Animenta racconta i disturbi alimentari: la storia di Susanna e Arianna

animenta racconta i disturbi alimentari

Immaginate delle mura bianche, alte, sterili. Il tempo si incastra tra il suono ovattato dei passi e il metallo delle forchette che sfiorano i piatti. Ci sono alcune ragazze che sprofondano nei letti disfatti, avvolte dal silenzio. Altre procedono corsia per corsia, sfiorando le pareti con le dita in cerca di un appiglio. È qui che si incontrano le storie di Susanna e Arianna e dei loro disturbi alimentari.

Susanna e la diagnosi di disturbi alimentari 

È il 2021, Susanna ha 18 anni. China il capo, gli occhi camminano bassi nella penombra della stanza del Policlinico. Sente il peso di ogni respiro. Intorno a lei, sguardi preoccupati, distolti, indifferenti. Sono tutti in quella stanza, sua madre e i medici. Ancora non parlano di anoressia, le ossa non sono abbastanza visibili da giustificare un intervento medico. 

Le anamnesi moderne accennano al soggetto con formule sbrigative: bambina ben sviluppata, minuta, non soggetta a malessere acuto. Parole che avrebbero potuto adattarsi a chiunque. E poi, la nota del neuropsichiatra: annoiata.

“Non mi vedevano, ero solo un numero. Un peso di numero”, racconta oggi Susanna, a 22 anni. 

Una definizione che pesa quanto una diagnosi mancata. Nel 2021, il suo disturbo alimentare non viene riconosciuto perché non rientra nei parametri clinici. Ma dietro quei numeri, c’è una storia che nessuno ha voluto leggere.

Numeri, controllo e anoressia nervosa

Lei, della sua infanzia, ricorda solo l’obbedienza rigida e il torpore del controllo. Figlia unica, è sacrificata dentro una disciplina che non ammette deviazioni. I discorsi tra lei e suo padre si riducono all’osso: parlano solo quando lei rinuncia, già dai 13 anni, alle uscite per studiare. Deve risultare migliore ai suoi occhi, perché l’attenzione si ottiene solo con l’eccellenza. Susanna lo segue, sempre alla lettera. Con sua madre invece i discorsi sono più fisici. Non uscire coi capelli bagnati. Non sudare. Devi mangiare. Non sudare, devi studiare. Devi imparare a fare i calcoli, gli altri bambini sono più bravi. Non sudare. Sul piatto della bilancia, lei pesa sempre meno. E per dare il giusto peso alla matematica, deve toglierlo da altre parti.

Forse l’anoressia riguarda anche la matematica, se lo ripete mentre costruisce un mondo numerato fatto di metri, chili, tempi, calorie. I numeri diventano il suo salvagente, i numeri sono abbastanza. A differenza sua.

Nel 2017 la morte del padre. Gestisce il lutto attraverso la privazione. Il cibo non è la priorità, ma lo riduce il più possibile, quando sua madre non guarda. Da qualche parte bisogna iniziare a riempire i vuoti, e avere un controllo nascosto almeno su qualcosa le regala uno strano brivido di orgoglio. Cinque chili in meno sulla bilancia, poi ripresi, poi persi. Oscilla come una bambina su un’altalena, aspettando che sia la corda a cedere. 

Quando la madre chiede aiuto, i medici rispondono: Esottopeso, ma non un range malsano, dovrebbe perderne di più per allarmarci.”

Susanna non è abbastanza malata, e decide di accettare la sfida: “Vuoi che io perda peso? Posso farlo benissimo.” La decisione ha la stessa energia di una festa, circondata da un’aura di martirio. Più cerca di sparire, più diventa visibile: uno sguardo imprevisto, un chilo in meno calcolato. Il peso comincia a scendere drasticamente e realizza di essere capace, a gestirli lei i numeri. Arriva la diagnosi di ‘anoressia nervosa’. Bastarono due parole per definirla, due parole, ago e filo, cucite sulla pelle. Al Policlinico la imbottiscono di medicine e minacce. “Si arrabbiavano con me. Se rifiutavo il vassoio, niente festival del fumetto.”  La sua vita si riduce a un sintomo. E lei diventa il sintomo.

Dopo anni di liste di attesa e visite, Susanna arriva in un Centro specializzato in disturbi alimentari, dove è attualmente seguita. Qui, per la prima volta, è considerata come persona, le paure prese per mano e ascoltate, sconfitte. 

“Non serve per forza il ricovero, serve cura per curare”, afferma il responsabile del Centro. 

Arianna, tra autolesionismo e disturbi alimentari

Tra quelle mura arriva anche Arianna, con lo stesso carico di indifferenza sulle spalle. 

A sei anni, ha dovuto assumere il ruolo di genitore: suo fratello distrugge casa e alza le mani su di lei e su sua madre. Dopo ogni sfogo lui esce, lasciando dietro di sé una scia di frammenti sparsi sul pavimento, e lei raccoglie quelle schegge e consola sua madre. Si sente impassibile di fronte a tutta quella distruzione. In quei momenti odia sé stessa, per non essere stata in grado di disinnescare quella guerra in partenza.

A 12 anni conosce il corpo, al corso di danza classica. I paragoni con le altre ragazze sono inevitabili, tutte in body con i collant davanti agli specchi larghi che inghiottivano i riflessi. Ero visibile e i muscoli alle gambe li vedevo sbagliati su di me.” Arianna lascia incurvare la schiena, rilassa i muscoli, con le cosce che si distendono in maniera insopportabile contro il pavimento. Le ragazze la deridono con frasi infelici ed ingenue, confermando i pensieri associati al suo mondo esteriore.

Arianna infatti continua a sentirsi diversa. L’unica via sicura è ripararsi nella disciplina e nel controllo: scendere le scale con la gamba destra e, dal lato sinistro del letto, contare il numero esatto di volte in cui spegnere e accendere la luce, i libri impilati in precario equilibrio di materia e colore, e guai se sua madre li spostava. Le cose devono naturalmente stare fisse, per darle spazio di esistere. Diventa una macchina rigida e scattante, ma presto quella conquistata invisibilità le frana addosso. 

Arrivano i primi tagli, gli unici segnali abbastanza visibili da catturare lo sguardo dei genitori che si allarmano e lei avverte la colpa montare dentro di sé: doveva rimanere la figlia che non dava problemi. Cominciano i viaggi tra psicologi, psichiatri. E alla fine, il Centro specializzato in disturbi alimentari, dove incontra Susanna.

I DCA sono stati solo l’ultimo dei mille fogli e farmaci prescritti, lo sfogo esterno e visibile agli altri, di paure che da tempo vivevano in sé stessa.

“Ammalarmi non è stata una scelta. Non davo valore al cibo, finché non ho capito il potere che aveva di spegnere certe emozioni. Allora ho ceduto. Ero uno scheletro che camminava” dice oggi. Scrutava le vene gonfie allo specchio e, solo allora, lasciava andare un sospiro di sollievo. In quelle vene aveva incamerato tutto il dolore della sua infanzia e invece di liberarsene, aveva lasciato che occupasse spazio dentro di lei e ora eccolo, visibile a tutti.

Nel 2021 anche Arianna viene ricoverata, e oggi può ancora raccontare la sua storia. 

Serve cura per curare: il recovery dai disturbi alimentari

Nel Centro le ragazze hanno trovato un terreno fertile per rinascere. La cura ambulatoriale abbraccia psicoterapia, educazione arte-espressiva. 

Il dialogo tra corpo e mente è fragile. Le storie di Susanna e Arianna lo raccontano: le esperienze passano prima dal corpo, abitandolo come casa, distruggendolo come nemico ostile. 

Ma siamo solo corpo fisico?

L’articolo è stato scritto da Lucia, volontaria dell’Associazione

Contenuto a cura di Animenta

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Rasckatielli

Pasta Secca 500g

Ingredienti: Semola di Grano Duro Lucano del Parco Nazionale del Pollino, Acqua.

Tracce di Glutine.

Valori Nutrizionali

(valori medi per 100g di prodotto)

Valore energetico

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1302 kj

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13,00 g

Carboidrati

67,2 g

Grassi

0,5 g

Prodotto e Confezionato da G.F.sas di Focaraccio Giuseppe
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