Il colonialismo alimentare è un processo attraverso il quale le potenze coloniali, nel corso dei secoli, hanno esercitato e continuano ad esercitare controllo sui territori colonizzati e i loro popoli. Si tratta di uno sfruttamento delle terre colonizzate per la produzione e coltivazione di alimenti tipici dei colonizzatori.
Cosa comporta?
Il colonialismo alimentare è stato ed è tuttora causa di perdita di tradizioni culturali e disgregazione del panorama alimentare (produzione, consumo e distribuzione).
Ha inoltre causato la perdita di autosufficienza per le comunità sottomesse che si sono ritrovate in condizioni di schiavitù e, private della loro libertà, non hanno potuto portare avanti le loro tradizioni e pratiche culinarie.
Questa pratica da parte delle potenze colonizzatrici non è stata un caso: un popolo privato della sua identità culturale, la quale deriva anche dall’alimentazione, risulta più facile da sottomettere e sfruttare.
Inoltre, dal punto di vista della salute, un cambiamento radicale delle abitudini alimentari può causare diversi problemi, tra cui un radicale abbassamento delle difese immunitarie che, automaticamente, comporta un maggiore rischio di morte.
Quale può essere l’effetto del colonialismo alimentare su un soggetto con DCA o a rischio?
Non ci sono studi che analizzano la relazione tra DCA e colonialismo alimentare: tuttavia, si può immaginare un quadro generale.
Caratteristica tipica del colonialismo alimentare è dare un valore morale superiore ad alcuni cibi rispetto che ad altri. Ad esempio durante la colonizzazione del sud America i conquistatori spagnoli consideravano gli alimenti tipicamente europei (come olio, olive, carne e grano) cibi “buoni”. Al contrario, il mais, i legumi, i pomodori e tutte le coltivazioni tipiche del Sud America erano riconosciuti come “cattivi”.
Se immaginiamo questo processo ai giorni nostri possiamo ben riconoscere la classificazione tra cibo “buono” e cibo “cattivo” tipica dei disturbi del comportamento alimentare. Un’esperienza di questo tipo potrebbe condurre, per esempio, allo sviluppo dell’ortoressia. In questa tipologia di DCA vi è una vera e propria ossessione per i cibi puri e incontaminati.
Inoltre, se pensiamo allo shock culturale causato dal fenomeno, si può intravedere quale strumento potrebbe essere utilizzato per far fronte ad un cambiamento di tali proporzioni: il controllo. Anche senza essere direttamente imposto quindi, il controllo sull’alimentazione ed il cibo si mostra come “arma di difesa”.
Sono stati effettuati invece studi sul colonialismo e sulla globalizzazione che ne è seguita. Uno degli studi più famosi sulla prevalenza di disturbi del comportamento alimentare in altre zone del mondo è quello di Becker et. Al. sulle isole Fiji (2002). Questo studio evidenzia come, con l’avvento della televisione in questi territori, i casi di anoressia e bulimia e l’attenzione verso una dieta sempre più restrittiva sono aumentati. Di conseguenza è avvenuto il rifiuto dell’ideale estetico tradizionale fijiano e quindi anche delle abitudini alimentari che portavano a forme corporee più robuste.
Dunque, possiamo notare come globalizzazione e colonialismo alimentare vadano di pari passo e come i popoli colonizzati siano costretti e persuasi ad adeguarsi alle abitudini dei colonizzatori.
Il cibo oltre la nutrizione
Il cibo non è mai stato semplicemente un atto di piacere e di nutrizione del corpo: se lo guardiamo da questo punto di vista il cibo è identità culturale, storia e autodeterminazione. Dunque, il cibo è anche potere.
Fonti
https://www.theprojectheal.org/blog/food-colonialism
https://foodispower.org/our-food-choices/colonization-food-and-the-practice-of-eating/
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/15847053/
L’articolo è stato scritto da Emma, volontaria dell’Associazione