Non sapendo da dove iniziare a raccontare qualcosa che forse non ho mai raccontato neanche a me stessa, voglio partire da una canzone nella quale rivedo ogni singolo attimo del mio lungo percorso.
Tu portami via
Dalla convinzione di non essere abbastanza forte
Quando cado contro un mostro più grande di me
Consapevole che a volte basta prendere la vita così com’è
Portami via, Fabrizio Moro
Ecco, la convinzione di non essere abbastanza forte di fronte a quello che a tutti gli effetti è un mostro che ti convince di essere invincibile e invece ti sta portando via ogni cosa.
Il secondo anno di liceo è stato un periodo davvero difficile.
Sono sempre stata una persona molto sensibile ma, crescendo, la mia sensibilità ha iniziato a mostrarmi tante cose della mia vita, famiglia e amicizie, che non volevo vedere. Insomma, non era tutto perfetto come avevo sempre visto.
Non avevo una grande stima di me, ma questo forse gli altri non lo capivano perché io ero etichettata come “carina”, “brava”, “intelligente”. Dovevo quindi stare bene per forza.
La scuola mi piaceva e la paura di non raggiungere la perfezione mi tormentava nonostante molte volte la stanchezza causata dall’ansia e dallo stress mi impediva di studiare.
Piano piano, iniziai a sentire un vuoto incolmabile e una grande solitudine. Non mi piaceva stare con le altre persone, mi sentivo diversa, non trovavo mai nulla di cui parlare, mi sentivo anche a disagio a parlare e mi sembrava che, quando parlavo, tutti fossero pronti a giudicarmi.
Ai miei occhi la mia vita non aveva nulla di apprezzabile, tutto mi sembrava “fuori dal mio controllo”.
Così, quel bisogno di sfogare il controllo trovò una soluzione: il mio corpo, quel corpo che tanto non mi piaceva perché non era perfetto come lo volevo io.
Il pensiero di poter avere il controllo su qualcosa nella mia vita mi faceva sentire potente, ma la realtà è che niente di ciò che stavo facendo poteva farmi stare bene.
Solitudine, controllo, paura di non essere abbastanza, senso di inesistenza invadevano la mia mente.
Vedere il numero della bilancia scendere mi faceva sentire forte, sapevo che un giorno “quel numero” mi avrebbe resa felice. La verità è che nessun numero mi avrebbe mai resa felice e nessun numero poteva o può dire qualcosa di me.
In poco tempo iniziai a nutrirmi di aria e Nutella per poi cercare conforto nei passi che macinavo e nella mia cyclette.
Bilancia, calorie, cibi proibiti erano diventate le mie ossessioni più grandi. Non pensavo a nient’altro.
A periodi, sentivo di stare meglio, mi sembrava che qualcosa potesse funzionare davvero nella mia vita e allora mi facevo promesse che puntualmente non riuscivo a mantenere e ricadevo nella solita routine.
Da cosa erano caratterizzate le mie giornate? Pensavo costantemente a ciò che avevo mangiato o avrei dovuto mangiare, avevo un comportamento aggressivo verso gli altri, anche verso la persona che in tutto questo percorso non mi ha mai lasciata sola: il mio fidanzato.
Ogni giorno temevo di non essere mai all’altezza, mai abbastanza.
E non riuscivo a vedere il mio corpo per quello che realmente era.
Le cose iniziarono ad andare meglio solo quando capii che era necessario chiedere aiuto.
Poi, il primo lockdown, il momento in cui ho iniziato a riempire il vuoto con il cibo per poi pentirmene puntualmente.
Era l’anno della maturità e furono mesi strazianti. I miei insegnanti non conoscevano la mia situazione,anche se sicuramente se ne erano fatti un’idea. Tornassi indietro, gliene parlerei.
Il lungo percorso di guarigione iniziò nel 2021 e, tra periodi positivi e non, sto raggiungendo tanti traguardi.
La mia più grande soddisfazione è aver intrapreso la strada per diventare nutrizionista per poter aiutare, un giorno, le persone che avranno bisogno di una guida per imparare a prendersi cura di sé attraverso un’alimentazione consapevole ed equilibrata.
Una cosa che voglio recuperare è la mia passione per il canto, che si è sgretolata nel tempo e che spero possa tornare ad essere presto un motivo di gioia e non di sofferenza.
La frase che voglio assolutamente smettere di dirmi è: “Non ce la faccio”. L’ho detta troppe volte e, ogni volta, ho dimostrato di farcela.
L’articolo è stato scritto da Sara, volontaria dell’associazione, che ha raccontato la sua storia