In questi giorni ho pensato tanto a quello che avrei voluto scrivere in queste righe per raccontare la “mia storia“: mi sono posta molte domande in merito e ammetto che ho faticato un po’ nel ritornare indietro di qualche anno.
Ho sempre evitato di espormi su quanto mi è capitato, ma penso che farlo (soprattutto attraverso i social) sia il modo migliore per far riflettere chi ci sta intorno e per fare riaffiorare quella speranza che è lì, riposta nell’ombra e desiderosa di riemergere.
Mi chiamo Chiara, ho 24 anni compiuti qualche mese fa e ho terminato da poco il mio percorso di studi, conseguendo una Laurea Magistrale in psicologia dello sviluppo, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Ripensando agli anni passati, e precisamente ritornando tra i banchi di scuola dell’ultimo anno di liceo, tra commenti poco gradevoli sul mio corpo, storie d’amore finite male (sì, sono stata sfortunata anche in quello) e familiari non così presenti, ho conosciuto l’anoressia. Sentivo che tutto scorreva più velocemente ed ero io a tenere il timone saldo, o almeno così credevo.
Giorno dopo giorno, stavo iniziando a perdere tutto ciò che, tempo prima, era pronto a stimolarmi positivamente: lo sport, gli amici e la motivazione nello studio. Ma… niente paura mamma e papà! Va tutto bene!
In realtà, mi guardavo intorno e non capivo precisamente cosa stesse succedendo intorno a me.
Poi un giorno, qualcosa è cambiato.
Nonostante gli alti e bassi, soprattutto con gli aiuti giusti, ho preso consapevolezza di ciò che mi stava accadendo e di quello che stavo diventando.
Cara Chiara, ricordi il detto “non è mai troppo tardi?“
Grazie per averci creduto sempre: “è il tempo che hai perduto per la tua rosa, che ha reso la tua rosa così importante”.
Cara anoressia,
mi hai tolto tanto, dalle amicizie alle sicurezze che pensavo di avere.
In parte ti ringrazio, perché mi hai permesso di osservare quanto io sia forte: mi hai dato la motivazione e le basi per crescere come Psicologa pronta ad essere a servizio di tutte quelle persone che (come me un tempo) faticano a vederci qualcosa di positivo in quella confusione che sei capace di creare attorno.
Sei quella cicatrice che ad oggi guardo accennando ad un sorriso.
L’articolo è stato scritto da Chiara, volontaria dell’Associazione, che ha raccontato la sua storia