I pezzi di me: parliamo di dismorfismo corporeo

pezzi di me tra dimorfismo e dca

Ti sei mai sentit* in mille pezzi? Hai mai cercato di recuperare ogni scheggia di te dagli angoli in cui si è nascosta? Hai trovato la colla adatta ad attaccare assieme frammenti della persona che sei? Io sì.

A pezzi per gli urti

Mi sono sentita in mille pezzi varie volte nella mia vita. Dapprima i cocci erano grossi: sai, quando rompi un vaso di ceramica per la prima volta, ti ritrovi in mano giusto qualche pezzo, tre o quattro, che puoi riattaccare facilmente. Poi però capita che quel vaso lo posizioni su un tavolino un po’ troppo esposto, di quelli che magari si piazzano nei corridoi o nei punti di passaggio. E basta uno squilibrio, un inciampo che il vaso cade di nuovo: e i cocci sono più piccoli. Ci si riprova ad attaccarli, e solitamente ci si riesce anche, ma serve più pazienza, più cura, più tempo. Ma il risultato è da togliere il fiato: sono brava, vedi? L’ho rimesso insieme e quasi non si nota nemmeno una crepa.

Poi di quel vaso ci si scorda, o si cambia stile di arredamento, o si trasloca: lo si ritrova nel momento in cui serve svuotare gli scatoloni nella casa nuova. Mi ero persino dimenticata di avvolgerlo nella carta di giornale, pensa te! Ci credo che ora, tra altre tazze e cornici, trovo solo le briciole di quello che era stato un vaso. I cocci non si attaccano più: vorrebbe dire creare un mosaico di tasselli microscopici; chi ha il tempo? Ne vale la pena?

Mi sono sentita in mille pezzi varie volte, nella mia vita…

e ogni volta i pezzi si sono fatti più piccoli, più difficili da ricongiungere in quella forma iniziale che conoscevo bene. Ho preso tanti urti, sono caduta varie volte e l’ultima mi ha sbriciolata. Pensavo di non potermi più rimettere assieme. Di aver perso qualche coccio sotto il comò o nelle pieghe di qualche divano. Pensavo che se anche fossi riuscita a ricostruirmi, sarei stata piena di buchi, di crepe, di solchi.

Pensavo che sarei stata rotta, in qualche modo, per sempre.

A pezzi anche il mio corpo: il dismorfismo

Questo mio pensarmi rotta, fallata, difettosa ha avuto un risultato enorme, concreto. Non avevo solo un’anima a pezzi, ma anche un corpo.

Chi soffre di disturbi alimentari spesso va incontro a ciò che viene clinicamente definito dismorfismo corporeo, o dispercezione corporea. È descritto come la continua e spasmodica ricerca e ossessione per alcune imperfezioni estetiche, spesso invisibili all’occhio esterno. Assume la forma di un perenne senso di insoddisfazione e di inadeguatezza, tanto forti da  poter addirittura limitare le normali attività quotidiane. E causare un senso di angoscia e tormento veramente lancinante.

Ecco, questa è più o meno la definizione della scienza. Definizione che credo non renda lontanamente l’idea di cosa significhi convivere con un corpo che non si riconosce. E sia chiaro, fino a poco tempo fa non so nemmeno io se avrei mai avuto le parole per descrivere la mia quotidianità, ma forse ora le ho trovate.

Trovare le parole adatte per descrivere il dismorfismo

Durante una breve vacanza in Toscana mi è capitato, in una di quelle giornate dove fa troppo caldo persino per respirare, di visitare il Giardino dei Tarocchi di Capalbio. Cosa è? Un giardino, appunto, un boschetto, pieno di opere d’arte dell’artista Niki de Saint Phalle. Meraviglioso di per sé, ve lo posso assicurare. Ma che c’entra con il mio dismorfismo corporeo? Perchè ne sto parlando? 

Non è pubblicità, lo prometto. Però questo posto mi ha lasciato qualcosa: un modo fisico, concreto, di mostrare ad altri ciò che i miei occhi vedono ogni giorno. Le statue dell’artista, infatti, hanno la particolarità di essere composte da frammenti di vetro, di specchio e di ceramica. Dei cocci, insomma, tenuti insieme dal cemento e dall’arte. E già qui mi sono ritrovata, o meglio, rispecchiata. Sì, non uso questa parola a sproposito: all’interno di una delle statue, infatti, si trova l’abitazione dell’artista. Non è una casa classica, come penso possiate immaginare, ma è una dimora le cui pareti interne sono completamente, totalmente e accuratamente ricoperte da frammenti di specchio. Infinite schegge di specchio ricoprono ogni centimetro della casa, dal soffitto al pavimento, ogni mensola e ogni porta. La luce entra dagli oblò e riflette la tua immagine ovunque il tuo sguardo si posa. 

Come vive chi soffre di dimorfismo corporeo

Per il mio disturbo alimentare: un incubo

Per la me in fase di recovery: un esperimento

Per il mio dismorfismo: una concretizzazione

Il mio riflesso, infatti, in quelle schegge di varia forma, non è completo, non è corretto, non è reale. È storto, deformato, mancante di alcuni dettagli. Così vive la vita una persona con un dismorfismo corporeo. Ci si vede a pezzetti, se ne analizza uno per volta, una scheggia dopo l’altra: e si vedono tutti i difetti, gli orrori ed errori che possediamo. Ma quando si cerca di mettere insieme quei pezzetti, il risultato non è dei migliori. Sembra di guardare ad un quadro di Picasso: sproporzionato, esagerato nei punti sbagliati, irreale.

Il dismorfismo fa questo, rende irreale una cosa reale. Rende deforme una cosa che deforme, tendenzialmente, non è mai. Ci si vede a pezzi e l’intero fa paura, fa ribrezzo, è difficile da guardare. Io vivo così, faticando a guardarmi per come sono realmente perchè vedo solo quel riflesso distorto in mille schegge di vetro.

Ricostruirsi

Mi sono definita rotta, fallata, difettosa. Mi sono vista a pezzi, a schegge, a tasselli. Sono stata felice di poter far vedere agli occhi di altri cosa significa vivere in un corpo che non si riconosce. Ma sono anche stata male per lo stesso motivo.

Una cosa, però, l’ho capita, complice anche il lavoro di terapia che sto facendo: sono rotta, sì, a pezzi, forse. Ma chi ha detto che devo ricompormi nella stessa forma che avevo prima di cadere? Chi ha deciso che i miei cocci non possano combinarsi in un modo nuovo, innovativo, mai visto? Chi ha detto che non posso cambiare?

Non so se siete a conoscenza di quella tecnica giapponese di ricostruzione di ceramiche attraverso l’uso di una colla dorata particolare. Credo si chiami Kintsugi.

Lo so, forse è una cosa un po’ boomer e un po’ Tumblr allo stesso tempo, ma voglio ricostruirmi allo stesso modo. Voglio prendere una colla oro, che evidenzi ogni crepa, mancanza, difetto per incollare di nuovo i miei pezzi assieme. Solo che stavolta scelgo io come vedermi e che forma darmi.

Contenuto a cura di Federica Merli

PASTA DI SEMOLA DI GRANO DURO LUCANO

Rasckatielli

Pasta Secca 500g

Ingredienti: Semola di Grano Duro Lucano del Parco Nazionale del Pollino, Acqua.

Tracce di Glutine.

Valori Nutrizionali

(valori medi per 100g di prodotto)

Valore energetico

306,5 kcal
1302 kj

Proteine

13,00 g

Carboidrati

67,2 g

Grassi

0,5 g

Prodotto e Confezionato da G.F.sas di Focaraccio Giuseppe
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