“[…]vorresti scomparire e poi diventare piccola e scappare al mare” – Michele Merlo, “vorrei proteggerti dal mondo”.
Questa frase sembra parli di me. Credo sia iniziato tutto così, volevo scomparire.
Ma perché?
L’inizio di tutto
Io sono Serena e ho 18 anni. All’età di 16 anni qualcosa è cambiato in me. Non so dire esattamente un giorno o un mese in cui tutto è iniziato, so solo che piano piano (ormai più di due anni fa) la mia vita è cambiata. Il mio disturbo alimentare lo immagino come un nuovo inquilino in casa, inizialmente è arrivato nella mia mente a piccoli passi, in punta di piedi, poi si è finto mio amico, mi ha dato l’illusione di avere un controllo nella mia vita e infine si è rivelato falso e manipolativo. Però si fa così fatica ad abbandonarlo, perché ormai quando ho capito la sua vera natura, ero totalmente sua dipendente.
Inizialmente il disturbo alimentare si è presentato con pensieri ossessivi sul corpo, sul peso.
Ho cominciato a sentirmi inadeguata, sbagliata. Però ancora non avevo comportamenti disfunzionali. Poi ho iniziato ad averli perché ho “scoperto” che servivano a placare la vocina nella mia testa, ad avere l’illusione di star facendo la cosa giusta. Ma all’inquilino non bastava mai niente, niente era abbastanza.
Molti comportamenti e momenti bui li ricordo in maniera ovattata, quasi sbiadita, credo sia un meccanismo di difesa per tutto il dolore che ho provato…
Ricordo abbastanza bene l’inizio del 2020, in me si erano ormai radicate abitudini davvero malate che però non riconoscevo come tali: conteggio delle calorie, body checking continui, restrizione alimentare, iperattività e così via. Con l’inizio del primo lockdown tutto è precipitato. Eravamo rimasti io e il mio disturbo, chiusi in quattro mura. Andava tutto peggio, i comportamenti e i pensieri che già avevo peggioravano di giorno in giorno e sentendo le mie amiche senza poterle vedere, era facile dire a tutti che stavo bene, mentendo ovviamente. L’unica persona con cui mi sono un minimo aperta è stata la mia amica più fedele, la ringrazierò sempre per tutto il supporto che mi ha dato anche se comunque facevo fatica pure con lei a dire tutto ciò che mi stava succedendo, che non era chiaro nemmeno a me.
I miei genitori invece erano sempre più preoccupati ma allo stesso tempo credevano fosse una fase passeggera e che io avrei potuto farcela in pochi mesi.
L’apparenza a volte inganna…
Con l’arrivo dell’estate, in realtà, le cose andarono un pochino meglio. Almeno così sembrava… Avevo preso qualche chilo di quelli che avevo perso e quindi questo bastava per rendere tutti più tranquilli della mia situazione. Come se il mio dolore potesse passare solo tramite il corpo. Ammetto che anche mentalmente stavo leggermente meglio, ma il disturbo c’era ancora ed era anche ben presente. Si stava prendendo tutta la mia vita e io, più o meno consapevolmente, glielo permettevo.
L’inizio del precipizio…
La situazione precipitò dall’autunno 2020 fino a marzo 2021. Continuavo a concedergli di rovinare tutto e lui lo faceva benissimo. Di quei mesi ho ricordi confusi, ricordo i pianti, i comportamenti sempre più disfunzionali e la sensazione di essere sempre ingombrante, anche se in realtà il mio corpo faceva di tutto per farmi capire che stava soffrendo.
Ammettere di aver bisogno di aiuto
Finalmente ho trovato l’appiglio per chiedere aiuto, mi sono detta che non dovevo toccare ancora di più il fondo per farlo, che stavo male e basta. Così ad aprile 2021 ho fatto la prima visita in un centro specializzato in DCA. Da lì è iniziato il mio percorso con un’equipe di medici molto bravi. Ho iniziato ad avere tanta consapevolezza della malattia e questo mi ha aiutata e mi aiuta ancora ora. Però inizialmente stavo troppo male per impegnarmi davvero.
Toccare davvero il fondo…e iniziare a risalire piano piano
Così durante l’estate, a causa anche di alcune amiche che mi hanno totalmente abbandonata nel momento del bisogno e a causa di stress dovuto ad altri problemi familiari, ho avuto dei mesi davvero infernali, probabilmente i peggiori di sempre. Il mio corpo iniziava letteralmente a ribellarsi, così se già facevo mentalmente fatica a mangiare, si aggiungeva il corpo a rifiutare anche solo un po’ di riso in bianco o un’insalata. Ricordo tanto dolore… Mia mamma che mi è sempre stata accanto, si rifiutava di abbracciarmi, perché le faceva troppo male toccare il mio corpo. Non avevo nemmeno la forza di depilarmi e mi aiutava lei, piangendo alla visione del mio corpo. Ricordo tutti i discorsi bellissimi che mi faceva e che io ancora non riuscivo a comprendere perché ero troppo presa dalla malattia. Se sono qui oggi è anche per merito di mamma che dopo l’estate mi ha aiutata a “mettermi in riga”. La mia mamma è fondamentale nel mio percorso, così come i miei medici. Lei li ascolta, segue i loro consigli e soprattutto mi sta vicina, che sia durante un pasto che mi dà ansia o durante le mie crisi.
Tornando alla domanda iniziale, non so perché volessi scomparire. Forse per nascondermi da questo mondo che mi sembra troppo grande per me.
Forse per paura del futuro…
E adesso?
Adesso come sto? Alti e bassi, ma una cosa è certa: finalmente dopo più di due anni so cosa voglio, ed è la vita. Ho tanta fame di vita, di esperienze, di tutto ciò di cui la pandemia e l’anoressia mi hanno privato. Ho voglia di riassaporare cibi che non mangio da tanto, di mangiare fuori con la mia migliore amica, di vestirmi come mi pare e uscire, di viaggiare.
In un caso di anoressia nervosa come il mio si pensa che la cosa principale che si perde sia il peso, ma in realtà oltre a quello si perde la gioia di vivere, la bellezza di uscire, di mangiare fuori. Non si ha più la forza nemmeno di sorridere davvero.
I disturbi alimentari ti fanno esistere senza vivere più.
Ma io, come tutti, merito vita vera.
Quella che ti dà un disturbo alimentare non lo è. Restringere, abbuffarsi, vomitare, avete determinati pensieri NON è sano, mai.
E invito chiunque legga la mia storia o chiunque segua Animenta, se non avesse ancora chiesto aiuto, a farlo. Iniziate parlandone anche solo con un genitore o un amico. Ma fate un piccolo passo, che piccolo non è.
Iniziate. Il percorso sarà lungo, ma ne varrà la pena. In futuro potremmo dire di avere un passato doloroso alle spalle ma che ci avrà reso persone più sensibili ma anche allegre e in grado di vivere la vita assaporando ogni suo istante.
Articolo a cura di Serena Bonasoro, volontaria dell’Associazione che ha raccontato la sua storia