Ancora sono qui, nella mia battaglia col cibo, ma rispetto all’inizio qualcosa è cambiato. Guardo gli altri mangiare un pezzo di panettone, una manciata di castagne dopo cena, sereni, senza pensarci. Li vedo prendere la pasta dalla pentola senza bilancia, senza contare, e mi chiedo: come fanno?
Eppure, qualche passo avanti l’ho fatto. Ora riesco a uscire a cena, a sedermi a un tavolo con gli amici, a dire “sì” a un invito che prima avrei rifiutato. Ma la fatica c’è ancora. Ogni boccone è una sfida, ogni piatto che non posso controllare mi crea ansia. Dentro di me, c’è sempre quella voce che mi chiede se sto esagerando, se sto perdendo il controllo.
Il peso l’ho recuperato. Il mio corpo ora è tornato in quella che gli altri chiamano “normalità”. Ma io non riesco ad accettarlo. Ogni grammo in più mi sembra un passo indietro, un tradimento verso quella parte di me che si sentiva forte quando il numero sulla bilancia scendeva. Eppure, una parte di me sa che è un bene, che sto meglio. Me lo dicono gli altri, e lo vedo anch’io: i miei occhi, spenti per tanto tempo, stanno lentamente tornando a brillare.
I ricordi del periodo peggiore dei miei disturbi alimentari
Ricordo bene com’era nel mio periodo peggiore. Ricordo mia madre che doveva controllarmi, assicurarsi che i battiti del cuore e la pressione non scendessero troppo. I mille integratori che facevo finta di prendere, lanciandoli come se fossero nemici. L’apatia, quella stanchezza che mi avvolgeva come una coperta pesante.
Ricordo il freddo. Un freddo infernale, che non mi lasciava mai, nemmeno con tre o quattro strati di vestiti. Sentivo gelo dentro e fuori. Ricordo i miei occhi spenti, vuoti, incapaci di riflettere la luce della vita. Ricordo quando non potevo più fare sport, andare a scuola a piedi, aiutare in casa. Ogni movimento, ogni caloria bruciata era un rischio troppo grande per quel corpo fragile e debole.
E poi ricordo la bilancia. La gioia malata che provavo nel vedere quel numero scendere sempre di più. Ogni volta che la lancetta calava, mi sentivo forte, invincibile. Come se stessi vincendo una sfida contro me stessa, contro il mondo, contro la morte. Non mi rendevo conto che, in realtà, stavo perdendo. Perché vivere con i disturbi alimentari non è vivere. È morire, poco a poco, ogni giorno. I disturbi alimentari ti possono uccidere, lentamente.
La gioia dei passi avanti
Oggi, quella parte di me che voleva scomparire è ancora lì, nascosta, pronta a risvegliarsi. Mi tenta, mi sussurra che potrei tornare indietro, che potrei sentirmi di nuovo “forte”. Ma c’è un’altra parte di me che ora è più forte, che guarda indietro e si commuove per i passi avanti fatti.
Ho riconquistato pezzi di vita che credevo persi per sempre. Ho imparato a uscire da quella gabbia, anche se a volte mi sembra di camminare su un filo sottile. Non è finita, c’è ancora tanta strada da fare. Ma oggi, invece di cedere a quei pensieri che mi vorrebbero far tornare indietro, riesco a darmi una pacca sulla spalla e mi dico: Daje tutta, non mollare.
Vivere con i disturbi alimentari è vivere una doppia vita
Il rapporto con il cibo non è stato sempre così. Da bambina amavo il cibo, davvero. Ero una buona forchetta, una di quelle che non si tiravano mai indietro davanti a un piatto goloso. Ricordo le merende con la piadina e la Nutella, il pane caldo con l’olio e il sale, i biscotti sbriciolati nel latte. Ricordo quanto fosse semplice e naturale mangiare, senza pensieri, senza paura.
Il cibo, allora, era un piacere. Era condivisione, famiglia, amici. Era mia madre che preparava qualcosa di speciale, e io che non vedevo l’ora di assaggiarlo. Il gelato d’estate, la pizza il sabato sera, le torte di compleanno che aspettavo con impazienza. Vivere, senza questa costante ossessione di controllare tutto, senza questa paura che ora mi sembra insormontabile.
Adesso, però, è tutto diverso. Ogni passo, ogni boccone e ogni movimento è calcolato, perché dentro di me c’è ancora quella voce che mi dice che non posso fermarmi, che devo continuare a controllare tutto.
Ci sono momenti in cui mi sembra di vivere una doppia vita. Da una parte c’è quella che gli altri vedono: la ragazza che ce l’ha fatta, che è uscita da quel buio, che ha ripreso a vivere. Dall’altra parte c’è la mia realtà, quella che non si vede: i pensieri ossessivi, il bisogno di controllo, la paura di perdere tutto, il timore di quel boccone fuori programma o dell’invito inaspettato, la scarsa autostima, l’ansia di vivere.
E poi ci sono i piccoli gesti che un tempo mi avrebbero resa felice. Qualcuno che mi porta un dolce, pensando di farmi una sorpresa. “Guarda, te l’ho preso! Ti piace tanto!” E invece di sentirmi grata, sento solo ansia. Mi chiedo come rifiutare senza sembrare scortese, o come accettare senza sentirmi sopraffatta. Perché l’idea di avere quel dolce davanti a me è troppo. È come se quel dolce, una volta simbolo di gioia, fosse diventato una minaccia.
Ogni passo avanti conta, so che posso farcela
Non è facile convivere con tutto questo. Ci sono giorni in cui vorrei solo mollare, tornare a quelle vecchie abitudini che, per quanto tossiche, mi facevano sentire in controllo. Ma poi penso a quanto ho lottato per arrivare fin qui. Non voglio tornare indietro. So che tornare a quel punto non è la soluzione, che non voglio più essere prigioniera di quei pensieri.
Vorrei tornare a quel rapporto semplice e spontaneo con il cibo. Vorrei che un pezzo di pane con l’olio fosse di nuovo una merenda, non una minaccia. Che un dolce condiviso con gli amici fosse solo un momento di gioia, non un calcolo mentale. Vorrei guardarmi allo specchio e vedere me stessa, non un corpo che mi sembra sempre sbagliato, un campo di battaglia
So che ci vorrà tempo. So che ci saranno ancora giorni difficili, momenti in cui la paura sarà più forte di me. Ma so anche che posso farcela. Ho già fatto tanto e ogni passo avanti conta, anche se a volte mi sembra invisibile.
Un giorno, spero, il cibo tornerà a essere quello che era da bambina: vita, energia, piacere. E quel giorno, so che mi riconoscerò di nuovo. Non con paura, ma con orgoglio. Perché quel giorno non starò solo sopravvivendo: starò davvero vivendo. Perché oggi non voglio più sfidare la vita. Voglio viverla.
L’articolo è stato scritto da Benedetta, che ha raccontato la sua storia