Caro Babbo Natale,
riportami la mia amica.
Anche solo per un giorno.
In occasione delle festività, le luci di Natale si accendono ovunque. Ma non tutti riescono a sentirne il calore.
Questa lettera è scritta da chi, ogni giorno, è accanto ad una persona che convive con un Disturbo del
Comportamento Alimentare (DCA).
È la voce di chi resta accanto, di chi osserva, di chi lotta in silenzio. Di chi a volte si sente sopraffatt* dalle emozioni di impotenza, di incertezza, di paura. È la voce di chi si vede sottrarre da sotto gli occhi una persona cara nella sue pienezza: la voce di chi cerca di tenere vivo il lume di chi ama con tutto il cuore.
Questa lettera parla di affetto, di cura, amore e attenzione. Parla di memorie e ricordi di giorni migliori e di speranze perchè questi possano tornare. Parla di vicinanza e necessità umane di relazione e di amore.
Questa lettera è un grido strozzato per ricordarci che dietro ogni malattia c’è un cuore che batte… e, inevitabilmente, un altr* che batte con lui.
Una lettera per Babbo Natale
Caro Babbo Natale,
Non so se gli adulti ti scrivano ancora.
Io sì.
Ho un’amica, Babbo Natale.
Lei c’è ancora, ma a volte sembra sparita dentro la sua stessa pelle.
Convive con un Disturbo del Comportamento Alimentare, una malattia che ruba voce, sorriso, appetito e respiro.
Ma non è solo questo.
È un’ombra sottile che le si posa addosso, una mano che la trascina via da sé stessa.
Sai, Babbo Natale, la mia amica non si odia davvero.
Semplicemente non riesce a riconoscersi più.
È come se dentro avesse uno specchio rotto: si guarda, ma non vede più se stessa.
Quella vera.
E io resto qui, ogni giorno, a cercare di capire come si fa ad amare qualcuno che non riesce più ad amarsi.
E la vedo, ogni giorno, farsi più piccola.
Vorrei che la vedessi com’era,
caro Babbo Natale.
Rideva fino alle lacrime.
Rideva di una risata coinvolgente.
Ora parla piano, come se le parole fossero troppo pesanti da trascinare fuori.
Sorride, ma il sorriso le resta sospeso sulle labbra, come un ricordo che non riesce più a ritrovare.
Mi manca la sua leggerezza, la sua voglia di vivere, Babbo Natale.
Mi manca il modo in cui guardava il mondo.
Mi manca lei.
Stare accanto a chi soffre è un atto d’amore silenzioso.
Nessuno te lo insegna.
Stare accanto a chi soffre non è semplice.
Ti toglie il respiro, la fame, il sonno.
Ti fa diventare esperta di silenzi, di parole non dette, di attese che non finiscono mai.
A volte mi sento stanca, vuota, impaziente, e poi mi vergogno di sentirmi così.
Perché lei è quella che combatte, e io sono solo quella che guarda.
Ma anche guardare è una battaglia in una guerra che a volte mi sembra persa in partenza,
anche se nessuno lo dice mai,
anche se io non lo dico mai.
Io non sono un’eroina, Babbo Natale.
Ci sono giorni in cui penso che non ce la faccio più.
E la mia stanchezza mi sembra una colpa.
E poi la vedo, anche solo per un attimo, fare un passo in avanti.
E allora resto.
In piedi.
Anche io.
Anche se non so più come si faccia.
Le parole che non so più dire
A volte le mie parole si fermano in gola.
Ho paura di ferirla con la leggerezza o di spaventarla con la verità.
Così sto zitta, ma il mio silenzio pesa come un macigno.
Cammino su un filo, cercando l’equilibrio tra la paura e la speranza.
Ho paura, Babbo Natale.
E questa paura mi accompagna ovunque, anche quando sorrido, anche quando fingo che vada tutto bene.
Vorrei dirle che è bellissima, ma so che non lo crederebbe.
Vorrei poterle prendere la mano e trascinarla fuori da quel buio.
Ma non posso.
Non si può salvare chi ancora non vede la via d’uscita.
Posso solo restare sulla soglia, con la porta aperta.
Vorrei dirle che andrà tutto bene, ma sarebbe una bugia. Perché la verità è che nemmeno io so come andrà.
E allora mi limito a esserci.
Mi siedo accanto a lei, anche quando non parla, anche quando il suo dolore riempie la stanza come un’eco
spaventoso.Ti chiedo luce e speranza
Caro Babbo Natale,
Ti chiedo solo un po’ di luce, una luce che riesca a filtrare tra le crepe.
Una luce piccola, ma abbastanza forte da farle ricordare che non è sola.
Vorrei che un giorno potesse guardarsi allo specchio e non provare paura.
Vorrei che il suo corpo tornasse a essere casa confortevole e non campo di battaglia.
Ti chiedo, per me, un po’ di forza.
Per non spegnermi accanto a lei.
Per non smettere di credere che un giorno, riusciremo a lasciarci alle spalle questo dolore.
Per tenermi in piedi, mentre la tengo.
Se puoi riportarmi la mia amica,
anche solo per un giorno.
Solo un giorno, Babbo Natale.
Un giorno in cui torni a ridere davvero.
Un giorno in cui mi guardi e dica:
“Ce l’ho fatta. Abbiamo vinto noi.”
Un giorno in cui la paura tace e rimane solo la luce.
Lo terrò stretto quel giorno, come il dono più grande.
Perché non voglio nient’altro, Babbo Natale.
Solo questo: vederla tornare a vivere,
anche solo per un istante.
L’articolo è stato scritto da Terry, volontaria dell’Associazione




