte compensatorie. Le abbuffate possono essere oggettive o soggettive. In questo secondo caso in particolare, l’individuo che ne soffre è convinto di aver avuto un episodio di abbuffata pur non avendo realmente ingerito ingenti quantità di cibo.
Le categorie residue sono “Altro disturbo della nutrizione o dell’alimentazione specificato (other specified feeding or eating disorder)” in cui rientrano forme incomplete o sottosoglia di anoressia nervosa, bulimia nervosa o disturbo da alimentazione incontrollata; disturbo con condotte di eliminazione (“purging disorder”); sindrome del mangiare di notte (“night eating syndrome”) e “Disturbo della nutrizione o alimentazione non specificato (unspecified feeding or eating disorder)” a cui si fa riferimento per segnalare la presenza di un DNA senza specificare le caratteristiche (ad esempio per mancanza di informazioni). Vi sono poi ulteriori manifestazioni di un rapporto alterato con l’alimentazione e con la propria forma corporea quali l’ortoressia che può essere rappresentata come estremizzazione dell’attenzione per la qualità e purezza degli alimenti e anche come un forte desiderio di controllo ancorato al cibo; la vigoressia o bigoressia (è una sindrome in cui gli individui, solitamente di sesso maschile, anche se visibilmente molto muscolosi, credono erroneamente di essere magri e di avere un fisico poco muscoloso. Questa alterata percezione corporea conduce ai comportamenti tipici di questa sindrome: passare la maggior parte del proprio tempo in palestra ad allenarsi, seguire un regime dietetico rigido, evitare le situazioni in cui il corpo viene messo in mostra, utilizzare sostanze anabolizzanti per gonfiare il proprio corpo); la drunkoressia (la pratica della restrizione delle calorie in modo da poter consumare più alcol e non aumentare di peso – CBS News, 2008; Kershaw, 2008; Smith, 2008; Stoppler, 2008).
Secondo le stime del SISDCA (Società Italiana per lo Studio dei Disturbi del Comportamento Alimentare) le persone che soffrono di DCA in Italia sono più di 3 milioni e quasi 4000 persone ogni anno perdono la vita a causa di queste malattie. I soggetti più colpiti sono i giovani dai 15 ai 25 anni, ma negli ultimi anni si è riscontrato un aumento dei casi in soggetti più giovani (8-11 anni). Per anni si è diffuso il falso mito che un disturbo alimentare potesse essere diagnosticato solamente in persone dai corpi esili ed emaciati, quando in realtà un DCA non è sempre ed unicamente legato all’aspetto esteriore di una persona: in quanto disturbo psichiatrico, un DCA può affliggere chiunque indipendentemente dal peso o dall’estetica. Inoltre è importante ricordare che, nonostante sia un disturbo storicamente femminile, un DCA non ha sesso e colpisce sia uomini che donne: secondo una stima del 2020 la percentuale dei soggetti maschili affetti da un disturbo alimentare si aggira attorno al 5-10% nei casi di anoressia e il 10-15% nei casi di bulimia.
“Spesso, quando mi capita di incontrare voi genitori dopo aver visitato i miei giovani pazienti, mi sento chiedere: «Quanto tempo ci vorrà?». A questa domanda, del tutto legittima, rispondo sempre nel medesimo modo, ovvero che la cura di un disturbo del comportamento alimentare richiede tempi lunghi. L’arco temporale medio di trattamento per l’anoressia, la bulimia o le dipendenze da cibo è di circa cinque anni. Non è detto che in questo periodo di tempo l’intensità del disturbo o delle cure sia sempre elevata: sarà un percorso contraddistinto da fasi più o meno intense, anche da periodi con minore intensità sintomatica e ridotta intensità terapeutica, ma è giusto chiarire che per uscire dal tunnel probabilmente dovranno trascorrere dai quattro ai cinque anni.”
Dott. Leonardo Mendolicchio in “Il peso dell’amore”
È fondamentale comprendere che i disturbi alimentari, così come molte altre psicopatologie, necessitano di lunghi tempi per la guarigione in quanto hanno radici ben più profonde dei sintomi che vengono mostrati all’esterno. Nonostante ciò, la guarigione è possibile e uno stile di vita esente da comportamenti disfunzionali è raggiungibile: è un percorso impegnativo, pieno di alti e bassi, ma è un percorso che si può affrontare e che può avere un inizio ed una fine.
In generale esistono dei comportamenti comuni a tutte le tipologie di DCA, come:
- Preoccupazione per il peso, il cibo, le calorie, le diete e/o l’immagine corporea;
- Sviluppo di abitudini alimentari estreme, ritualizzate e/o segrete;
- Ritiro dalle amicizie e dalle attività abituali, soprattutto se coinvolgono dei pasti condivisi;
- Sensazione di isolamento, depressione, ansia o irritabilità;
- Concezione del proprio valore in riferimento alla forma fisica;
- Dispercezione corporea;
- Frequenti controlli della propria forma fisica e pesate molto frequenti;
Esistono però delle distinzioni in base alle varie tipologie di disturbo: per esempio nella bulimia nervosa sono spesso frequenti compensazioni (vomito autoindotto, lassativi…) delle abbuffate. Nell’anoressia nervosa è molto diffuso l’esercizio fisico estremo e l’evitamento di certe macro-categorie alimentari e/o cibi fobici, oltre alla frequente consuetudine di cucinare dei pasti per gli altri e non per se stessi. Nel binge eating disorder gli episodi di compensazione non sono presenti, nonostante siano però presenti cicli di abbuffate in solitudine e spesso in mancanza di una fame vera e propria. A questi episodi segue poi un forte senso di colpa e di vergogna verso se stessi per l’accaduto. Nella vigoressia sono molto frequenti,, oltre all’esercizio fisico estremo e totalizzante, le assunzioni di integratori alimentari o steroidi anabolizzanti.
I DCA e i loro falsi miti
Nonostante si pensi ai DCA come una problematica esclusivamente riguardante le donne, anche gli uomini possono soffrire di queste malattie. A questo fatto è fortemente collegato il concetto di stigma, ampiamente percepito dalle persone di genere maschile. Uno studio condotto nel 2007 ha evidenziato che un terzo delle persone affette da DCA sono maschi.
In questi casi la malattia può presentarsi anche con sintomatologie diverse. Ad esempio si è visto che gli uomini tendono ad avere una minor preoccupazione per l’essere magri in sè e tendono ad avere una forte attenzione verso la muscolatura e la prestazione fisica (Strobel C., et al., 2019).
Spesso si crede che i DCA siano capricci perché i più li associano al “non voler mangiare” o il “non voler dimagrire” o ancora a fattori estetici. Ridurre un malattia mentale con conseguenze fisiche ad un capriccio è estremamente denigratorio. I DCA sono psicopatologie complesse di natura multifattoriale e necessitano dunque di un trattamento interdisciplinare.
Questa è una frase che spesso viene usata con l’intento di sminuire una condizione patologica e viene riportata tanto da “persone comuni” quanto, fin troppo spesso, anche dal personale medico-sanitario. Questa visione, forse figlia di un passato già al tempo distorto, ha contribuito a costruire una narrazione disfunzionale intorno a questa malattia.
L’anoressia nervosa può essere causata anche da una componente genetica. Possono poi concorrere tanti altri fattori di natura sociale, psicologica e relazionale che non hanno nulla a che fare con il desiderio di sfilare su una passerella d’alta moda. .
“Essere una buona forchetta”, espressione alternativa per dire “mangione”, “ghiottone”, è una frase che molte persone, in particolare se sono in sovrappeso o soffrono di obesità (ma non solo!) si sentono dire. A seconda della persona, dei modi e delle sfumature e del contesto in cui viene utilizzata, questa frase può essere più o meno offensiva. Sicuramente però non descrive il comportamento di chi soffre di binge eating disorder dal momento che, in questo caso, ci troviamo di fronte ad una persona che in preda ad un impulso incontrollabile assume in un tempo estremamente breve grandi quantità di cibo. A questo episodio seguono poi imbarazzo, vergogna e senso di colpa per quanto accaduto e queste sensazioni alimentano un circolo vizioso di malessere e sofferenza. Non c’è reale piacere nell’atto del nutrirsi in questo modo; non c’è spazio per il gusto. Si tratta di un impulso irrefrenabile che necessita di essere soddisfatto. In aggiunta il cibo, così come anche il peso e il corpo, divengono dei perni centrali attorno ai quali ruota la vita della persona stessa e quindi sono aspetti che condizionano fortemente la quotidianità.
Basta mangiare un po’ di più. Basta mangiare un po’ di meno. Basta muoversi di più. Basta muoversi di meno.
Quante volte si sentono dire queste frasi? Se bastasse questo a risolvere i DCA probabilmente non sarebbero più di 3 milioni le persone che ne soffrono.
Semplificare malattie che, per natura, sono complesse purtroppo non è una soluzione ed è per questo che la frase “basta un po’ di forza di volontà” non descrive la realtà dei fatti.
Sicuramente la volontà è importante, nella misura in cui nessuno può “fare le cose” al posto del/della paziente, ma non è l’elemento chiave.
Chi soffre di anoressia si sforza di non avere fame, combatte la fame, che è ben diverso.
Ha fame, il corpo implora di essere nutrito ma questo bisogno viene ritenuto non degno di essere ascoltato.
Famiglia/Amici e DCA
La presenza di un disturbo alimentare può essere rintracciata attraverso una serie di “campanelli d’allarme” di diverso tipo. Accade spesso infatti che i disturbi del comportamento siano accompagnati da altre condizioni cliniche come depressione, ansia, disturbo ossessivo – compulsivo e in generale una mentalità rigida e severa nei confronti della vita e di se stessi.
Oltre a questi aspetti personali, la nascita del DCA può essere influenzata dalla società in cui viviamo che, schiava della diet culture, o cultura della dieta, esalta l’ideale della magrezza e della perfezione come garanzia di bellezza e di successo/autorealizzazione.
Una persona che soffre di DAN potrebbe riconoscersi in alcuni di questi aspetti:
- concezione del proprio valore in riferimento alla forma fisica
- dispercezione corporea
- bassa autostima di sè e delle cose che si fanno
- frequenti controlli della propria forma fisica
- andare in bagno subito dopo i pasti
- evitare di mangiare insieme agli altri
- cucinare per gli altri
- evitare attività sociali
- iperattività
- irritabilità
- sbalzi d’umore
- indossare vestiti che non sono della taglia giusta
Accade spesso che coloro che si trovano vicino ad una persona che soffre di DCA, provino un forte senso di smarrimento e di impotenza rispetto ad una situazione che è molto complessa da gestire. Si teme che qualsiasi passo possa essere inadeguato e non è spesso chiaro come si possa essere realmente di aiuto. Un primo passo è rendersi conto e accettare di non poter “cambiare” l’altra persona. È possibile starle accanto, trasmetterle fiducia, cercare di incoraggiarla nel percorso che sta facendo. Un’altra cosa molto utile è informarsi, leggere, approfondire determinate tematiche per acquisire non tanto un “libretto d’istruzioni universale” poichè, di fatto, non esiste, quanto più avere qualche coordinata per potersi orientare in una situazione che a volte può essere davvero complessa.
Conoscere ed informarsi sul tema dei DCA permette di guardare le cose da un’altra prospettiva, permette di curare la propria comunicazione, di sospendere il giudizio, di comprendere cosa sia meglio dire o fare in alcune circostanze e questo può certamente favorire la (ri)costruzione di legami che spesso la malattia fa vacillare.
Un ruolo fondamentale lo hanno poi gli esperti. Se ci troviamo vicino ad una persona che sta affrontando un DCA è importante favorire il fatto che questa chieda aiuto a degli esperti del settore.
La comunicazione è un aspetto fondamentale delle relazioni e questo è vero sempre. A maggior ragione quando si affronta un DCA o si conosce qualcuno che è affetto da questa malattia, imparare a rimodulare la propria comunicazione può essere molto significativo.
È opportuno (e questo è vero sempre, a prescindere dalla psicopatologia) evitare commenti su quanto una persona mangi o non mangi; su quanto pesi o non pesi; sulle abitudini alimentari; sui cambiamenti corporei. È bene evitare di fare battute di qualsiasi natura, giustificandosi poi con l’ironia; è bene evitare di mettere a confronto la persona in questione con altre persone o altre situazioni.
Può essere molto utile parlare in prima persona di ciò che noi proviamo nel vedere la persona che è in difficoltà, piuttosto che lanciare sentenze o giudizi. Un esempio può essere il seguente: invece di dire una frase come: “certo che ultimamente stai sempre da solo/a, non mangi mai, su con la vita”, si potrebbe dire “sono giorni che vedo che sei sempre sola/o, mi sono un po’ preoccupato/a per te.. come posso aiutarti?”
Se percepiamo che la persona è distaccata, sulla difensiva o risponde in modo poco accogliente, ricordiamoci che c’è un motivo alla base, spesso dettato dalla malattia e quindi non necessariamente è arrabbiata con noi.
Alcune buone pratiche le abbiamo citate precedentemente: sicuramente informarsi, apprendere il più possibile in merito a queste situazioni; circondarsi di persone che possono capire ciò che stiamo provando e questo è possibile inserendosi nelle reti associative nazionali, partecipando a seminari, seguendo pagine online ecc..
Posso, se sento che può essere utile a me, chiedere anche io aiuto ad un esperto per comprendere come poter, a mia volta, essere di supporto alla persona cara in difficoltà.
Supporto online e offline
I DCA sono malattie multifattoriali ed è per questo che si curano in équipe. Sono molteplici le figure che intervengono tra cui: medici di base, pediatri, psicologi, psicoterapeuti (medici o psicologi con specializzazione in psicoterapia),psichiatri, educatori, infermieri, fisioterapisti, tecnici della riabilitazione psichiatrica e dietisti/nutrizionisti. L’approccio ai DCA deve, infatti, essere multidisciplinare e dunque deve integrare tutte queste professionalità della salute fisica e psicologica (Ministero della salute, 2008; 2013;).
Come faccio a trovare e scegliere l’esperto più adatto a me?
Trovare l’esperto più adeguato alle proprie esigenze è molto importante e per farlo ci si può avvalere di alcuni aiuti. Il medico di base può essere di supporto nella ricerca di un esperto, indirizzando il/la paziente alla scelta del professionista e/o del centro specialistico più idoneo (Ministero della salute, 2008). È possibile rivolgersi alle associazioni territoriali che possono fornire delle referenze grazie al lavoro di cooperazione e di rete che svolgono quotidianamente. È possibile sfruttare le piattaforme online dove troviamo varie informazioni in merito ad esperti e a volte anche rispetto a delle strutture. È possibile trovare anche “recensioni” che, per quanto possano essere indicative, sono il frutto di un’esperienza soggettiva e quindi è opportuno, di volta in volta, fare le proprie valutazioni personali.
L’intervento nutrizionale è curato dal dietista/nutrizionista e da medici di area internistica/nutrizionale. L’intervento sarà coordinato a livello multidisciplinare, quindi in equipe (Ministero della salute 2008;2013). Questo è un punto molto importante poichè spesso è possibile notare che indicazioni di natura alimentare vengono fornite, sia online che offline, da chi non ha alcuna competenza in materia e questo genera confusione. Per qualsiasi necessità legata al rapporto con l’alimentazione, è importante rivolgersi agli esperti qualificati.
Si è visto che alla base di un outcome terapeutico favorevole vi sia la costruzione di una salda relazione con il/la paziente e questo aspetto riguarda tutti, a prescindere dall’approccio terapeutico che si segue. Sono tuttavia molteplici gli approcci terapeutici che possono essere adottati e segue un elenco con degli approfondimenti relativi anche ai singoli disturbi alimentari.
- Il trattamento basato sulla famiglia (FBT, acronimo inglese), è considerato il trattamento standard per l’anoressia nervosa negli adolescenti. La FBT è stata sviluppata come trattamento ambulatoriale e concepisce la famiglia come una risorsa vitale attraverso la quale gli adolescenti possono raggiungere la guarigione. (Muratore, A. F., & Attia, E. (2021). Current therapeutic approaches to anorexia nervosa: state of the art. Clinical therapeutics, 43(1), 85-94.)
- La Terapia Cognitivo – Comportamentale (CBT, acronimo inglese) è uno degli approcci più utilizzati per i disturbi alimentari. Segue a questa una versione “potenziata” proposta da Fairburn che conosciamo con l’acronimo di CBT-Enhanced (CBT-E) che propone una visione transdiagnostica dei disturbi alimentari e viene somministrata convenzionalmente in 40 sedute. Si concentra sulla regolarizzazione dei modelli alimentari, sull’eliminazione dell’esercizio fisico o di altri comportamenti compensatori e sulla messa in discussione delle cognizioni che sostengono la sopravvalutazione della forma e del peso (ibidem).
La Terapia Interpersonale si è rivelata sul piano teorico molto efficace per disturbi come la bulimia nervosa e il Binge Eating Disorder (BED).
La terapia online mediante video-conferenza, chat, emails è un ottimo strumento poiché permette di allargare l’offerta di assistenza psicologica a coloro che dispongono di mobilità limitata o restrizioni temporali, fisiche di varia natura. Gli adolescenti (persone in cui i DCA hanno una altissima incidenza) sono più propensi ad utilizzare un servizio online poiché hanno maggiore dimestichezza con i devices elettronici. La terapia online è sconsigliata in quei pazienti con ideazione suicidaria, gravi psicosi e con una disfunzione dell’esame di realtà. Sono incoraggianti però le evidenze scientifiche riguardo alla terapia online che sembra avere ottimi risultati in pazienti con disturbi da attacchi di panico. Alla domanda , dunque, se sia preferibile una terapia online o una terapia tradizionale “face to face” l’unica risposta possibile è osservare i bisogni specifici del paziente e la sua sintomatologia. A partire da questi ultimi lo specialista potrà fare le sue considerazioni (Stoffle, 2001; F. Mancuso, 2019).
L’aspetto economico nella cura dei DCA è molto importante e sicuramente non trascurabile. Spesso, a causa dell’elevato costo delle cure, non si riesce ad intervenire in modo tempestivo ed adeguato. Lì dove le risorse sono limitate, un’opzione è rivolgersi ai servizi sanitari pubblici offerti dalla regione. Sappiamo che non tutte le regioni dispongono delle stesse possibilità e che i tempi di attesa sono spesso molto lunghi, ma questo è un primo passo che vale la pena tentare.
Un’ulteriore possibilità è contattare le associazioni territoriali per vedere se possono essere di supporto al caso specifico fornendo referenze di esperti che offrono servizi a prezzi calmierati.
Può accadere durante il percorso di terapia che non ci si trovi più così bene con l’esperto che segue il/la paziente. Sicuramente riteniamo che sia importante manifestare questa sensazione al/alla terapeuta per provare a comprendere il @perchè di questa situazione e valutare se c’è possibilità di proseguire o se sia il caso di valutare altre possibilità. Il paziente, in ogni caso, può interrompere la terapia e valutare la ricerca di un altro professionista. Ci si augura che la richiesta del paziente di cambiare terapeuta sia sempre accolta con gentilezza, accoglienza dal terapeuta (G. Fava Vizziello & S. Pasquato, 2011).
Le Associazioni che si occupano di DCA in Italia sono:
- Animenta
- Mi Nutro di Vita
- SISDCA
- FIDA
- Il Bucaneve
- Mi Fido di Te
- Associazione Perle Onlus
- ADEPO
- Fenice Lazio ODV
- Consult@ Noi
- ARCA
- In punta di cuore
- Associazione ACCA Lucca
- Associazione Onlus per Adriana
- ADAO
- Alice per i DCA
- A.F.co. D.A. ODV
- FADA ONLUS
- Voci dell’Anima
- ACCA
- Conversando
- AIDA
- Emmepi4ever
- Associazione Erika
- In punta di cuore
- Lo spazio lilla
- OIDA
- Associazione Nutrimente
- ABA
- La vita oltre lo specchio
Se sei un’associazione e non sei presente nella lista, puoi mandare una mail a info@animenta.org e ti aggiungeremo il prima possibile
Livelli di cura
Nel caso in cui si abbia un rapporto difficoltoso con l’alimentazione, è fondamentale chiedere aiuto. Se non si sa bene a chi rivolgersi, può essere utile informare il medico di base che poi dovrebbe provvedere ad indicare eventuali figure più adeguate; ci si può rivolgere alle strutture sanitarie dell’ASL del proprio comune che possono avere reparti specifici per DCA o reparti dedicati, più in generale, alla salute mentale; si possono contattare le associazioni presenti sul territorio per avere indicazioni su esperti/centri di riferimento; si possono contattare esperti conosciuti tramite ricerche online oppure tramite il “passaparola” per valutare la possibilità di un percorso; si possono contattare centri polispecialistici che si occupano di problematiche legate all’alimentazione; si può provare a contattare direttamente i centri che si occupano di DCA lì dove si presentano situazioni poco sostenibili e che necessitano di cure intensive.
In generale, online si possono trovare tante informazioni che vanno sicuramente verificate di volta in volta.
Per capire il livello di cura di cui si ha bisogno è importante il confronto con un esperto che possa effettivamente indirizzare verso la soluzione più adeguata alla singola situazione.
Si descrivono di seguito delle indicazioni per comprendere meglio le differenze tra i vari livelli di cura che sono 5 (Donini et al., 2010; Ministero della Salute, 2013):
- Primo livello: medico di medicina generale o pediatra di libera scelta;
- Secondo livello: terapia ambulatoriale specialistica. Si tratta di una rete interdisciplinare che coinvolge esperti quali medici internisti/endocrinologi, dietisti/nutrizionisti e psicologi-psicoterapeuti/psichiatri.
- Terzo livello: terapia ambulatoriale intensiva o centro diurno o day hospital (diagnostico/terapeutico/riabilitativo). È indicata in casi in cui il paziente, pur non rispondendo al trattamento ambulatoriale, ha motivazione e controllo discreto sui suoi comportamenti psicopatologici. Anche in questo caso sono coinvolti esperti interdisciplinari e i pasti sono consumati al centro o concordati con il dietista.
- Quarto livello: riabilitazione intensiva residenziale (cod 56 o ex art. 26). È indicata in casi molto gravi, dove la malattia impatta in modo gravoso la vita del soggetto o in caso di insuccesso dei percorsi di cura di minor intensità. Comporta una riabilitazione fisica, nutrizionale, psicologica e psichiatrica.
- Quinto livello: ricoveri H24 (ordinari o di emergenza);
Quando la propria regione non dispone di risorse utili ai fini terapeutici, si può ricorrere, se è funzionale e possibile, ad un percorso di terapia online. Se le condizioni dovessero essere più complicate si è costretti a chiedere aiuto in altre regioni diverse dalla propria. È chiaro che questo aspetto sia molto destabilizzante per il/la paziente e per la famiglia che è costretta a riorganizzarsi in funzione di questo evento.
Scuola/Università
Mi informo riguardo ai DCA, cercando di capire cosa sono e nello specifico cosa comportano.
Cerco di dare il mio aiuto e supporto il più possibile, evitando di fare sentire la/il mia/a collega a disagio, prestando quindi attenzione a possibili situazioni critiche (es. momento dei pasti/ conversazioni riguardo alimentazione e sport).
In caso di un soggetto che soffre di DCA, è importante instaurare un rapporto di fiducia tra insegnante ed alunno, in modo che questo possa sentirsi “al sicuro” insieme al suo docente.
Gli insegnanti hanno un ruolo importante e possono aiutare (anche in via preventiva) gli studenti per quanto riguarda la sensibilizzazione: si può spiegare ai ragazzi quali sono i “campanelli di allarme” e li si può aiutare in modo da ricostruire i concetti di percezione corporea ed educazione alimentare.
È importante specificare che l’insegnante non è un terapeuta e quindi non è richiesto che intervenga sotto il profilo clinico. Ha tuttavia un ruolo fondamentale dal punto di vista educativo e relazionale, sia per quanto riguarda la persona interessata che per quanto riguarda il gruppo classe. È dunque una figura fondamentale che può favorire il riconoscimento di determinate problematiche per riportarle alla famiglia affinchè si possa procedere ad un intervento adeguato a tempestivo.
Tramite eventi, conferenze, laboratori didattici da organizzare insieme ad esperti qualificati (psicologi psicoterapeuti, nutrizionisti, personal trainer, medici, Associazioni ecc).
Se sono un docente di educazione fisica/scienze posso approfondire maggiormente questi temi collegandoli anche al programma annuale previsto.
L’Associazione Animenta collabora spesso con le scuole/università.
Per avere informazioni ci si può rivolgere al seguente indirizzo e-mail: info@animenta.org mettendo nell’oggetto della mail: “Attività di prevenzione nelle scuole”
Sport
Per quanto l’esperienza possa insegnarci molto e ci permetta di comprendere che qualcuno, che conosciamo o meno, abbia delle difficoltà sotto il profilo alimentare, solo gli esperti (psicologi, psicoterapeuti, psichiatri e medici) possono effettuare una diagnosi di DCA. Quindi, qualora si dovesse presentare una situazione del genere, una cosa utile potrebbe essere proporre alla palestra una campagna di sensibilizzazione, un ciclo di incontri incentrati sui DCA con degli esperti e così via. Questo potrebbe non solo aiutare la persona che pensiamo possa averne bisogno, ma può favorire lo sviluppo di una maggiore consapevolezza in tutti i partecipanti.
La palestra è un ambiente in cui il peso, l’alimentazione e la prestazione corporea sono temi molto presenti. Se ci dovessimo rendere conto che una figura esperta (come un personal trainer) o qualcuno a noi vicino, insiste molto su queste tematiche e ne parla in un modo scientificamente inadeguato e scorretto, possiamo intervenire spiegando l’informazione più corretta (magari con dati alla mano), se ci preme favorire una corretta educazione alimentare e sportiva.
Se le difficoltà riguardano più la modalità con cui determinati aspetti vengono spiegati, è possibile intervenire e rivolgersi al proprio allenatore manifestando il proprio pensiero/le proprie sensazioni per capire come procedere nel percorso di allenamento nel modo più funzionale per entrambi.
Accade spesso quando si affronta un DCA che lo sport diventi solo ed unicamente un mezzo di compensazione e non più un piacere. Spesso si è mossi dal senso di colpa e non dalla passione per ciò che si fa e questo fa vivere male qualsiasi disciplina sportiva.
Se una persona cara ha questo rapporto con l’attività fisica, è importante, per prima cosa, astenersi da qualsiasi forma di giudizio e poi cercare di farle capire, al meglio che si può, che lo sport può essere visto anche sotto un’altra luce. Si possono consigliare dei contenuti da approfondire, dei profili social da seguire e così via.. Non è detto che tutto questo porti ad un risultato positivo, tutto dipende da caso a caso. È possibile però che questi aspetti possano favorire una maggiore consapevolezza nella persona, soprattutto se non si sente giudicata.
L’iperattività è qualsiasi genere di attività svolta in maniera eccessiva e/o compulsiva.
Ciò che più la caratterizza non è solo la quantità di tempo impiegato nell’attività motoria o la qualità dell’esercizio svolto, ma anche la mentalità con la quale ci si approccia al movimento. Chi ne soffre infatti vive l’attività fisica come una costrizione e non un piacere. Se per qualunque ragione non si svolge attività infatti, emergerà la sensazione di inadeguatezza, il senso di colpa e la frustrazione. E questo circolo vizioso continua e si ripete senza sosta. Per gestirla è pertanto necessario lavorare sulla reale funzione che il movimento ha nelle proprie vite, su quanto effettivamente influisca sulla nostra fisicità e su quanto prescinda dal bisogno di nutrirsi. Per questo, ancora una volta, il supporto degli esperti diviene fondamentale.
Quando una cosa piacevole come lo sport viene vissuta con uno stato di malessere, è importante provare a chiedersi il perchè. Sarebbe bene farlo, per come è possibile, con il supporto di un esperto che possa effettivamente accompagnare la persona in questa riflessione per comprendere cosa c’è alla base del malessere.
Ancora una volta è molto importante la vicinanza, l’assenza di giudizio, il provare a comprendere il perchè una persona si comporta in un determinato modo. Questo sicuramente può far sentire la persona meno sola ed accolta in un momento di difficoltà.
Social Media
All’interno dei social si possono trovare spesso informazioni che non sempre corrispondono alla realtà. E’ sicuramente importante verificare che queste informazioni siano comunicate da soggetti competenti e che siano tratte da fonti attendibili
(Esempio: un profilo che pubblica contenuti riguardo a consigli alimentari, è veramente gestito da una persona qualificata che per legge può farlo?)
Inoltre, è essenziale apprendere che ciò che vediamo sui social è solo una parte della vita delle persone. Non possiamo quindi giudicare né in bene, né in male quanto mostrato dagli altri sui social poichè non possiamo sapere se corrisponde a verità, o se comunque corrisponde al 100% della vita di quella persona.
(Esempio: una persona che posta sempre foto di viaggi, non è detto che sia sempre in vacanza. Così come una persona che appare sempre “perfetta” fisicamente, non è detto che abbia sempre quell’aspetto; non è detto che non usi fotoritocco. A volte basta una posa a cambiare la percezione di tutto).
Ognuno di noi può seguire i profili che vuole e che sono in linea con i valori che più lo rappresentano. Sicuramente può essere utile seguire profili che alimentano la buona considerazione di sè, che fanno divulgazione, che sensibilizzano rispetto a determinate tematiche; che forniscono informazioni e aggiornamenti in tempo reale su ciò che accade nel mondo ecc.. Non c’è una regola assoluta sui profili da seguire e su quelli da non seguire. La differenza la fa ognuno di noi che nel momento in cui segue un determinato profilo si espone di conseguenza ad una serie di stimoli ed è bene che questi siano il più possibile costruttivi.
Vi consigliamo di seguito una serie di profili con cui Animenta collabora attivamente e che fanno una corretta informazione.
Hai altri profili da consigliare? Mandaceli su info@animenta.org
Per rispondere a questa domanda è importante ragionare sia da creator che da utente (cioè da persona che interagisce con i contenuti creati dagli altri).
Nel momento in cui si crea un contenuto, è sempre bene chiedersi qual è l’obiettivo di questo contenuto e che effetto può avere sugli altri, soprattutto se il mio obiettivo è rivolgermi ad un’ampia community.
È importante curare al meglio il linguaggio, scegliere con cura le parole e assicurarsi di trarre le informazioni da fonti attendibili.
Se da utente mi imbatto in contenuti che non apprezzo, posso smettere di seguire determinate pagine o profili e, volendo, posso anche comprendere il perché mi diano fastidio così da poter sfruttare questo aspetto a mio favore, ampliando le mie conoscenze e la mia autoconsapevolezza.
Ricordarsi che non tutto ciò che vediamo online è reale è un ottimo aiuto per la gestione della comunicazione.
Il rispetto e il linguaggio adeguato, orientato al confronto e alla comprensione possono essere elementi utili.
I social e ad altre piattaforme come pinterest o netflix stanno sensibilizzando molto sul tema della salute mentale e dei DCA.
Infatti:
- se su Instagram si digita #eatingdisorder, si apre una sezione che offre una scelta: si può continuare a navigare o si può essere re-indirizzati verso una piattaforma che offre risorse utili;
- se su Pinterest si digita “eating disorder” o “disturbi alimentari”, appaiono delle sezioni per la richiesta di aiuto;
- anche Netflix si sta impegnando molto sul fronte “salute mentale” offrendo, tramite il sito “Wanna talk about it” delle risorse utili per chi si trova in un momento di difficoltà;
Dicci la tua
Questo spazio nasce per rispondere alle domande più comuni quando si parla di Disturbi del Comportamento Alimentare.
Se hai altre domande, argomenti o approfondimenti che pensi sia importante trattare compila il form e lavoreremo per aggiungerlo alle sezioni già presenti.
Lavorare insieme è importante!