Il tema dell’amenorrea nei Disturbi del Comportamento Alimentare

L’obiettivo di questo articolo è quello di informare, attraverso dei dati di natura scientifica e un’esperienza soggettiva, rispetto al tema dell’amenorrea in persone che hanno sofferto o soffrono di Disturbi del Comportamento Alimentare.

Il ciclo mestruale

Il periodo fertile per le donne è caratterizzato dalla presenza del ciclo mestruale, un periodo che ha inizio con il primo giorno di una mestruazione e termina con il primo giorno di quella successiva, con una durata che varia, generalmente, tra i 24 e i 35 giorni. 

Si può intendere come un orologio biologico i cui regolatori sono gli ormoni prodotti dalle ovaie, grazie agli stimoli provenienti da aree cerebrali specifiche come ipotalamo e ipofisi. 

Il menarca (la prima mestruazione) si presenta, nella maggior parte dei casi, tra i 10 e i 16 anni e segna l’inizio del periodo fertile, che termina con la menopausa (tra i 45 e i 55 anni di età), quando le ovaie smettono di produrre gli ormoni sessuali e il ciclo mestruale si arresta definitivamente.   

Amenorrea, quando il ciclo si interrompe

Con il termine amenorrea si intende l’interruzione del ciclo mestruale e ne vengono riconosciute le due seguenti tipologie:

  • amenorrea primaria: quando, dopo il compimento del sedicesimo anno di età, la donna non ha mai avuto una mestruazione;
  • amenorrea secondaria: quando, nonostante la donna abbia già avuto le mestruazioni, il ciclo si interrompe.

Il criterio temporale per la diagnosi di amenorrea è un’interruzione del ciclo mestruale che persiste per 6 mesi. 

Le donne più a rischio di incorrere nell’amenorrea sono le atlete e le donne affette da Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA). Questa particolare tipologia di amenorrea, le cui cause sono legate allo stress, alla perdita di peso, all’esercizio fisico eccessivo o ad una loro combinazione, è denominata Amenorrea Funzionale Ipotalamica (AFI). L’Endocrine Society nel 2017 ha pubblicato online sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism (JCEM) le linee guida per riconoscere e trattare l’AFI, che viene diagnosticata “per esclusione”, ovvero dopo aver escluso altre condizioni organiche che potrebbero aver causato l’amenorrea. 

Conseguenze dell’amenorrea

L’amenorrea è una condizione reversibile, ma tra le sue conseguenze a lungo termine emergono il rischio d’insorgenza di malattie cardiovascolari e possibili disturbi della fertilità. 

L’interruzione del ciclo mestruale porta con sé anche patologie dannose a livello osseo, che hanno tante più probabilità di diventare permanenti in rapporto a quanto persiste la condizione: più tempo dura l’amenorrea, più aumenta la criticità del livello di salute delle ossa. 

La più nota di queste problematiche ossee è l’osteoporosi, una patologia sistemica che indebolisce la struttura dello scheletro, portando, nel lungo termine, ad un aumento del rischio di fratture.

Già nei primi 18 mesi dall’insorgenza dell’amenorrea, il rischio di frattura ossea aumenta del 60% e, in caso di cronicizzazione, può essere penalizzata anche la crescita in termini di statura. 

Le pazienti affette da anoressia nervosa, che persiste per oltre 5-6 anni, possono presentare un tasso di frattura dalle tre alle sette volte superiore rispetto alle donne in salute.

Diagnosi e cura

Il riconoscimento da parte di professionisti della correlazione tra la condizione di amenorrea e periodi di restrizione alimentare, può orientare le ragazze verso un trattamento adeguato di tipo psicologico e nutrizionale. Al contrario, la somministrazione di estrogeni  agisce direttamente sugli ormoni sessuali, senza migliorare lo stato psico-fisico della paziente, non tenendo quindi in considerazione il sintomo primario del Disturbo Alimentare. 

Inoltre, gli ormoni, anche se portano ad una ripresa delle mestruazioni, non agiscono favorevolmente sulla crescita nelle adolescenti e possono addirittura rallentare la formazione del tessuto osseo e avere conseguenze, anche gravi, sul recupero della massa ossea perduta. 

È necessario un recupero dei flussi mestruali in modo spontaneo, tramite l’aumento di peso e con un intervento interdisciplinare mirato che riabiliti sia l’aspetto psicologico che quello nutrizionale.

Capita spesso che, anche quando l’anoressia risulta in remissione, persista uno stato di amenorrea. Ciò accade perché la risoluzione dei problemi metabolici e psicologici causati dal DCA avviene più lentamente rispetto al recupero di un peso sano. 

Questo dimostra che solo in un secondo momento l’organismo riprende a funzionare in maniera corretta e la ricomparsa spontanea delle mestruazioni è soltanto uno dei vari segnali di un raggiunto benessere psico-fisico.

Falsi miti sul ciclo mestruale

L’assenza delle mestruazioni non scongiura il rischio di concepimenti indesiderati. 

I dati raccolti da un team internazionale di ricercatori dell’Università del Nord Carolina e dell’Istituto Norvegese di Sanità dimostrano che la frequenza di gravidanze non programmate e di aborti indotti è più elevata nelle donne con disturbi alimentari.

I ricercatori hanno preso in considerazione oltre 60mila donne norvegesi, di cui una sessantina soffriva di anoressia. Circa la metà di loro ha riferito di essere rimasta incinta almeno una volta senza desiderarlo e una su quattro ha affrontato l’esperienza dell’interruzione volontaria di gravidanza. 

Tra le donne che non soffrivano di Disturbi Alimentari le percentuali di gravidanze impreviste e aborti erano invece rispettivamente del 18,9% e del 14,6%.

L’amenorrea è stata per tanti anni uno dei criteri per la diagnosi di Anoressia Nervosa

Si è a lungo dibattuta la proposta di rimuovere questo criterio dalla lista del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM). Questa proposta si è concretizzata nel 2013, alla Quinta edizione (DSM-5), in cui è stato abolito il criterio sopra citato nella diagnosi dell’Anoressia Nervosa perché si possono manifestare tutti i sintomi del disturbo, pur continuando ad avere le mestruazioni. Inoltre, essendo un criterio riguardante, per ovvi motivi, solo una specifica parte della popolazione, cioè quella di sesso femminile in età fertile, non si poteva applicare agli uomini, alle donne in menopausa, a quelle premenarcali e in coloro che assumono estroprogestinici. 

La mia esperienza con l’amenorrea

A causa del Disturbo Alimentare di cui ho sofferto, ho avuto per l’ultima volta le mestruazioni nell’ottobre del 2017. L’amenorrea è uno stato che conosco molto bene e posso affermare che non è una cosa piacevole. 

Per quanto si possa pensare che sia una “fortuna” non avere le mestruazioni, non è così. Nei rapporti spesso mi sono sentita “meno donna” perché pensavo che ci fosse qualcosa di sbagliato in me. 

Molti medici non specialisti nel corso di questi anni hanno continuato a sostenere che dovessi prendere la pillola anticoncezionale per tornare “in salute”. Non comprendevano che il mio stato di salute dimostrava che le cause del sintomo erano più profonde. 

Oggi, alla soglia dei ventidue anni, mi è stata diagnosticata l’osteoporosi. Gli integratori (anche specifici) non sono abbastanza per il mio stato di salute e sarò, quindi, seguita ambulatorialmente dal Centro Metabolico dell’Osso della mia città dove potranno somministrarmi la terapia per me più adeguata. 

Questa terapia sarà un’aggiunta al piano alimentare prescritto dalla mia dietista e alla graduale ripresa dell’esercizio fisico, che, se non è eccessivo e se viene monitorato, può essere di beneficio per il metabolismo delle cellule ossee.

Dopo cinque anni di amenorrea non vedo l’ora che il mio corpo possa tornare ad avere le mestruazioni, perché per me sarebbe un piccolo grande passo verso lo stare meglio. 

Questo nuovo percorso affiancherà il percorso psicologico che sto facendo verso la guarigione, che non è garantita solo da un corpo in salute, ma è importante che il benessere della persona sia 360°. I DCA sono infatti malattie mentali ed è di fondamentale importanza curarle come tali e cioè attraverso un approccio interdisciplinare che ponga al centro la persona nella sua totalità.

L’articolo è stato scritto da Irene, volontaria dell’Associazione

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