Quando parliamo di disturbi del comportamento alimentare (DCA) ci viene quasi automatico pensare solo a pochi di essi, quelli più “conosciuti”, quando invece ne esistono molteplici, di cui diversa è la sintomatologia e diverse sono le risposte comportamentali. Uno dei disturbi alimentari probabilmente meno conosciuti è la night eating syndrome, ovvero la sindrome da alimentazione notturna (SAN).
Cosa succede di notte?
Chiunque soffra, o abbia sofferto di un DCA, sa bene quanto le emozioni, e in questo caso lo scarso controllo che abbiamo su di esse, siano alla base della maggior parte delle nostre azioni e reazioni.
Il più delle volte tendiamo a proiettare i sentimenti negativi che ci colpiscono verso il cibo, visto come valvola di sfogo per un disagio interiore sempre più crescente.
Quando queste emozioni diventano intense e arrivano a causare difficoltà anche di tipo relazionale, il periodo della giornata in cui il soggetto in questione riesce a trovare un attimo di “pace” è la notte.
Essa dovrebbe costituire un momento di riposo per il nostro corpo. Dovrebbe darci modo di recuperare energie per affrontare la mattinata seguente e, di conseguenza, l’intera giornata che verrà.
Quando però i nostri sensi sono in allerta, essa diventa quel lasso di tempo durante il quale il nostro cervello inizia ad elaborare nel dettaglio la giornata appena trascorsa. Ci si sofferma quasi sempre solo su ciò che, secondo noi, è “andato storto” (e che sarebbe potuto andare meglio).
Chi soffre di SAN, quindi, non ha riposo rigeneratore, ma frequenti risvegli notturni. Questi sfociano in abbuffate di tipo compulsivo, a cui fanno seguito sensi di colpa, disagio e frustrazione.
Quasi sempre chi ne soffre fa un’alimentazione piuttosto ridotta durante la giornata che costituisce, dunque, un ulteriore fattore scatenante.
È possibile guarire dalla Night Eating Syndrome?
Tutto ciò che ci rendiamo conto mini il nostro benessere e la nostra salute (sia essa fisica che mentale) va attenzionato e mai sottovalutato.
A volte sembra quasi impossibile uscire dal circolo del DCA, perché la strada appare sempre e costantemente lunga e in salita. Ma se si inizia a camminare, anche solo a piccoli passi, la cima inizialmente si intravedrà e poi successivamente (e finalmente) si raggiungerà.
Immaginate il vostro percorso verso la guarigione come come un percorso a step. Al primo gradino c’è il riconoscimento del problema, al secondo l’accettazione dello stesso, al terzo la richiesta di aiuto (che non è una sconfitta, ma un dono che fai a te stess* per ricominciare a vivere) e infine la guarigione.
Qualunque sia il vostro gradino di partenza, il risultato, se lo vorrete davvero, sarà sempre lo stesso.
Avete una cassetta degli attrezzi nelle vostre mani, forse attualmente un po’ vuota, ma che ha tutte le potenzialità per essere riempita.
Tutte le vostre esperienze, tutta la sofferenza e il dolore, un giorno vi saranno utili. Vi serviranno per riconoscere ciò che vi fa star bene da ciò che invece no. Vi insegneranno a mettere al primo posto la vostra vita e non l’idealizzazione di quella di qualcun altro.
Un giorno volgerete lo sguardo al passato e sorriderete perché avrete la consapevolezza di non aver mai mollato, nonostante tutto!
L’articolo è stato scritto da Sophia, volontaria dell’Associazione