Sviluppo di un Disturbo del Comportamento Alimentare: il ruolo della violenza domestica e assistita

Invisibilità, senso di colpa e controllo: tre parole che le persone che hanno sofferto o che soffrono di Disturbi Alimentari hanno imparato a conoscere bene. 

Ma sono anche parole che io, bambina vittima di violenza domestica e successivamente adolescente malata di Anoressia nervosa, ho imparato in fretta a metabolizzare.  

Qual è e quale potrebbe essere il ruolo della violenza domestica e assistita nello sviluppo di un Disturbo Alimentare?

Alcuni dati  dell’Istat

Il sito dell’Istat non lascia alcun dubbio: il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni ha subito una qualche forma di violenza una volta nella vita. 

Il report del servizio analisi criminale della direzione centrale della Polizia Criminale aggiornato al 6 marzo 2022 evidenzia come “Nel 2021 sono stati 119 gli omicidi con vittime di sesso femminile, a fronte dei 117 dello stesso periodo del 2020”, e come le donne uccise in ambito familiare siano aumentate ancora rispetto all’anno precedente, un’annata tristemente decisiva nel campo della violenza domestica. 

E purtroppo il trend sembra destinato a salire ancora in maniera vertiginosa…

Qual è il legame tra violenza e sviluppo di un Disturbo del Comportamento Alimentare?

Gli effetti della violenza sulla salute, soprattutto quella psichica, sono i più disparati: isolamento, incapacità di lavorare, malessere, impossibilità di prendersi cura di se stessi o dei propri figli… 

In particolare le vittime di violenza assistita possono sviluppare forti problemi a livello comportamentale, arrivando a soffrire di disturbi emotivi o del comportamento. 

“Disturbi del Comportamento…”

Un’espressione che conosciamo fin troppo bene, soprattutto quando accanto a questi termini si associa quello di “Alimentare”. 

Dunque, qual è il ruolo della violenza domestica (diretta o assistita) nello sviluppo di un Disturbo del Comportamento Alimentare? 

Se è vero che un Disturbo del Comportamento Alimentare (DCA) ha diverse cause, spesso tra loro molto diverse, è anche vero che il trauma di un ambiente familiare violento (sia che si tratti di violenza diretta, sia che si tratti di violenza assistita) lascia ferite spesso profonde e difficili da rimarginare che tanto hanno a che vedere con il bisogno di controllo che i DCA portano con sé. 

Eventi ed esperienze traumatiche, quali abusi sessuali e maltrattamenti fisici o psicologici (compresi incuria e comportamenti di neglect), alterano l’equilibrio psicologico, scardinando di fatto i meccanismi che ci permettono di interpretare la realtà che abbiamo davanti. 

Come sappiamo, infatti, con i Disturbi Alimentari il corpo diviene la tela bianca su cui trascrivere le nostre sofferenze e paure: lo investiamo di simboli dagli altri interpretabili come segni del nostro dolore. 

Così non mangiare, o mangiare troppo, restringere, oppure essere estremamente selettivi su ciò che decidiamo di “concedere” al nostro organismo, assume il ruolo di un potente anestetico che ci permette di focalizzare la nostra attenzione altrove, e non sull’imprevedibilità e il caos che comporta un ambiente violento e abusante.

“Mamma, guardami”

Uno degli aspetti più legati al Disturbo del Comportamento Alimentare è quello che mi piace chiamare il “mantello dell’invisibilità”: il tentativo quasi disperato di farsi piccoli piccoli, al punto tale da non creare fastidio, non occupare spazio e, soprattutto, non creare problemi

Starsene rinchiusi nel proprio mantello osservando la vita che passa e gli eventi che ci capitano davanti come se fossimo protetti dalla copertina di Linus, non percepibili agli occhi degli altri. 

Un elemento che contraddistingue la violenza domestica diretta o assistita è senza dubbio legato a doppio filo proprio all’esperienza dell’invisibilità. Perché? 

Quando un genitore subisce violenze, tutto il resto passa in secondo piano. 

Il focus dell’ambiente familiare gira intorno alla paura e al bisogno di accondiscendere le richieste dell’abusante, di modo da evitare scontri e tensioni. 

Il genitore abusato, di conseguenza, risulta incapace di soddisfare a pieno (e alcune volte del tutto) i bisogni dei propri figli, che si ritrovano a vivere una profonda solitudine e un grosso bisogno di essere visti e riconosciuti

I loro sentimenti perdono valore dinanzi alla paura

Il loro dolore non viene preso in considerazione. 

Il loro bisogno di cure viene annullato e, attivando il “mantello dell’invisibilità”, nemmeno i loro problemi vengono visti. 

In una condizione di questo tipo diventare invisibili, non fare rumore, non avere forme e non occupare spazio è puro istinto di sopravvivenza

E un DCA pare, da un lato, un modo per non creare problemi, ma dall’altro l’espressione più sincera del bisogno di essere riconosciuti, un modo per dire “Mamma, guardami, sono qui”. 

Il controllo e il senso di colpa

Un altro degli aspetti strettamente connesso alla violenza è quello del senso di colpa. 

La colpa è un sentimento che chi soffre di un Disturbo del Comportamento Alimentare conosce fin troppo bene: la colpa del cibo, la colpa di occupare spazio, di mostrare sentimenti, di esistere

Durante una seduta con una delle molteplici psicologhe che ho visto nel corso degli anni, questa mi disse: “Perché non riesci a mostrarmi come respiri?” e in quel momento mi resi conto di quanta colpa avvertissi per il solo fatto di respirare ossigeno, come se “rubassi” l’aria di qualcun altro, come se gli altri fossero più meritevoli di me. 

Per loro natura, i bambini tendono a considerarsi colpevoli delle situazioni violente, i diretti responsabili. Di conseguenza, anche in questo caso, lo sviluppo di un Disturbo del Comportamento alimentare funziona sia come una punizione severa per espiare i propri peccati, sia come un simbolo di controllo e disciplina. Davanti all’imprevedibilità di scatti violenti, riuscire a controllare quanta aria immettiamo nei nostri polmoni e quanto cibo possiamo concederci ci fornisce l’illusione di tenere sotto stretta osservazione anche l’ambiente circostante

In un certo senso è come se ci illudessimo di poter controllare la violenza attraverso quanto cibo possiamo consumare. 

Il bisogno di accudimento

La necessità di farsi piccoli, di venire cullati e alimentati come fossimo bambini, è spesso connessa ad un Disturbo Alimentare, ma anche particolarmente legata alla violenza domestica. Perché?

Quando ero bambina mi sono trovata spesso a dover difendere mia madre, ossia il genitore abusato, fisicamente ed emotivamente. Soprattutto emotivamente. 

Questo ha comportato una condizione molto comune in questi casi: il rovesciamento dei ruoli

Mi sono adultizzata in fretta, diventando il contenitore della regolazione emotiva di mia madre, provando a calmarla, quasi fossi io l’adulta tra le due. 

E questo ha funzionato fino a quando il bisogno di essere accudita è diventato troppo forte da sublimare.

Quando i tuoi bisogni non vengono riconosciuti o colmati, l’idea di “farsi bambini” per poter essere cullati e alimentati come infanti diventa quasi un bisogno primario. 

Questo è ciò che lega l’aspetto della violenza domestica alla nascita e allo sviluppo di un Disturbo del Comportamento Alimentare: il bisogno di recuperare un periodo di vita fortemente compromesso dalle situazioni di violenza intra-famigliare, la necessità di essere piccoli e la possibilità di essere fragili.

La Purificazione

Essere vittima di violenze, siano esse abusi fisici, sessuali o emotivi, comporta necessariamente il bisogno di far fronte all’esperienza traumatica “purificandosi” da quanto subito. 

La purificazione è, anche in questo caso, una strategia messa in campo dal Disturbo Alimentare: il ciclo di abbuffate e svuotamenti è tipico di questo processo. 

L’idea di svuotarsi dal cibo è parallela all’idea di svuotarsi da un dolore non facilmente tollerabile, non digeribile; e l’idea di dover perdere necessariamente del peso è strettamente legata alla necessità di lasciare indietro il peso del passato

Il processo di purificazione dal nostro passato è un meccanismo auto-consolatorio e di auto-guarigione, ma anche fortemente protettivo. 

Un metodo necessario per avere un corpo che noi consideriamo pulito, candido, incontaminato, libero dal peso del trauma e della violenza. 

Che cosa ci dice l’Istituto Beck

Secondo gli esperti, più della metà delle donne che hanno sviluppato un Disturbo dell’Alimentazione ha subito una violenza sessuale durante l’infanzia.  

In particolare, l’insorgenza della bulimia nervosa è 2.5 volte maggiore nei soggetti che hanno subito abusi infantili, mentre ben il 31% delle persone affette da Binge Eating hanno riportato abusi o violenze sessuali in età precoce. 

Lo stesso vale per l’anoressia nervosa, con una percentuale del 48% nello studio tenuto da Carter e collaboratori (2006). 

A livello scientifico, infatti “(…) Dopo il trauma si rintracciano delle alterazioni nei sistemi noradrenergico, serotoninergico e dopaminergico, che sono gli stessi coinvolti nella regolazione del comportamento alimentare”.

Senza farmi vedere

Quando mi sono ammalata di Anoressia Nervosa, io non me ne sono accorta. 

Avevo alle spalle una madre con un lungo passato stravolto dalla Bulimia, eppure anche lei era talmente concentrata nell’evitare la violenza in casa che non è riuscita ad aguzzare abbastanza la vista per accorgersi di quello che mi stava succedendo. 

Eravamo tutti fortemente focalizzati sul cercare di non fare passi falsi, sul camminare senza fare rumore, respirare senza farci sentire, mangiare senza farci vedere…

Quando mi sono ammalata di Anoressia nervosa, nessuno se n’è accorto. 

Mi sono ammalata senza che nessuno potesse farci caso, in un ambiente in cui per sopravvivere era necessario coprirsi di invisibilità, di una malattia che si cibava del mio senso di colpa, della mia voglia di nascondermi sotto al tappeto in compagnia della polvere, della paura di essere vista e del desiderio di farmi vedere

Avevo bisogno di essere fragile, qualcosa che in una casa devastata dalla violenza non mi era mai stato concesso. 

Ho iniziato a guarire dall’Anoressia Nervosa il giorno in cui ho accettato di essere stata una bambina vittima di violenza. 

Il giorno in cui ho deciso che ciò che fino a quel momento era stato funzionale, ma assolutamente non sano, era stato il metodo più veloce che avevo trovato per ripararmi e difendermi dal mio passato. 

E in questo modo, sono ripartita da lì. 

L’articolo è stato scritto da Cristina, volontaria dell’Associazione

Fonti:

https://www.istat.it/it/violenza-sulle-donne/il-fenomeno/violenza-dentro-e-fuori-la-famiglia/numero-delle-vittime-e-forme-di-violenza

https://www.salute.gov.it/portale/donna/dettaglioContenutiDonna.jsp?id=4498&area=Salute%20donna&menu=society

www.dicanapoli.it/il-ruolo-del-trauma-nella-genesi-dei-dca/

http://centroantiviolenza.comune.torino.it/violenza-assistita-un-male-invisibile-effetti-a-breve-e-lungo-termine/

https://www.centrodca.it/5-cose-che-devi-sapere-su-trauma-e-disturbi-alimentari/

https://www.istitutobeck.com/disturbi-alimentari-trauma?sm-p=179123428

https://www.stateofmind.it/neglect/

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