Attenti ai trigger: come prendersi cura di una persona con DCA

attenti ai trigger

Che il linguaggio sia la forma di comunicazione più efficace è ormai risaputo. Tuttavia il modo in cui ci rivolgiamo agli altri non è sempre quello più adeguato rispetto a quello che l’altra persona sta vivendo.

Quando ci si relaziona con una persona che soffre di DCA è molto importante fare uso di un linguaggio empatico e mai fonte di trigger. Va posta molta attenzione su come ci si rivolge a persone che stanno vivendo questa malattia, questo perché una semplice parola o un’affermazione apparentemente superflua possono innescare un meccanismo concatenato di pensieri intrusivi disfunzionali. 

I “trigger”

Quando si parla di “trigger” si fa riferimento a una serie di parole, commenti o azioni che vanno ad attivare pensieri disfunzionali in una persona affetta da DCA. Questo avviene poiché certe parole a toccare temi sensibili per la persona malata.

“Ma come sei dimagrita!” “Ma perché non mangi?” “Stai mangiando ancora?”. Sono alcuni esempi di frasi che hanno su chi li riceve un impatto devastante e che aumenta il forte senso di inadeguatezza già sperimentato dalla persona malata. Commenti su peso, immagine, diete o qualsiasi ambito legato a alimentazione e prestanza fisica possono trasformare un semplice momento di convivialità in una reale minaccia. 

Spesso quando si è davanti a una persona con DCA si prova un reale senso di impotenza, qualsiasi domanda o parola sembra essere inopportuna. Ci si sente disarmati di fronte a una malattia che è difficile da comprendere. 

Imparare una comunicazione gentile 

Può capitare che per stare vicino ad una persona cara che soffre, a volte si facciano dei tentativi di dialogo eccessivamente invasivi. Si fa notare alla persona malata come abbia raggiunto un peso non salutare. Oppure le si chiede perché non mangia, la si obbliga a dare spiegazioni rispetto ai suoi comportamenti. Sebbene questi tentativi abbiano alla base un motivo nobile, ovvero tentare di aiutare una persona a cui si tiene a stare meglio, possono essere recepiti da una persona che soffre di DCA come un vero e proprio pericolo.

Piuttosto che parlare del sintomo più evidente, ovvero dell’alimentazione, bisognerebbe rivolgersi all’altra persona per cercare di capire cosa sente. Il rapporto con l’alimentazione è sintomo di un malessere interiore più ampio, che in molti casi non è chiaro neanche alla persona che lo sta vivendo. I disturbi alimentari sono delle malattie definite egosintoniche, questo significa che la persona che ne soffre tende ad identificarsi con la malattia stessa. È importante avere accanto persone che tramite le loro parole e il loro sguardo, ricordino quotidianamente come tutto ciò che di bello contraddistingue ogni essere umano sia irriducibile.

Oltre ai trigger: parlare con una persona cuore a cuore

Nel rapportarsi con un soggetto che soffre di DCA è importante avere la salda convinzione che non si sta parlando a una malattia, ma a una persona. È necessario andare ad allargare lo sguardo oltre i sintomi più evidenti e palesi, ma guardare a quello che timidamente il cuore della persona che abbiamo davanti ci sta dicendo.

Rapportarsi con una persona cara che soffre di DCA può essere molto faticoso e complesso. Per questo, bisogna sempre ricordare che non spetta a noi guarirla: noi possiamo essere un supporto, ma è necessario un percorso mirato di aiuto multidisciplinare.

L’articolo è stato scritto da Maddalena, volontaria dell’Associazione

Contenuto a cura di Animenta