Come lo storytelling può aiutare nel recovery da DCA

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Testimonianze di vita e studi scientifici hanno sottolineato come il condividere il proprio percorso di recovery da un DCA attraverso la pratica dello storytelling,  possa rappresentare un importante vantaggio, sia durante che dopo il trattamento. 

Un’indagine, effettuata su un campione di 1500 persone, ha rilevato che trasmettere in forma scritta quella che è e/o è stata la propria esperienza emotiva offre un notevole contributo nell’alleviare i sintomi dei disturbi alimentari e nel migliorare la percezione della propria immagine corporea.

Lainy Clark, rappresentante del settore Therapy Lead di Equip, ha definito la scrittura come un atto “profondamente catartico”, poiché è d’aiuto non solo nel proprio processo di guarigione, ma conferisce, allo stesso tempo, un significato a questa dolorosa fase.

Il caso di Maris Degener: racconta la sua storia

Quando a Maris Degener è stata diagnosticata l’anoressia, con l’inizio della terapia, decise di tenere quest’esperienza unicamente per sé. Con il passare del tempo, però, cominciò a sentire un crescente desiderio di far conoscere a più persone possibili la sua storia. Dopo una lezione di yoga, Maris consegnò alla sua insegnante una lettera, scritta di suo pugno, in cui la ringraziava per la sua capacità nel creare un’atmosfera confortante in palestra durante il corso.

L’istruttrice scrisse una lettera di risposta e gliela consegnò insieme a un libro che, come afferma la Degener, “l’ha aiutata a trovare un supporto di cui credeva di non aver bisogno”. Dove prima si era sentita giudicata o guardata in maniera diversa, ora Maris vedeva aprirsi davanti “una porta che la conduceva a qualcosa di nuovo e ricco di significato.”

Da quel momento, decise di rendere pubblico il suo vissuto in diversi modi: tramite il suo blog, registrando un documentario sul suo percorso di recovery e, ora, condividendone i dettagli in qualità di Director of Peer Mentorship di Equip. 

La decisione di Maris ha rappresentato un esempio fondamentale per tutt* coloro che convivono con un disturbo del comportamento alimentare. Perché, leggendo delle esperienze altrui, chi soffre di un DCA si sente meno sol*. Starà a ciascun* scegliere se parlarne pubblicamente o meno ma trovare qualcun* che si apre su questo argomento, fino a poco tempo fa considerato tabù, equivale a entrar a far parte di un gruppo di persone che, nonostante le differenze negli stili di vita, hanno davvero molto in comune.

L’importanza di raccontarsi

Per Maris raccontare la propria esperienza si è rivelato particolarmente stimolante. Prendere carta e penna in mano, anzi il PC per scrivere il suo blog, l’ha aiutata a cambiare punto di vita circa la sua situazione. La Degener parla di come l’auto-scrittura le abbia fornito una chiave di lettura differente, i cosiddetti “occhiali del recovery”. Riflettere sui successi, sulle sfide, sugli alti e bassi che aveva dovuto affrontare durante la giornata le ha permesso di domandarsi “Che cosa posso imparare da tutto ciò?”. Ha compreso come il processo di guarigione da un DCA non sia per nulla lineare e a dare un senso ai modelli, agli schemi e alle abitudini che sono emerse nel corso del tempo. 

Quando una persona si apre, esponendosi sul processo di guarigione che ha vissuto, aiuta tutte le altre persone che camminano su un percorso simile. Questo è il dato evidenziato da un’analisi su un numero di donne guarite da un disturbo alimentare. Molte partecipanti all’indagine hanno affermato che ascoltare le storie di recovery di altre persone le abbia spronate a provare a uscir fuori da quel vicolo cieco in cui si erano imbattute.

La Degener ha parlato di come tante persone le abbiano espresso gratitudine perché, senza la sua testimonianza, si sarebbero trovate “a lottare” da sol*. Queste testimonianze hanno incoraggiato Maris a continuare il suo racconto.

Clark definisce, infatti, la condizione come “un generoso atto di connessione”. Non si tratta solo di un modo per offrire speranza e incoraggiamento, ma si tramuta in molto di più. Questo tipo di esperienza “può portare a un senso più profondo di appagamento, trasformando qualcosa che, un tempo, era estremamente doloroso in una fonte di forza e ispirazione per gli altri”.

Condividere o non condividere: i fattori da considerare 

Abbiamo illustrato gli svariati benefici che comporta la scrittura come metodologia terapeutica. In realtà, però, raccontare il proprio percorso di recovery e, dunque, raccontarsi non sempre è la scelta migliore o almeno non lo è per tutti.

Degener e Clark ci hanno lasciato una serie di consigli da seguire per capire se e quando è il caso di iniziare a buttare giù i frammenti della nostra esperienza. 

  1. Aspetta finché non sei pront*

Condividere la propria storia potrebbe non essere la decisione ideale all’inizio del percorso di guarigione, quando si sta ancora lavorando per raggiungere obiettivi iniziali come il recupero del peso, la normalizzazione delle abitudini alimentari e la riduzione dei comportamenti disordinati. Per la maggior parte delle persone, è saggio aspettare di aver fatto progressi sufficienti per avere il controllo della narrazione, e non del disturbo alimentare. Condividerla troppo presto potrebbe alimentare involontariamente convinzioni disordinate o indurti a esplorare argomenti scatenanti o emozioni difficili prima di aver gettato solide basi per il recupero.

“Condividere la propria storia può essere potente, ma richiede anche prontezza emotiva”, afferma Clark. Il terapeuta ha notato come, in base alle sue analisi, la  capacità di articolare la propria esperienza spesso segnala un cambiamento significativo: dall’essere invischiati nella narrazione del disturbo alimentare all’acquisire consapevolezza, prospettiva e appropriazione di essa. È un segno che l’individuo non si aggrappa più all’identità che il disturbo un tempo gli forniva, ma inizia invece a vedere l’esperienza come qualcosa che gli è accaduto e che ha contribuito alla sua crescita come persona ed essere umano.

  1. Comprendi la tua intenzione

Bisogna chiedersi “perché” desideriamo dare forma scritta alla nostra storia. “È per ispirare gli altri o per fornire loro supporto durante il recovery? Voglio farlo perchè ho bisogno di supporto e, di conseguenza, sentirmi parte di una comunità più ampia? Se la situazione non supporta la tua intenzione, potrebbe non essere utile condividerla in quel momento”.

  1. Rispetta i tuoi desideri

Se semplicemente non vuoi condividere la tua storia, questa è la migliore ragione immaginabile per non farlo. Mantenere i propri confini personali è spesso la scelta più favorevole per affrontare al meglio il percorso di recovery, indipendentemente dai potenziali benefici derivanti dalla condivisione.

Guida per raccontare la tua storia di recovery 

Se decidi di condividere la tua storia di guarigione dai disturbi alimentari, ecco alcune linee guida utili da tenere a mente. Sebbene la tua storia sia un’espressione unica del tuo percorso specifico, della tua personalità, delle tue preferenze creative e dei tuoi obiettivi, i seguenti consigli possono aiutarti a condividerla nel modo più utile per te e per gli altri.

  1. Sii autentic* 

I social media rappresentano un’occasione per mostrare al mondo solo il nostro lato “perfetto”, quello senza sbavature. In realtà, però, il recovery da DCA non è un processo lineare e le storie più significative nascono dall’essere onesti su questo caos.

  1. Non cercare di adattare la tua storia a un modello prestabilito

Sarebbe bello se la guarigione seguisse un arco narrativo cronologico, sempre in crescendo, ma raramente accade. Spesso, la guarigione comporta passi indietro così come passi avanti. Potrebbero esserci intervalli o delle vere e proprie ricadute, e ciò non rende assolutamente il tuo percorso meno degno, potente o stimolante. Come consiglia la Degener: “Non sentirti in dovere di avere una storia ‘perfetta’ o che si adatti allo schema di ciò che pensi che la guarigione ‘dovrebbe’ essere. Non esiste un solo modo per guarire e nemmeno un solo modo per raccontare quella storia”.

  1. Sappi che raccontare la tua storia ha un aspetto diverso da persona a persona

Se scegli di condividere la tua storia, potresti farlo attraverso delle lettere, un blog o qualcosa di completamente diverso! Una poesia, un’opera d’arte, un saggio, un post su Instagram, una conversazione a cuore aperto con una persona cara. Puoi scegliere di condividere la tua storia nel modo che ritieni più naturale, utile, interessante o accessibile.

“Non esiste un modo ‘giusto’ o ‘perfetto’ per condividere la propria storia di recovery”, afferma Clark.

  1. Usa un linguaggio realistico per parlare della tua storia

Quando si rivela qualcosa sulla propria esperienza con un disturbo alimentare, c’è sempre il rischio che possa causare danni involontari, sia a sè stess* che al pubblico. È importante evitare contenuti potenzialmente deleteri. Ad esempio, foto del prima e del dopo, dettagli specifici sul proprio disturbo o numeri relativi a peso, calorie o misure corporee. E sebbene non sia necessario sorvolare sulle difficoltà del recovery, può essere molto stimolante cercare la lezione o la speranza che si nascondono dietro quei momenti di sconforto. 

  1. Non devi soffermarti per forza sui momenti difficili

Raccontare la propria storia non significa rivivere ogni dettaglio della propria esperienza con il disturbo alimentare, soprattutto se alcuni sono particolarmente angoscianti. Ricordati di condividere le tue cicatrici, non le tue ferite. Non è necessario, infatti, immergersi nelle esperienze più dure che si sono vissute per entrare in contatto con gli altri o condividere la propria storia.

  1. Avere un piano se le cose si fanno difficili

Anche se decidi di omettere le parti più dolorose della tua storia, raccontare come hai affrontato e superato un DCA può essere emotivamente impegnativo. Per garantire che queste sfide non abbiano un impatto negativo sul tuo recovery o sulla tua salute mentale,è importante avere un solido piano di supporto. Questo può essere magari condiviso con il/la terapeuta.

  1. Ricorda che il consenso è importante

Tieni bene a mente che sei tu a decidere se, quando e come condividere la tua storia, e puoi cambiare idea in qualsiasi momento. “Un consiglio che ho sentito e che apprezzo molto è che il consenso è importante in questo processo”, afferma Degener. “Non dovresti mai sentirti costretto a condividere la tua storia, o alcune sue parti. Potresti scegliere di condividerla con alcune persone e non con altre. Hai tutto il diritto di usare la tua storia in modi, forme e mezzi diversi per tutta la vita, e tutto è prezioso”.

Ognuno ha la propria storia: l’angolo dedicato di Animenta 

La nostra associazione dedica un cantuccio del blog alle Storie. Al racconto di chi ha deciso di divulgare la propria esperienza per far conoscere a più persone possibili cosa significa vivere con un DCA. La nostra galleria di storia si configura come un liber exemplorum o, più personalmente, un diario di situazioni, avventure, tentativi e consapevolezza.

Se ti sei incuriosit* e hai voglia di addentrarti nelle pieghe narrative del nostro travel book, visita il sito di Animenta alla sezione “Storie”. Potrai trovare lettere, favole, poesie e tanto altro. 

L’articolo è stato scritto da Natalia, volontaria dell’Associazione

Contenuto a cura di Animenta

PASTA DI SEMOLA DI GRANO DURO LUCANO

Rasckatielli

Pasta Secca 500g

Ingredienti: Semola di Grano Duro Lucano del Parco Nazionale del Pollino, Acqua.

Tracce di Glutine.

Valori Nutrizionali

(valori medi per 100g di prodotto)

Valore energetico

306,5 kcal
1302 kj

Proteine

13,00 g

Carboidrati

67,2 g

Grassi

0,5 g

Prodotto e Confezionato da G.F.sas di Focaraccio Giuseppe
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