Chi soffre di disturbi alimentari (DCA) è tormentato da un grande senso di solitudine e sente di non poter essere compreso da nessun altro. Le giornate passano ma si perde la cognizione del tempo e della realtà in generale. La vocina che risuona nella testa e che sembra essere un’amica sincera, è in realtà un grande nemico e il suo obiettivo è proprio quello di allontanarci da tutto e tutti, comprese le persone alle quali si tiene di più. Per questo motivo chiedere aiuto è così difficile, ma allo stesso tempo è il primo grande passo verso la guarigione, perché è un primo stacco dalla parte malata che vuole tenervi ancorate a sé.
Chiedere aiuto è difficile, ma necessario
Chiedere aiuto non è per niente facile, tante domande e preoccupazioni possono frenare dal farlo:
Con chi mi confido?
Mi capiranno?
E se non funziona?
È più che naturale avere pensieri del genere. Ricordiamoci che un disturbo alimentare funge da “coperta di Linus”, diventa la comfort zone da cui è difficile staccarsi, ma più passa il tempo più sarà complicato farlo.
Un primo passo per chiedere aiuto potrebbe essere parlare con un familiare, un adulto di riferimento, una persona di cui ci si fida e dalla quale ci si sente ascoltati e non giudicati.
L’esperienza di Federica
“Mi chiamo Federica, ho 17 anni e soffro di DCA da 4 anni, pur avendo sempre avuto un rapporto difficile col cibo e il mio corpo fin da quando ero piccola. All’esordio del mio disturbo alimentare, ero terrorizzata dal chiedere aiuto, ma allo stesso tempo ne sentivo il bisogno ogni giorno di più, perché tenere dentro me stessa tutta quella sofferenza mi stava soffocando.
Decisi così di scrivere una lettera a mia mamma, dato che la scrittura è una mia grande passione attraverso la quale riesco a esprimere cose che mi risultano più difficili da dire ad alta voce. Ricorderò sempre quel giorno, ero molto ansiosa e non sapevo come mia mamma avrebbe reagito, ma fortunatamente lei capì e iniziò a documentarsi sul come aiutarmi.
Al tempo ero già seguita da una psicologa che però non era specializzata e non riusciva a darmi il supporto di cui avevo bisogno. Passarono i mesi e il mio DCA mutò nella forma con cui convivo oggi: anoressia nervosa. Iniziai a essere seguita da un’equipe multidisciplinare, ovvero formata da psichiatra, psicologa e nutrizionista. Quella fu la vera salvezza: un lavoro d’equipe soprattutto nel trattamento di un disturbo alimentare fa la differenza perché le figure si interfacciano tra loro risparmiando una grande quantità di tempo, aspetto che in un percorso monodisciplinare gioca grande svantaggio. Ad oggi non sono guarita, ma se sono ancora qui è grazie alla mia equipe che non ha mai smesso di supportarmi e credere in me, sia nei momenti in cui stavo peggio ma anche in quelli in cui stavo meglio.”
Accettare l’aiuto di chi ce lo propone
L’importanza di chiedere aiuto emerge anche quando arriva il momento di lasciarsi aiutare quando non si ha la forza necessaria per accettare il proprio disturbo alimentare. Spesso succede che amici o familiari si rendano conto prima della persona interessata del problema, ma nonostante si propongono come aiutanti trovano dall’altra parte solo resistenza.
L’esperienza di Lucia
“Tra i miei 18 e 20 anni ho sofferto di disturbi alimentari. Come spesso succede insieme ai due mostri, bulimia e anoressia, che nel corso degli anni si sono susseguiti, mi ha colpito una grande e profonda sofferenza. Quest’ultima mi ha portato a mutare la mia personalità che, da solare ed estroversa, si è trasformata in cupa e triste. E’ proprio da questo che i miei familiari si sono accorti del problema, ma per molto tempo io non ne ho voluto sapere. E’ stato solo quando ho toccato il fondo che ho deciso di accettare l’aiuto di cui avevo bisogno e sono stata ricoverata. Durante la mia permanenza in clinica, ho cercato di sfruttare ogni singola opportunità ed accogliere ogni forma di aiuto:
- l’arteterapia e la terapia occupazionale mi hanno aiutato ad esprimere sotto forme diverse la mia sofferenza ed in questo modo condividerla con altri
- le terapie di gruppo mi hanno dato la possibilità di confrontare la mia esperienza ed il mio dolore con altre persone ed in questo modo sentirmi meno sola e sbagliata
- la psicoterapia mi ha permesso di capire le origini più profonde e le cause del mio disturbo alimentare, che, come sappiamo, è sempre la facciata per una problematica più profonda.
Per quanto riguarda la farmacoterapia è stato più complicato per me accettare subito quel tipo di aiuto. Volevo farcela senza quella tipologia di supporto in quanto mi sembrava una sorta di scorciatoia, ma dovevo fidarmi subito dei professionisti che consideravano indispensabile per me l’aiuto di tipo farmacologico. E’ solo quando ho accettato anche i farmaci oltre che agli altri aiuti disponibili, che finalmente sono guarita. L’equipe necessaria a trattare un disturbo alimentare è composta da diversi professionisti proprio perché, per uscire da un DCA, è necessario agire su diversi fronti.”
Non siete sol* nell’affrontare un DCA
Per quanto faccia paura, affidatevi. Se risulta troppo difficile confidarsi con le persone a voi care, sia per non farli preoccupare, sia perché potrebbero non capire, esistono i servizi specializzati nel trattamento dei DCA. La piattaforma Comestai, ad esempio, offre un servizio di terapia online composta da un’equipe multidisciplinare per intraprendere il percorso di recovery.
Ricordatevi che non siete sol*. Ci sono persone alle quali potete appoggiarvi fino a quando, senza neanche accorgervene, riuscirete a stare in piedi da soli e un giorno potrete ringraziare voi stessi per avercela fatta.
Non siete sol*.
L’articolo è stato scritto da Federica e Lucia, volontarie dell’Associazione