Vivere in una società spinta dall’ideale di magrezza e ossessionata dall’immagine corporea, come la nostra, implica che il cibo non sia solo nutrimento ma che venga spesso caricato di valori morali. Decidere di “mangiare sano” non è più una scelta di salute autodeterminata, ma un impegno morale da assumersi quotidianamente.
Per semplificare il compito si finisce per classificare cibi “giusti” e “sbagliati”. Queste etichette – “buono” o “cattivo” – che attribuiamo agli alimenti non riflettono solo le loro proprietà nutrizionali, ma portano con sé un carico di significati culturali, sociali e psicologici che possono avere conseguenze dannose sul nostro rapporto con il cibo e con noi stessi.
Il cibo non è una questione morale
Definire un alimento “sano” o “non sano” implica che il consumo di quel cibo abbia un valore morale: scegliere cibi “buoni” fa di noi persone migliori, mentre cedere a quelli “cattivi” ci fa sentire sbagliati. Non nasciamo con questo modo di pensare, noto anche come moralizzazione del cibo, ma è profondamente radicato in molti di noi e alimentato da campagne di marketing, mode alimentari e messaggi sui social media.
Le nostre scelte alimentari non sono un comportamento etico. Non rubare o non mentire sono questioni morali, ma scegliere di mangiare un pezzo di torta non ha nulla a che fare con la bontà o la cattiveria di una persona.
Non ascoltare i nostri bisogni, affidandoci a questa morale può farci cadere in un circolo vizioso continuo fatto di restrizioni e privazioni, sensi di colpa e abbuffate, compromettendo il nostro benessere psicologico e il nostro rapporto con il cibo.
Inoltre, è importante ricordare che non tutti abbiamo pari opportunità di accesso a tutti gli alimenti e nessuno merita di vergognarsi di ciò che mangia per nutrire il proprio corpo.
Gli effetti negativi dell‘attribuire una morale al cibo
Quando consideriamo certi cibi “cattivi”, tendiamo a evitarli con rigore, finché non ci sentiamo sopraffatti dal desiderio e cediamo. Questo comportamento, tipico di molte diete, è chiamato restrizione cognitiva e ci fa sentire percepire un senso di scarsità e privazione. L’imposizione di regole dietetiche e la limitazione dell’ascolto dei propri segnali (fame, sazietà e soddisfazione) scatena nella nostra mente il fenomeno del frutto proibito, facendoci desiderare ossessivamente ciò che non ci concediamo. Nel tempo questo mindset può portare ad un rapporto conflittuale con il cibo e, in alcuni casi, allo sviluppo di disturbi alimentari come il binge eating.
Al contrario, etichettare certi cibi come “buoni” può portare a un approccio perfezionista all’alimentazione, dove ogni deviazione dalle regole autoimposte è vissuta con ansia e autocritica. Nei casi più gravi, può portare a sviluppare l’ortoressia, un’ossessione per il mangiare sano. Questo atteggiamento non solo riduce il piacere legato al cibo, ma rende la nostra alimentazione rigida e poco sostenibile nel lungo termine.
Il modo in cui parliamo di ciò che mangiamo può contribuire ad alimentare questa dannosa narrativa, influenzando anche i pensieri e i comportamenti di chi ci sta intorno. Ciò accade soprattutto se la persona ha un disturbo alimentare, facendolo sentire ulteriormente giudicato, e potrebbe rinforzare alcuni dei suoi comportamenti disfunzionali.
Nutrizione e flessibilità: un approccio neutrale
Abbandonare l’idea di “buono” o “cattivo” non significa ignorare la nutrizione. Adottando un approccio neutrale comprenderemo che ogni cibo può avere un posto nella nostra alimentazione, a seconda delle circostanze e delle nostre necessità. Questo perché nessun alimento preso isolatamente definisce la nostra salute o il nostro valore come persone. È il quadro generale – l’equilibrio tra ciò che mangiamo, come ci muoviamo e come ci sentiamo – a contare di più del singolo alimento.
Darsi il permesso incondizionato di mangiare tutti i cibi senza limitazioni autoimposte è fondamentale per liberarsi dalle rigidità, dal senso di colpa e dalla vergogna. In questo modo si può migliorare il rapporto con il cibo e la propria qualità di vita, aggiungendo gentilezza, compassione e flessibilità.
Rompere il ciclo: come abbandonare le etichette morali
- Concediti il permesso incondizionato di mangiare, liberandoti dai giudizi interiorizzati sui cibi. Focalizzati su come un alimento ti fa sentire: se ti piace, se ti fa stare bene, se l’hai scelto perché avevi fame, per condividere un momento speciale con qualcuno, o semplicemente perché era la soluzione più pratica. È importante vivere il momento senza giudizio: mangiare e gustare il cibo può essere un’esperienza piacevole.
- Sfida le regole. Esplora da dove provengono queste convinzioni alimentari e fai delle ricerche. Il “fact checking” è un processo di messa in discussione dei giudizi sul cibo. Per esempio, l’affermazione “i carboidrati fanno male” attribuisce ai carboidrati una connotazione morale negativa. Una ricerca approfondita o una conversazione con un esperto di nutrizione ti mostrerà che sono la principale fonte di energia per il nostro corpo! In particolare, questo vale per organi vitali come cervello e cuore, che dipendono esclusivamente da essi per funzionare correttamente.
- Sii gentile con te stess*. Sostituisci i termini moralistici con un linguaggio neutro e obiettivo. Se hai etichettato le patatine come “cibo spazzatura”, prova a descriverle in modo più appropriato, ad esempio come “salate” o “croccanti”. Usare un linguaggio più neutro ti aiuterà a smantellare il sistema di valori che hai costruito intorno al cibo. In questo modo sarà più facile ridurre le emozioni negative legate al consumo di certi alimenti.
- Abbandona la mentalità del “tutto o niente”. Ricorda che è l’alimentazione complessiva a fare la differenza, non un singolo alimento. Cercare di essere “perfetti” nella propria dieta può portare a un aumento delle privazioni e difficoltà nell’ascolto dei tuoi segnali biologici di fame e sazietà. Può esserti d’aiuto iniziare a pensare al cibo anche in termini di energia! Ad esempio, invece di scegliere l’opzione con meno calorie per il pranzo, chiediti se potrebbe essere più utile/vantaggioso optare per quella che ti darà maggiore sazietà e soddisfazione.
- Concediti del tempo: per molti di noi, uscire dalle regole alimentari imposte dalla cultura della dieta non è facile. Sfida una regola alla volta, iniziando dalle più semplici. Con il tempo, ti accorgerai che sarà sempre più facile. Se ne senti il bisogno rivolgiti ad un professionista, meglio se esperto in alimentazione intuitiva e allineato con i valori HAES (Health At Every Size).
Rapporto con il cibo: l’importanza delle parole
Il modo in cui parli delle tue scelte alimentari può rivoluzionare la tua visione del cibo. In questo modo lo si trasforma in qualcosa di divertente, gustoso, energizzante, confortante e nutriente. Questo approccio aiuterà a migliorare il tuo rapporto con il cibo e a ridurre la pressione culturale sulle diete.
Se tu o una persona a te cara sta affrontando un disturbo alimentare, ricorda che ogni individuo merita un rapporto sano con il cibo e il proprio corpo. È possibile ristabilire una connessione autentica con il proprio corpo, imparando a nutrirlo con rispetto, fiducia e compassione, anziché con ansia, paura e rigidità.
L’articolo è stato scritto da Ivana, volontaria dell’Associazione