Un giorno ho sentito la porta che chiudersi alle mie spalle, e da quel momento la mia vita è cambiata. Ricordo ancora quel rumore. Nulla di strano, direte voi, eppure io lo sentivo dentro di me che c’era qualcosa di diverso.
Quella sera mia mamma non è più tornata.
Faccio una premessa. Mia mamma non ha mai lavorato, non si è mai presa cura della casa. Era semplicemente una donna presente a suo modo, ma molto fissata con l’aspetto fisico. Mio papà lo vedevo poco perché lavorava in America, quindi il mio punto di riferimento era lei, mia mamma.
Beh, mia mamma non solo non è tornata quella sera, ma non è proprio più tornata. E in un’epoca in cui non c’erano ancora i cellulari questo ha creato un grande scompiglio. Una famiglia distrutta. Mia mamma non l’ho più sentita per 10 anni, 10 lunghissimi anni. Sono cresciuta con mio papà, che ha fatto tutto ciò che era nelle sue possibilità per me.
Vi chiederete cosa c’entri questo con il mio DCA. C’entra, perché senza che io me ne rendessi conto il mio mondo diventava sempre più frenetico, e io non sapevo come gestirle le mie emozioni. Senza accorgermene ho iniziato a restringere sempre di più, fino a quando mi sono ritrovata nel pieno della mia malattia.
Sentivo un peso dentro, mi sentivo colpevole. Era colpa mia se la mamma se n’era andata via!
Da qui tutte le mie emozioni sono finite in una scatola fatta di bugie. “Hai mangiato? Sì, certo!”. Ma non era vero. Mentivo a mio papà, mentivo alle mie amiche, ma soprattutto mentivo a me stessa. La malattia mi dava l’impressione di poter tenere qualcosa sotto controllo, mi faceva provare una sensazione di potere a cui era difficile dire di no. Il mio peso scendeva, eppure a me sembrava non fosse mai abbastanza. Continuavo a sentirmi sola e abbandonata.
Dalla semplice restrizione sono poi passata alla bulimia nervosa. Avevo una fame che non ha nulla a che vedere con l’appetito. Mangiavo qualunque cosa trovassi, e se non avevo abbastanza cibo in casa andavo al supermercato, dove spendevo per me cifre pari a quelle che spenderebbe una famiglia composta da 4 persone. Poi mi sentivo in colpa, e compensavo.
Il cibo riempiva momentaneamente il vuoto, calmava per un momento la mia rabbia e la mia frustrazione, insieme a quella sensazione che mi diceva costantemente che ero diversa e che continuava a mancarmi qualcosa.
Sentivo di non potermi affidarmi a nessuno. Se mi aveva abbandonata la persona che mi ha messa al mondo, figuriamoci gli altri! Non ho mai pensato di meritarmi di essere felice, sfuggivo all’amore anche se lo desideravo tanto. Cercavo di non dare preoccupazioni agli altri per non sentirmi nuovamente un peso, un errore.
Sono stata poi ricoverata, ma finché quell’aiuto non sei tu a volerlo, forse le cure servono a poco.
Ed è arrivato il giorno in cui ho capito che quell’aiuto me lo meritavo. Il giorno in cui mi sono vista per davvero, fuori e dentro, e ho capito che lei mi aveva portato via tutto. Mi aveva privata dell’amore di un uomo, del lavoro, della capacità di concentrarmi. Non riuscivo a godermi nulla della mia vita, e così questa volta sono stata io a chiedere aiuto.
Sebbene io non sia più giovanissima, mi sono resa conto del fatto che per la malattia non esiste un corpo specifico né un età. Ti ammali e basta, e se entra rimane lì fino a quando non ti riprendi la tua vita e scegli di non privarti più di tutto.
Ma vita non è quella, la vita non è quella che vedete con gli occhi della malattia! La vita è molto, molto di più.
Chiedete aiuto, non vergognatevi di qualcosa che non avete scelto voi.
Quello che oggi vi sembra un limbo comodo in cui stare un po’, magari domani diventerà un inferno ben più grande da cui farete fatica ad andar via.
I terapeuti, i medici e tutte le persone che ci curano sono lì per noi. Spesso quello che ci diranno non ci piacerà, ci sembrerà assurdo, difficile, ma loro saranno lì a prestarci i nostri occhi, quando noi riusciremo a guardare il mondo solo attraverso quelli della malattia. Fino a quando ci accorgeremo di essere sulla nostra strada, senza ricordare quando l’abbiamo imboccata.
Chiedendo aiuto si impara la fiducia. Si impara ad affidarsi alle persone che ci amano per quello che siamo e non hanno bisogno di desiderarci diversi.
L’articolo è stato scritto da Alessia, che ha raccontato la sua storia