Corpo, forte come la natura indomabile, bello da scomporsi.
Eri energia mai sazia, vorace, di una vita che avevi accolto e che poi ti ha tolto.
Ti sei fatto ossa, debole di cuore, mente, anima.
Hai salutato quelle gambe che ti avevano portato ovunque tu volessi, quelle braccia che timidamente, anche allora, toccavano e che poi si sono arrese.
Hai provato freddo, troppo, anche avvolto da maglioni, sciarpe, cappelli.
Non eri più guance né fossette sorridenti, ma solo grandi occhi e zigomi sporgenti. Pungente, tutto di te tagliava, perché il parassita che ti viveva ti voleva affilata e tu ti sei fidato.
Hai dimenticato di essere luce, eppure, prima, ne emanavi senza modestia. Eri spavaldo e orgoglioso, consapevole dei tuoi “ma”, ma grato ai tuoi “però”.
Ti sei perso, non sei tornato a casa per un po’, da quale dove non tornavi? “Da quale dove non tornavo io”, direbbe Chandra Candiani. Quel luogo che ho creduto fosse un porto sicuro, perché scarno e vuoto, senza peso, proprio come eri diventato tu.
Ora ti tocco di nuovo, timorosa e curiosa, a volte confusa da quegli spigoli ormai levigati, da quelle gambe non più stanche, da quel seno che si sta riprendendo il suo posto.
Hai resistito quando neanche io vedevo fiori all’orizzonte, hai combattuto con ciò che ti era rimasto quando io mi lasciavo cullare dal buio.
Sei tu, sei sempre stato tu, anche quando avevo smesso di volerti. Ma hai smesso di essere altro e mi sei tornato caro.
Ed io, ora, sono pronta. Puoi tornare a casa.
Di nuovo tua,
Arianna