ADHD e DCA: sfide e soluzioni terapeutiche

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Negli ultimi anni, l’ADHD (Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività) è stato sempre più compreso come una condizione del neurosviluppo che si manifesta non solo nell’infanzia, ma persiste spesso anche in età adulta. In molti casi, infatti, l’ADHD può restare non riconosciuto o essere diagnosticato in modo errato fino a quando la persona raggiunge l’età adulta.

Una delle espressioni meno riconosciute dell’ADHD è il suo possibile legame con i disturbi della nutrizione e dell’alimentazione (DNA, conosciuti anche come DCA), come il Binge eating disorder (BED), la bulimia o l’anoressia.

Qualche dato su ADHD e DCA

Studi clinici e sistematici hanno dimostrato che le persone ADHD hanno una probabilità fino a 3,8 volte maggiore di sviluppare disturbi del comportamento alimentare, e che questa comorbidità  agisce come un “fattore nascosto” che complica i percorsi diagnostici e terapeutici.

Impulsività, disregolazione emotiva e difficoltà nella gestione della routine alimentare quotidiana sono alcune delle dinamiche condivise tra ADHD e DCA. Comprendere e affrontare questa intersezione è oggi più urgente che mai, non solo per migliorare gli esiti clinici, ma anche per promuovere percorsi di guarigione realmente inclusivi e neuro divergent-affirming.

Perchè ADHD e DCA sono connessi?

Le persone con ADHD condividono con chi vive un disturbo del comportamento alimentare diversi tratti neurologici e comportamentali. Tra i più significativi ci sono: impulsività, difficoltà nel regolare le emozioni e un sistema dopaminergico alterato, ovvero il circuito cerebrale che gestisce la motivazione, il piacere e la ricompensa.

Nel cervello con ADHD, il rilascio di dopamina può essere irregolare o meno efficiente. La disregolazione dei sistemi dopaminergici coinvolti nella motivazione e nella ricompensa può portare a una difficoltà nel mantenere un’adeguata regolazione emotiva. Questo spesso si traduce in una ricerca di stimoli gratificanti a breve termine, come il consumo di cibo in modo incontrollato.

In termini neuropsicologici, il comportamento alimentare disfunzionale può agire come una strategia di coping per modulare l’equilibrio neurochimico alterato, riducendo momentaneamente la tensione emotiva e lo stress attraverso la stimolazione del rilascio dopaminergico. Per coping si intende la capacità di un individuo di affrontare, gestire e reagire a situazioni stressanti o difficili. È l’insieme delle strategie cognitive e comportamentali che utilizziamo per far fronte a eventi stressanti o problemi, sia reali che percepiti come tali.

I disturbi del comportamento alimentare più frequentemente associati all’ADHD sono il BED e la bulimia nervosa. Entrambi sono caratterizzati da episodi ricorrenti di abbuffate, spesso seguiti da sensi di colpa e condotte compensatorie. La componente impulsiva e la difficoltà a monitorare e inibire i comportamenti automatici rendono queste forme di DNA particolarmente rilevanti nelle persone ADHD.

Sfide e percorsi di cura: verso un approccio neuro divergent-affirming

Affrontare insieme ADHD e disturbi del comportamento alimentare (DCA) richiede un cambio di prospettiva, perché le due condizioni non sono semplicemente comorbide, ma interconnesse da meccanismi neurologici, emotivi e comportamentali profondi. 

Tuttavia, la clinica tradizionale tende ancora a trattarle separatamente, con il rischio di interventi parziali o inefficaci. Molte persone neurodivergenti, soprattutto quelle ADHD, faticano a ricevere diagnosi corrette. Come mai? Perché i sintomi vengono mascherati da strategie di adattamento (camouflageing) o confusi con tratti del DCA. Questo è particolarmente vero per chi presenta ADHD in forme meno “classiche”, come accade spesso nelle donne, nelle persone AFAB o in chi ha un profilo prevalentemente inattentivo.

Anche i trattamenti standard per i DCA, basati su rigidità alimentare, controllo cognitivo e strutture comportamentali molto regolamentate, possono non funzionare per persone ADHD, che tendono ad avere difficoltà con la pianificazione, la regolazione emotiva e la costanza. È quindi fondamentale costruire percorsi di guarigione flessibili, personalizzati e affirming, cioè che riconoscano e rispettino la neurodivergenza invece di contrastarla. Tra gli approcci terapeutici più promettenti troviamo:

  • CBT adattata per ADHD, che lavora sui pensieri disfunzionali integrando strumenti per l’organizzazione, la gestione del tempo e l’auto compassione;
  • DBT (Dialectical Behavior Therapy), particolarmente utile nei casi in cui l’impulsività e la disregolazione emotiva sono centrali;
  • Lisdexamfetamina, un farmaco approvato per l’ADHD che ha mostrato efficacia anche nel trattamento del binge eating disorder (BED). Ciò avviene grazie al suo impatto sui circuiti dopaminergici coinvolti in attenzione e ricompensa.

Ma oltre alle terapie formali, ciò che spesso fa la differenza è un approccio realmente integrato: multidisciplinare, empatico e informato sulla neurodivergenza

È necessario inserire anche il supporto psicoeducativo, la nutrizione consapevole e spazi sicuri per raccontare la propria esperienza. Questo può aiutare a ridurre la vergogna, la disconnessione dal corpo e il senso di fallimento spesso interiorizzati.ADHD e DCA vanno affrontati insieme, con approcci su misura. Riconoscere la neurodivergenza è il primo passo verso un intervento che funzioni davvero.

L’articolo è stato scritto da Giuseppe, volontario dell’Associazione

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