Animenta racconta i disturbi alimentari – La storia di Giorgia

Ho sempre vissuto per gli altri, pensando a cosa avrebbe fatto piacere a loro, a come le mie azioni avrebbero potuto farli sentire. Ho sempre pensato a diventare ciò che gli altri si aspettavano da me, o meglio che io pensavo si aspettassero da me. Ho messo davanti i bisogni di tutti senza mai tenere conto che esistevo anche io, che anche io avevo desideri e bisogni.

Una metafora molto concreta che più volte mi ha ripetuto una delle mie psicologhe dice più o meno così: “È come quando cerchi di spingere una palla sott’acqua: più tu spingi per nasconderla, più lei cerca di tornare a galla”.

Quest’immagine mi fa pensare a quanto io per tanti anni abbia cercato di nascondere ciò che provavo per non ferire gli altri, reprimendo i miei desideri e le mie emozioni fino ad annullarmi. Questi però, come la palla, hanno tentato in tutti i modi di uscire allo scoperto. E così cinque anni fa mi sono ammalata di disturbi alimentari.

Il mio corpo diceva tutto ciò che io non avevo il coraggio di esprimere a parole.

Un corpo fragile, vuoto, ridotto ad un mucchio di ossa e pelle violacea. 

Eppure io quel corpo lo detestavo, perché stava sbandierando ai quattro venti ciò che avevo dentro, tutta l’angoscia, i miei sensi di colpa e la mia rabbia. 

E io non potevo impedirglielo.

“Dove vuoi arrivare?”, mi chiedeva mia mamma in preda al panico ogni volta che il numero sulla bilancia scendeva o il cuore si faceva più lento. Una risposta non la davo mai. Restavo in silenzio a guardarla impaurita e carica di sensi di colpa, pensando “LEI sta soffrendo”.

Mi hanno imposto il ricovero. Parametri vitali troppo bassi per restare fuori da un ospedale.

Sono entrata all’Ospedale Civile di Baggiovara, dove sono rimasta un mese, ingannando i medici sotto il naso. D’altra parte viene facile quando ti lasciano sola in una stanza per giornate intere, passando solamente per misurare la pressione e controllare la glicemia.

Più difficili da ingannare erano i miei genitori, che si sono imposti facendomi trasferire in un reparto specializzato in disturbi alimentari al Sant’Orsola di Bologna.

Lì sono iniziate le vere sfide.

Ma anche i piccoli progressi che mi hanno permesso di tornare a casa tre mesi dopo.

Ed è proprio a casa, dove ci sei di nuovo solo tu insieme ai tuoi pensieri, che diventa sempre più difficile seguire quella via imboccata durante il ricovero.

Per un anno, infatti, sono rimasta in una “fase di stallo”. I miei pensieri, le ossessioni, le paure, l’iperattività e la restrizione cognitiva sono rimaste invariate, come al punto di partenza. Certo il mio non era più un peso definibile “patologico”, e quindi al centro DCA del territorio hanno iniziato a considerarmi sempre meno, mentre io, in realtà, necessitavo di un supporto più solido e costante.

Con il primo lockdown l’equilibrio precario che si era formato si è sgretolato, e io sono precipitata in un vortice ancora più turbolento. E dopo mesi in cui sono stata trascurata e non ascoltata gli specialisti mi hanno comunicato che c’era bisogno di un altro ricovero. Questa volta in una casa di cura: a Villa Rosa, Modena.

Quella proposta mi ha quasi sollevata: finalmente si erano accorti di me. “Sanno che ci sono anche io”, pensavo.

Quel desiderio di scomparire che un paio di anni prima mi aveva portato al mio primo ricovero si era trasformato in un bisogno di essere presa in considerazione, di sentirmi parte di un qualcosa, o semplicemente meno sola.

Non sono mai entrata a Villa Rosa.

Era maggio, si incominciava a intravedere un po’ più di libertà, e così ho deciso assieme ai miei, nonostante le mie condizioni, di trascorre l’estate a Genova da mio papà. Ho trovato un lavoro come cameriera in un ristorante e sono stata assorbita dalle mille cose da fare. Senza che me ne rendessi conto, tutti quei pensieri ossessivi che fino a qualche mese prima mi opprimevano si erano leggermente affievoliti, lasciando spazio a questa nuova esperienza.

La mia prima stagione lavorativa.

Avevo stretto amicizia con i colleghi, e ogni tanto in pausa scendevamo al mare a bere qualcosa. Ricevevo complimenti sia dai capi sia dai clienti con cui ero sempre felicissima di chiacchierare.

Finalmente sentivo di essere anche io parte di un qualcosa.

Ad agosto dello stesso anno ho preso un’importante decisione, la prima in 17 anni di vita. Una decisione presa pensando unicamente a ciò che io desideravo: mi sono trasferita a Genova.

Poi è ricominciata la scuola, l’anno della maturità, in una nuova città, in una nuova classe, con nuovi compagni e professori.

I ragazzi conosciuti al lavoro non si sono più fatti sentire. Ci siamo ritrovati tutti di nuovo chiusi in casa, e mio papà è stato portato in ospedale a causa del virus. Ho ricominciato a sentire una profonda solitudine, a cui si è aggiunto un forte senso d’inadeguatezza e di disprezzo verso il mio corpo, che in quei mesi aveva cambiato nuovamente forma. Quel numero per me così alto sulla bilancia mi ha dato da pensare che “ormai avevo rovinato tutto”, così ho iniziato a mangiare tutto ciò che mi capitava a tiro. Sono arrivata a svuotare la dispensa senza avere la minima idea di cosa avessi ingerito o di che sapore avessero quei cibi, ingurgitati con tanta foga e vergogna.

Finalmente a febbraio del 2021 sono stata presa in carico presso il centro DCA di Quarto, la mia ancora di salvezza. 

“Voglio andare con i miei tempi”.

È esattamente così che ho detto all’équipe alla prima visita. E così è stato. Ogni decisione, ogni passo partiva da me, in base a ciò che sentivo e volevo io. Ero io ero la protagonista di quel nuovo percorso.

Ho iniziato a fidarmi dei medici, ad alimentarmi secondo le loro direttive, pensando a tutta la libertà che avrei conquistato un giorno.

La vera “rinascita” è iniziata quando ho eliminato il contapassi. Proprio io, che mi ero sempre appoggiata alla mia iperattività, ho capito che mi ancoravo ad essa controllando ossessivamente quell’orologio per esser certa di raggiungere l’obiettivo che mi ero prefissata. Mi sono letteralmente tolta le manette e ho finalmente iniziato a notare che attorno a me c’era un mondo pronto ad accogliermi.

 Ho ricominciato a provare tutte quelle emozioni che per anni avevo spinto sott’acqua come la palla e ho iniziato a sperimentare per il semplice piacere di provare qualcosa di nuovo.

Poi mi sono iscritta in palestra, la mia palestra, dove l’allenamento ha assunto un nuovo significato.

Conoscere il mondo della sala pesi, della costanza, della tecnica e della disciplina che c’è dietro ad ogni movimento mi ha appassionata a tal punto da decidere di iscrivermi a Scienze motorie.

Mi muovo perché sono viva, mi fa sentire viva.

Ogni volta che penso alla sensazione che provo anche solo entrando in quell’ambiente mi viene la pelle d’oca e mi si stringe il cuore (o meglio, si riempie di gioia).

Da quando ho iniziato a decidere per me stessa, mettendo davanti i miei desideri e i miei sogni, ho capito che non necessito dell’approvazione di nessuno, che non devo per forza far parte di un qualcosa per esistere, che non è sbagliato provare tutte le mie emozioni e che, anzi, è bello quando ti commuovi ascoltando una canzone che ti ricorda un momento passato, o guardando un cielo azzurro mentre ti accorgi che è quasi primavera e sugli alberi ci sono già i fiori. O mentre sei al panificio a comprare il pane e la commessa ti sorride, mentre tu sei lì che scegli in modo naturale cosa prendere. Semplicemente pensando a queste piccole cose belle, quotidiane ma per nulla banali.

Ammetto che ogni tanto qualche pensiero torna a fare capolino e i momenti difficili ci sono, come capita nella vita di tutti, ma ho imparato a darmi tempo, a lasciar sedimentare ciò che mi accade per poi accoglierlo come accolgo le cose belle. 

E ora ringrazio quel corpo che ho tanto odiato, il mio corpo, per aver parlato al mio posto tanti anni fa.

L’articolo è stato scritto da Giorgia, volontaria dell’associazione, che ha raccontato la sua storia

Contenuto a cura di Animenta

PASTA DI SEMOLA DI GRANO DURO LUCANO

Rasckatielli

Pasta Secca 500g

Ingredienti: Semola di Grano Duro Lucano del Parco Nazionale del Pollino, Acqua.

Tracce di Glutine.

Valori Nutrizionali

(valori medi per 100g di prodotto)

Valore energetico

306,5 kcal
1302 kj

Proteine

13,00 g

Carboidrati

67,2 g

Grassi

0,5 g

Prodotto e Confezionato da G.F.sas di Focaraccio Giuseppe
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