Perché sei diventata anoressica? Io non so come mi sono ammalata di anoressia
Come hai fatto a perdere così tanti chili in così poco tempo? Che cosa significa che sei bulimico?
Io non so perché mi sono ammalata di anoressia. Non riesco a dare un perché definito. Vi svelo che io di quel periodo non ricordo molto. È come se il mio avesse deciso di anestetizzare i ricordi. Non mi ricordo cosa ho fatto. Ma so come mi sentivo, ricordi gli occhi delle persone e il modo in cui mi guardavano. La paura e la compassione nei loro occhi. L’incredulità che proprio io mi fossi ammalata di anoressia. Perché, d’altronde, come ci fa ad ammalare di anoressia?
Con il tempo poi, ormai sono passati quasi 5 anni, ho capito l’importanza di perché. Del perché io lo abbia fatto ma soprattutto che cosa pensavo di ottenere. La risposta non ve la posso dare ora. Ci sto ancora lavorando.
Io il perché non so dirvelo
Quando ci si ammala di disturbi del comportamento alimentare, come anoressia, bulimia e binge eating, è difficile riconoscerne la cause. Almeno in un primo momento. E quando non riesci a capire il perché delle tue azioni, quando hai la mente annebbiata e gli occhi appannati non puoi rispondere a tutte queste domande. Non sei in grado di affrontare la società, le giornate e persino le vetrine dei negozi, che riflettono quell’immagine, la tua immagine, che non riesci proprio ad apprezzare. Tutto diventa complicato ma tu, in realtà, non te ne rendi davvero conto. La tua mente è in un limbo dal quale non riesci a svegliarti. Le voci degli altri che ti chiedono se tu ti renda conto del male che stai facendo a te stessa e ai tuoi cari piano piano diventano fioche. Poi scompaiono. Resti tu, con il tuo corpo e il tuo fantasma. È difficile riconoscere un disturbo quando ci sei dentro, quando vivi quella storia, perché non c’è nessuno che te la sta raccontando. Sei tu che la stai vivendo.
Eppure ci sono un sacco di segnali quando ingrassi o dimagrisci troppo. Ci sono gli abiti che cominciano a tirare, i jeans e le camicie che non si chiudono più. Poi invece sono quei pantaloni che cominciano ad andare così lenti che nemmeno con due cinture restano su. Ci sono poi quelle magliette in cui scompari, quelle magliette che sono diventati vestiti. I segnali ci sono tutti. Se li vuoi vedere.
Anche quando era bella/o e non me ne accorgevo
E poi ti senti strano, diverso. Quando, in. realtà, vorresti essere come gli altri o forse vorresti essere semplicemente te stesso. Quel te stesso che, però, fa davvero fatica ad accettarsi
Si mangia o si rifiuta il cibo forse per sfida? Per vedere fino a dove si può arrivare? Forse per provocare una reazione verso gli altri? Si mangia o si rifiuta il cibo quando imponi te stesso che così non vai bene. Quando decidi di modificare tutto, quasi come se fosse una metamorfosi, pur di non essere come ora.
Cominci ad evitare il cibo o cominci a mangiarne a dismisura. Non sei in grado di regolarti. Il cibo diventa un mezzo per comunicare qualcosa. Nei disturbi alimentari il cibo può essere il tuo più grande amico o il tuo più grande nemico.
Io quando sono entrata in anoressia, in realtà non lo sapevo. Eppure vi devo confessare una cosa. Come mi sentivo bella e orgogliosa quando entravo nei negozi e mi dicevano che non avevano la mia taglia. Era troppo piccola, forse avrei trovato qualcosa della giusta misura al reparto bambini, mi consigliavano. D’altronde non avevo più le mestruazioni. Non ero più una donna, non avevo più una forma che potesse distinguere il mio corpo e renderlo particolare.
Abbiamo perso il concetto di particolarità
Forse con il tempo una cosa l’ho capita: abbiamo perso il concetto di particolarità. Non posso dire di essere guarita completamente dall’anoressia, ho ancora i miei acciacchi, seguo una dieta e a volte, mi capita ancora di contare le calorie nel piatto. Ma sto migliorando.
Abbiamo perso la particolarità perché abbiamo fatto della diversità un errore e dello stereotipo un vanto. Perché è perfetto e giusto tutto quello che la società considera come tale, tutto quello che il tessuto sociale cerca di imporci nella nostra mente. Io mi sono ammalata forse perché volevo essere notata, forse perché volevo sentirmi bella. La mia anoressia è cominciata come una sfida con la bilancia, come una sfida alla ricerca della taglia più piccola.
Quando si soffre di disturbi alimentari, l’immagine riflessa nello specchio non è più la traslazione reale di quello che realmente c’è davanti, non siamo più noi che osserviamo e giudichiamo quel riflesso. L’immagine corporea passa attraverso gli occhi della società, di quella frenesia che ci allontana da noi stessi.
Il perfezionismo indotto dalla società, una potenza distruttiva.
Se ci perdiamo, se quei mostri prendono il sopravvento tutti i nostri sogni chi li realizza? Diamoci pure del tempo per perderci, ma poi dobbiamo essere in grado di ritrovarci e di rialzarci. Se non possiamo farlo da soli, chiediamo aiuto, alziamo una mano e parliamo. Nessuno potrà mai giudicarti per una malattia così struggente. E se mai qualcuno lo farà, beh caro lettore voglio svelarti un segreto: non sei tu quello sbagliato, è lui che non sa affrontare la realtà. Per una volta prova a chiederti chi dice che tu sei quello sbagliato, quello che deve cambiare fino a distruggersi?
Sono arrivata a pesare così poco (28 kg all’età di 17 anni) che la mia macchina non rilevava più il mio peso. Sono arrivata a pesare così poco che non ho più vissuto, ma ho cercato di sopravvivere. E non è la stessa cosa. Non mi pento di quello che successo, non potrei perché è il mio passato e mi ha reso quella che cosa. Ma non possiamo lasciare che una malattia guida la nostri vita. Non è contemplato. In fondo il nostro corpo è l’unico posto che abbiamo per vivere, se non ne abbiamo cura noi come possiamo pensare che la abbiano gli altri?
Ci sono voluti tanti anni per capire che troppo magra non vuol dire bella, forse non l’ho ancora capito
Non superare le dosi consigliate – Costanza Rizzacasa D’Orsogn
Questa è parte della mia storia. Piano piano ve la svelerò tutta. Per sensibilizzare bisogna raccontare ma soprattutto raccontarsi. Ho sempre pensato di essere sola e di non essere capita. Poi ho capito l’importanza del raccontare la mia storia. Di far conoscere a chi come me ha sofferto e soffre di disturbi alimentari che, in fondo, non siamo da soli. Che c’è sempre una mano pronta a sollevarti.
Io ho raccontato parte della mia storia, ora è il tuo turno. E se non vorrai far conoscere la tua identità, non ci saranno problemi perché Animenta pubblicherà il tuo articolo in anonimato.