Che cosa vuol dire circolo vizioso restrizione-abbuffata?
A questa domanda, probabilmente, ogni persona che soffre di un disturbo alimentare risponderebbe in maniera differente. Quello che però vale per tutti è che questo circolo vizioso esiste davvero. Ed è talmente tanto estenuante da comandare (oserei dire) tutti i giorni, 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Si, come un dittatore. Come se fossimo sudditi di un potere più forte.
Perché mi viene in mente questa strana e apparentemente illogica similitudine?
Perché i DCA funzionano così.
Uroboro: il circolo restrizione-abbuffata per me
Quella maledettissima sanguisuga ti toglie tutto. Ti annulla e finché comanda lei, tu taci ed esegui.
Questo circolo per me si chiama Uroboro perché ha il potere di divorarsi e nutrirsi di sé stesso. Restrizione e abbuffata sono uno l’opposto dell’altro e la loro associazione sembra un ossimoro ma purtroppo, in questo caso, le due protagoniste del circolo sono migliori amiche. Il meccanismo di una e dell’altra è identico e per questo si alimentano a vicenda.
Per capirlo bisogna prima capire come funziona un disturbo alimentare. Tutti i disturbi alimentari sono uguali. L’incontrollabile dolore interno esce allo scoperto attraverso il cibo. Questa è ovviamente solo la famosa punta dell’iceberg, ma quelle radici sottostanti sono tipo il nostro apparato circolatorio.
Oltre alla nostra testa ci si mette anche il nostro organismo che biologicamente, quando capisce che nessuno lo sta nutrendo, entra in una modalità di paura che scatena la necessità di nutrimento. Questo è più o meno quello che succede quando si deve combattere questo circolo.
Come funziona la correlazione restrizione abbuffata?
Quando decidiamo di non nutrirci e di restringere, privandoci di ogni cosa e ogni alimento che secondo la nostra cattiva vocina non va bene, il nostro corpo richiede l’energia mancante ed è qui che si innesca il vortice.
Restrizione chiama abbuffata e abbuffata chiama restrizione.
È un meccanismo apparentemente impossibile da fermare ma, in realtà, da un DCA si può guarire e quindi anche questa combo può essere sconfitta.
È difficile riuscire a fermarsi sulle proprie emozioni nel momento in cui si sente lo stimolo dell’abbuffata ma credo che sia l’unico punto di partenza concreto da cui iniziare. La restrizione in sé ha effetti ovviamente rinforzanti nei confronti della malattia: non mangiare significa che il DCA sta vincendo. La vocina ha il controllo sulle nostre decisioni alimentari e se noi le diamo ascolto. La conseguenza è sentire quel senso di potenza sovrumana che abbiamo perso in tutti gli altri aspetti reali della nostra vita. Ma quando la vocina per un secondo smette di comandare e decidiamo di permetterci di ingerire anche solo un pezzetto di uno dei cibi proibiti ecco che può arrivare l’abbuffata.. Non è concepibile sgarrare: quindi, nel momento in cui lo si fa, tutta la fatica non ha più senso e il niente diventa tutto. Da una briciola parte l’abbuffata.
Come ho vissuto questi momenti?
Considero l’evento abbuffata come uno dei più deleteri e distruttivi meccanismi di un DCA. In quel momento, quando arriva lo stimolo e non lo si riesce a fermare è finita. Il mondo si annulla ed è come se in un nanosecondo venissimo catapultati in un mondo parallelo inesistente in cui tutto è permesso. La foga del momento, il sollievo minimo e frivolo del poter mangiare qualsiasi cosa, di nascosto, senza accorgersene e facendo qualsiasi miscuglio possibile nel più breve tempo possibile è una meritata tregua da tutto quel controllo sfibrante.
Ma dura poco. Dura pochissimo.
Appena finita l’abbuffata odio, vergogna, imbarazzo, disgusto, ribrezzo, sensi di colpa sovrastanti, ansia, rabbia, paura prendono le redini. E quindi bisogna assolutamente e istantaneamente rimediare a questa folle perdita di controllo e i metodi di compensazione sono l’unica possibile soluzione logica per riparare questo disastro.
Solo che così non rimediamo proprio nulla, perché la stiamo solo dando vinta a questo Uroboro.
Più ci priviamo di una cosa, più la vogliamo. Più voglio un paio di scarpe che per qualsivoglia motivo non posso avere, più quel paio di scarpe occuperà i miei pensieri ossessivamente.
E più ci priviamo di certi cibi, più il nostro cervello ne ha bisogno. Situazione insostenibile.
Quindi come si fa a uscire da questo loop?
Io non lo so. Ma so che tutto può essere un passo in avanti. Se anche solo per una volta cambio qualcosa vuol dire che posso cambiare tutto. Dalla quantità al tempo, dalla modalità alla scelta del cibo.
Lo stimolo dell’abbuffata lo conosciamo bene e sappiamo esattamente quando arriva. Ma se quando questo bullet train sta per transitare sui nostri binari pensassimo alla destinazione finale? Per quanto possa essere difficile e faticoso, se quando sento lo stimolo anziché bramare tutto quello che c’è di commestibile pensassi a come mi sentirò post abbuffata? Forse questo è un buon inizio.
Il senso di colpa e tutte le emozioni che seguono questo evento non le possiamo dimenticare perché fanno un male atroce. E se siamo così furb* da provare e riprovare ancora a pensare al dopo ogni volta che parte lo stimolo forse il coltello dalla parte del manico ce lo abbiamo noi. Se riusciamo a tenere a bada lo stimolo, la gratitudine che ci permettiamo di provare dopo non esser cadut* in tentazione sarà più che appagante e motivante.
Chiedere aiuto e affrontare il problema
Queste malattie oscure sono una conseguenza di tante e forse troppe cose buttate dentro al pentolone. Non siamo pazz*: siamo malate. Ma possiamo decidere di guarire prima che sia troppo tardi. Farci del bene non ci fa del male e farci del male non ci fa bene. L’abbuffata è una forma per punirsi, la restrizione è una punizione, i comportamenti compensatori li usiamo per castigarci.
Dobbiamo avere il coraggio di parlare a noi stess* e non far finta di non capire che il problema c’è solo perché è troppo faticoso affrontarlo. Ci dobbiamo far aiutare e sfruttare tutto e tutte quelle persone che ne sanno più di noi.
Vogliamo essere perfett*, disciplinat*, determinat*, ambizios*, obbedienti, adempienti, eccellenti e impeccabili. Ma in questo modo stiamo andando nella direzione più che opposta.
Ci vuole tanta energia per dare ascolto a questa malattia ma significa che questa energia noi ce la abbiamo.
E possiamo decidere di usarla in altri modi.
L’articolo è stato scritto da Ilaria, volontaria dell’Associazione