“La Voce”: il desiderio di sognare nascosto dietro un imperativo categorico

Ombre con cuore - Image from Francesco Nisi Trailer

Credit to Francesco Nisi Trailer

La Voce, regia di Carola Minincleri Colussi, è uno spettacolo teatrale portato in scena da FZU35 Flowing Streams, una compagnia teatrale costituita da ragazzi di età compresa tra i 22 e i 28 anni nata come progetto-vivaio della compagnia Farmacia Zooè.

Da dove nasce “La Voce”

Tratto dal libro “Oltre. Scoprirsi fragili: Confessioni sul (mio) disturbo alimentare” di Sandra Zodiaco, lo spettacolo intende sensibilizzare sui Disturbi del Comportamento Alimentare, restituendo dignità a ciò che si nasconde dietro il sintomo “per eccellenza”, ovvero il rapporto conflittuale con il cibo. 

Cos’è “La Voce”

“La Voce” è un logorio incessante, è un canto ammaliatore, è un insieme di ordini cui non ci si può sottrarre. “La Voce” è croce e delizia, è potere e schiavitù, è avere tutto e il secondo dopo ritrovarsi con niente. 

La “nostra Voce”

La nostra voce può esprimere la nostra verità oppure la nostra menzogna; rappresenta quella voce che ci giudica, che ci critica, ma che ci consiglia e ci guida anche. Ed è proprio l’ascolto profondo di questa voce che ci offre la possibilità di sanare le nostre ferite, fino a scoprirne un’altra, la nostra voce più autentica, quella che parla di noi, dei nostri bisogni e dei nostri sogni. La libertà di essere pienamente noi e di scrivere la nostra storia “uscendo dai bordi”.

“La Voce” raccontata dagli autori

Com’è stato costruire e mettere in scena lo spettacolo? Ti va di raccontarci il lavoro di introspezione che è stato svolto dagli attori?

La ricerca è iniziata l’8 gennaio 2020. La pandemia era dietro l’angolo, ma nessuno lo sapeva. Il processo affrontato dagli attori è cominciato in presenza, è andato avanti per tutta la fase di lockdown, per poi riprendere,  con mille precauzioni, in presenza. Abbiamo seguito questo processo: gli attori hanno letto il libro di Sandra e molti altri libri da lei consigliati, poi hanno intervistato l’autrice e altre persone che avevano vissuto un disturbo alimentare in prima persona o che si erano confrontate con questa realtà in modo indiretto, in qualità di familiari e amici. 

Com’è tipico del nostro modo di fare teatro, abbiamo infine dedicato moltissimo tempo all’improvvisazione, ovvero alla ricerca eseguita con il corpo, nello spazio, lasciando sorgere dentro di noi immagini evocative, emozioni da esprimere e posture fisiche. La porta d’accesso verso un mondo introspettivo che non deve rimanere la mera rappresentazione di un dolore personale, bensì tradursi in un linguaggio comprensibile a chiunque. 

L’obiettivo dell’attore è lasciarsi vedere, non farsi vedere. L’attore “presta” la sua fisicità, lasciando il corpo libero di vivere e di trasmettere significati ed emozioni; apre quindi finestre che conducono in profondità, nell’interiorità umana, mantenendosi in equilibrio, nel suo personale equilibrio, senza lasciarsi travolgere. 

Lo spettatore dovrebbe sentirsi trasportato e ispirato da ciò che vede sulla scena, dovrebbe potersi lasciar andare proprio perché l’attore ha delle radici ferme cui sa sempre ritornare. Anche se lo spettatore magari non è in grado di riconoscerlo, sarà proprio la qualità di presenza dell’attore a fare la differenza. E poiché la qualità di presenza per me è figlia dell’autenticità, agli attori è stato richiesto di raccogliere informazioni e suggestioni, ascoltarne l’effetto su di sé, rintracciare esperienze interiori, guardarle con onestà e attraversare tutto il processo con il corpo, che è ciò che di più autentico conosco, per distillare l’essenziale. Nello spettacolo non ci sono “gesti in più”. Trattandosi di una rappresentazione muta, potremmo dire che “non ci sono parole in più”. 

Questo era il nostro obiettivo: arrivare a cogliere proprio quella nota fondamentale che vorrebbe esprimersi e non lo fa.

Credit to Giorgio Meneghetti Photography

Si parla di voce, ma il vostro è uno spettacolo silenzioso. Qual è il motivo di questa scelta?

Quando decidemmo di provare a creare uno spettacolo liberamente ispirato al libro “Oltre”, Sandra mi fece un dono coraggioso e generoso: mi mise in mano “i diari della Voce”, dei quaderni colorati che da fuori sembravano normali quaderni di appunti. Il solo fatto di tenerli in mano mi fece venire i brividi: contenevano un vero e proprio monologo, il monologo della Voce – e uso volutamente la lettera maiuscola. Una voce dispotica e crudele che negava a Sandra ogni speranza, giudicava, criticava, misurava, invitava a compiere gesti e a mettere in atto comportamenti autolesionistici. Come regista teatrale dovrei dire più propriamente che si trattava di un dialogo in cui il secondo personaggio, Sandra, era muto. 

Fu illuminante. Insieme alla presenza di una quantità spropositata di testo contenuto tra parentesi nel libro “Oltre”, questa fu la prima cosa che mi colpì profondamente. Da qui arrivò la certezza che lo spettacolo si sarebbe chiamato “La Voce” e che sarebbe stato muto, senza parole.

A parlare, nello spettacolo, è solo il corpo. Come in parte accade nel disturbo alimentare che stavamo indagando, volevamo che fosse affidato al corpo il compito di rivelare ciò che ad altri livelli viene taciuto.

La scelta consente anche al pubblico di vivere l’esperienza in modo performativo: seduti sulla sedia, in platea, gli spettatori sperimentano insieme agli attori, anche scomodamente, l’ascolto delle voci interiori, talvolta la volontà di fuggire da questa esperienza di ascolto. Verificare che quella scomodità può potenzialmente risiedere in tutti noi e non solo in chi si ammala è un’occasione per riflettere, ma anche per attivare la propria empatia nei confronti del disagio.

Da cosa nasce la necessità di far recitare il medesimo copione a due maschi e, separatamente, a due femmine? E che cosa cambia concretamente nelle due versioni dello spettacolo?

Da sempre sono interessata agli aspetti “androgini” di ogni ricerca. Non ne faccio una questione di genere, ma di qualità energetica e vibrazionale, potremmo dire scomodando con delicatezza alcuni concetti quantistici. Mi interessa osservare la realtà almeno da due punti di vista, lasciando che emergano così i suoi aspetti “tridimensionali”. 

Non credo sia il caso di definire le differenze, ma di viverle, sperimentando innanzitutto come in ognuno dei due spettacoli entrino in gioco aspetti sia maschili che femminili. Chi ha assistito ad entrambe le versioni non nutre alcun dubbio: l’effetto percepito dentro di sé è diverso.

Per quanto riguarda invece la dimensione di genere, per noi la scelta del doppio spettacolo sul medesimo copione è un’occasione in più per ricordare al pubblico il sensibile innalzamento del numero di casi di DCA anche tra i soggetti di sesso maschile. Sono venuta a conoscenza della storia di un ragazzo che ha sofferto di DCA, il quale ha dichiarato quanto fosse stato difficile per lui superare la vergogna di ammettere la sua condizione. Speriamo che il suo esempio aiuti anche altri ragazzi a venire allo scoperto per iniziare, così, a farsi aiutare. 

Credit to Giorgio Meneghetti Photography

Cos’è successo dopo la prima rappresentazione? Che feedback avete ricevuto?

Dopo l’emozione del debutto (lo scorso 3 ottobre al Teatro del Parco di Mestre, VE), abbiamo ricevuto molti preziosi feedback dall’audience. Un pubblico davvero eterogeneo, che comprendeva professionisti, esperti, insegnanti, ma anche genitori e familiari di persone che soffrono o hanno sofferto di un disturbo alimentare.

In quest’occasione abbiamo portato sul palcoscenico la versione femminile, e molti spettatori, incuriositi, ci hanno chiesto di poter vedere anche la versione maschile. Per questa ragione stiamo lavorando per portare nuovamente in scena lo spettacolo a marzo, sempre sul nostro territorio. Abbiamo scelto marzo proprio perché marzo è il mese del Fiocchetto Lilla, tradizionalmente dedicato alla sensibilizzazione sui disturbi del comportamento alimentare.

Molti ci hanno riferito di essere riusciti ad individuare “tra le righe” la profonda sofferenza legata ai DCA e le tematiche che sottendono queste patologie solo grazie ad alcune scene cui hanno assistito. Il fatto che si tratti di uno spettacolo muto ci dà un’idea di quanto il linguaggio del corpo sia incredibilmente potente, quasi come se fosse impossibile rimanere ciechi e sordi di fronte al forte impatto dei messaggi che veicola. 

L’unica vera protagonista in scena è, infatti, la sincerità del corpo, quel corpo che diventa l’abito del disagio e che a volte dice anche quello che non vorremmo dire.

Avete intenzione di replicare lo spettacolo, eventualmente con un tour in Italia?

L’inizio del 2022 ci vedrà impegnati sul nostro territorio d’origine per tre mesi, con 17 matinée dedicate alle scuole secondarie di secondo grado della provincia di Venezia, in cui verranno coinvolti quasi 1500 studenti.

Stiamo poi lavorando per portare lo spettacolo “La Voce” e il format rivolto alla cittadinanza ad esso associato, “La Voce. Esprimi un desiderio” in tutta Italia nel 2022. Questa versione, oltre allo spettacolo in sé, comprende anche la testimonianza di Sandra Zodiaco, il contributo di un esperto in DCA, la conversazione scenica del pubblico con gli attori e lo “Sportello lilla” di ascolto, gestito da professionisti.

Al momento stiamo co-progettando con associazioni di volontariato, enti e istituzioni locali, scuole secondarie di secondo grado e università delle seguenti città: Verona, Padova, Bologna, Torino, Varese, Milano, Pordenone, Trieste, Roma, Salerno, Caserta e Catania.

Ringraziamo Sandra Zodiaco e Carola Minincleri Colussi per aver risposto alle nostre domande e per averci fatto entrare, anche solo con l’immaginazione, all’interno di uno spettacolo, sì senza voce, ma in realtà colmo di parole e di insegnamenti.

Per aver utilizzato lo strumento del teatro per parlare dei disturbi del comportamento alimentare sotto una luce differente, espressa dal corpo degli attori e dai loro movimenti, grazie ai quali è possibile comprendere ciò risiede in profondità: emozioni, disagi, insicurezze, paure. 

Il corpo, spesso considerato come il simbolo per eccellenza dei disturbi del comportamento alimentare, non sempre racconta la verità. Il nostro augurio per voi è quello di immergervi nello spettacolo per cercare quella verità.

Intervista a cura di Stefania La Mattina e Federica Lupi, volontarie dell’Associazione

Contenuto a cura di Animenta

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Pasta Secca 500g

Ingredienti: Semola di Grano Duro Lucano del Parco Nazionale del Pollino, Acqua.

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Valori Nutrizionali

(valori medi per 100g di prodotto)

Valore energetico

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1302 kj

Proteine

13,00 g

Carboidrati

67,2 g

Grassi

0,5 g

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