In questa mail vorrei condividere la mia storia come atto di coraggio e come regalo verso me stessa, la me che per anni si è nascosta dietro la sabbia.
Sette anni fa ero diversa, apparentemente felice, con una vita perfetta: andavo bene a scuola, ero nel gruppo piú popolare della mia scuola (facevo la terza media), avevo una famiglia che mi voleva bene, una bella casa e tanti amici.
Una perfezione che non esiste
Questa perfezione, in realtà, non esisteva. All’interno, pezzi di me incominciavano a sgretolarsi, piano piano e io non me ne rendevo conto. Sei anni fa ho iniziato ad allontanarmi da tutti coloro che mi circondavano, rinchiudendomi in un mondo tutto mio, fatto di libri e calcoli. Trascorrevo le giornate a leggere, camminare e guardare foto di cibo che mai avrei mangiato, ne calcolavo le calorie, ne osservavo le qualità e poi, come se anche solo la vista di quel piatto succulento avesse potuto farmi ingrassare, iniziavo a correre, ballare, cantare per ore e ore fino a che la stanchezza non mi faceva crollare a terra, disarmata e in lacrime.
È iniziato tutto per gioco, mi sentivo forte, bella e invincibile. Mi sentivo diversa dagli altri, in grado di controllare la fisiologia del mio corpo sconfiggendo la fame, la sete e il sonno. Non vedevo e non sentivo niente se non la voce amica dentro la mia testa che mi urlava di fare di più, dare di più, essere di più, perché non ero mai nessuno, non mi sentivo nulla.
Il peso sulla bilancia scendeva vertiginosamente e, a differenza della preoccupazione dipinta sui volti dei dottori e delle lacrime di mia mamma, io ero sempre piú contenta. Un giorno sono caduta per terra. Non riuscivo a rialzarmi, i miei genitori sono stati costretti a chiamare l’ambulanza e mi sono ritrovata, a 15 anni, dopo due anni di corse senza limite, in un letto di ospedale, lontana dall’adolescenza e dalla vita. A 16 anni la stessa storia e a 17 anche.
Ho passato quattro anni a entrare e uscire da quelle mura bianche. Mesi stesa a letto senza capire cosa stesse succedendo a causa dei farmaci, mesi a non comprendere la motivazione di questa preoccupazione dei medici che mi venivano a controllare di notte per paura che il mio cuore smettesse di battere. Io stavo bene, questo era quello che pensavo.
A 18 anni qualcosa è cambiato. Sono stata definita adulta e sono stata lasciata sola. Non potevo piú essere seguita dal reparto di neuropsichiatria infantile. Ho iniziato a lavorare per aiutare i miei genitori a pagare le visite che erano diventate private. La malattia (perchè ormai avevo capito che lo era) non mi abbandonava, anzi non mi abbandona, dopo sei lunghi anni è ancora qui a tenermi sveglia di notte, ad accompagnarmi nelle mie attività quotidiane, ma la mia consapevolezza, oggi, è diversa.
Ora di anni ne ho 20
Oggi ho 20 anni e soffro per non riuscire ancora a dire addio al disturbo, soffro, ma combatto, costantemente, contro i miei demoni.
Oggi ho 20 anni e se, mi guardo indietro, ho ricordi sfocati della mia adolescenza non vissuta: non mi sono mai ubriacata, non ho mai fatto tardi la notte, non ho mai fatto una cavolata che mi ha destato risentimento, non ho mai respirato aria a pieni polmoni senza pensieri, non ho mai avuto un’adolescenza forse.
Oggi ho 20 anni e anche se l’anoressia c’è ancora e condiziona le giornate, le serate, le mattine, io so che esiste e so che voglio allontanarla da me, sto impiegando le energie, le forze rimanenti per far crescere Annalisa e far decrescere, come una legge di decadimento esponenziale, il mostro.
Oggi ho 20 anni e ho fame, fame di vivere, di riprendermi tutto quello che dall’età di 14 anni a ora mi è stato sottratto.
Oggi ho 20 anni, sono Annalisa, soffro di anoressia da sei anni, ma sto percorrendo il tragitto per uscirne, perché è possibile farlo.
La storia è stata raccontata e scritta da Annalisa