Obesity pay gap: quando il pregiudizio sul peso abbassa gli stipendi 

obesity pay gap

Per obesity pay gap si intende un divario salariale che penalizza le persone affette da obesità. Da tempo, vari studi dimostrano come i lavoratori con obesità, ovvero quelli con un indice di massa corporea (BMI) pari o superiore a 30, percepiscano un salario significativamente più basso rispetto ai loro colleghi più magri. 

Secondo il settimanale The Economist, negli Stati Uniti l’obesity pay gap equivale a 70 miliardi di dollari. Esso riguarda sia le donne che gli uomini e risulta più elevato tra le professioni che richiedono titoli universitari. Per far fronte al fenomeno, i governi statali e locali stanno valutando leggi contro tale trattamento. Il 22 novembre 2023, un provvedimento di questo tipo è entrato in vigore a New York. 

L’analisi di The Economist sul fenomeno dell’obesity pay gap

“Il costo della discriminazione legata al peso”, scrive The Economist, “potrebbe essere maggiore di quanto ritenuto finora”. Il giornale cita un recente rapporto dell’Institute for Employment Studies nel quale si afferma che la penalizzazione salariale associata all’obesità riguarda soltanto le donne. Per verificare questa tesi, esposta anche in numerosi articoli accademici, The Economist ha esaminato i dati riguardanti 23mila lavoratori dell’American Time Use Survey, un’indagine condotta dal Bureau of Labor Statistics. I risultati dell’analisi suggeriscono che, in realtà, essere sovrappeso penalizza sia le donne che gli uomini dal punto di vista della retribuzione professionale

I dati presi in esame riguardano uomini e donne di età compresa tra i 25 e i 54 anni e con un’occupazione a tempo pieno. A livello aggregato, effettivamente non si riscontra una correlazione tra i BMI degli uomini e i loro stipendi. Tuttavia, la situazione cambia per gli uomini laureati. Per questi ultimi, l’obesità è associata a una penalizzazione salariale pari a circa l’8%.

Dall’analisi, quindi, emerge che l’obesity pay gap riguarda soprattutto i lavoratori con un buon livello di istruzione; tale conclusione vale per entrambi i sessi. Inoltre, la penalizzazione aumenta proporzionalmente al titolo di studio. I risultati rivelano che per gli uomini con una laurea triennale l’obesità comporta salari più bassi del 5%, mentre gli uomini con una laurea magistrale guadagnano il 14% in meno dei loro colleghi più magri.

Per le donne, il divario è ancora più ampio: le cifre equivalenti corrispondono rispettivamente al 12% e al 19%. Anche il tipo di lavoro fa la differenza: le maggiori disparità si registrano nelle professioni altamente qualificate. Ad esempio, nel settore sanitario, i lavoratori affetti da obesità guadagnano l’11% in meno rispetto ai colleghi più magri. Questi risultati indicano che, in America, i costi totali della discriminazione salariale associata all’obesità sono ingenti: in base ai calcoli di The Economist, tali costi si attestano a 70 miliardi di dollari all’anno.

Lo stigma sul peso è diventato più forte nel tempo

Secondo un recente articolo della National Public Radio, lo stigma verso le persone sovrappeso è diventato più forte nel tempo. Stando a uno studio dell’Università di Harvard, che ha analizzato dati relativi al periodo 2007-2016, i pregiudizi basati sull’orientamento sessuale, la razza e il colore della pelle sono diminuiti nell’intervallo temporale preso in esame, mentre il pregiudizio basato sul peso è aumentato del 40%, soprattutto nel corso dei primi anni del periodo considerato. 

“È davvero preoccupante che lo stigma sul peso stia aumentando mentre aumenta anche il numero di persone che lo subisce”, sottolinea Tessa Charlesworth,la  ricercatrice in psicologia presso l’Università di Harvard che ha analizzato i dati. La studiosa fa riferimento all’incremento della percentuale di adulti statunitensi affetti da obesità riscontrato negli ultimi anni.

Il ruolo della thinspiration

Sebbene non sia chiaro che cosa abbia rafforzato lo stigma sul peso, Charlesworth ipotizza che ciò sia dovuto alla percezione che il peso corporeo sia sotto il nostro controllo, a differenza della razza o del colore della pelle. Anche i social media giocano un ruolo determinante. “Pensiamo alla thinspiration dei social media influencer”, afferma la ricercatrice.

Secondo la definizione del Ministero della Giustizia italiano, il termine thinspiration (che può essere tradotto come “ispirazione al dimagrimento”), indica la promozione di comportamenti a favore della perdita di peso attraverso la pubblicazione di contenuti che rappresentano corpi esageratamente magri. I dati dimostrano che gli utenti passano ore a guardare corpi idealizzati sui feed di Instagram o TikTok, il che ha un impatto considerevole sulla loro psiche. In base a un’indagine del Wall Street Journal, i ricercatori interni di Instagram hanno scoperto che il sito ha aggravato i problemi legati all’immagine corporea di un adolescente su tre. 

La storia di Ginni Rometty

L’articolo della National Public Radio menzionato in precedenza, che si focalizza sulla penalizzazione salariale subìta dalle donne sovrappeso, cita il caso di Ginni Rometty, ex Presidente e Amministratrice Delegata di IBM, che più di trent’anni fa fu esortata dal suo capo a perdere peso per crescere professionalmente. “Pat, pensi che io mangi troppo?”, chiese la donna al suo responsabile, Pat O’Brien, dopo che questi le aveva suggerito di migliorare la sua forma fisica per diventare una dirigente di alto livello.

Rometty parla di questo episodio in Good Power, libro con un’importante componente autobiografica pubblicato nel 2023. La leader racconta di essere stata “paffutella” da bambina. “Prendere e perdere peso era un ciclo” che le era fin troppo familiare. Ma quella era la prima volta in cui il suo aspetto fisico veniva presentato come un possibile ostacolo alle sue aspirazioni professionali. “La maggior parte di loro sembra essere in ottima forma”, aveva osservato O’Brien, aggiungendo: “Guarda che aspetto hanno le alte dirigenti… e come si vestono. Indossano tailleur”. 

In realtà, Rometty prese peso dopo quell’episodio, ma ciò non le impedì di diventare la prima CEO donna di IBM, nei cent’anni di storia dell’azienda. Tuttavia, quei commenti le rimasero impressi, tanto che la leader li ricorda ancora chiaramente a trent’anni di distanza. Rometty ritiene che, sul posto di lavoro, le donne subiscano giudizi più severi rispetto agli uomini relativamente all’aspetto fisico e sottolinea che la situazione non è cambiata nel corso del tempo.

Cosa comporta l’obesity pay gap oltre all’economia

Se, da un lato, la storia di Ginni Rometty parla di determinazione e di successo, dall’altro essa fornisce un esempio concreto del pregiudizio che le persone sovrappeso subiscono sul posto di lavoro. I risultati degli studi citati nella prima parte di questo articolo rivelano che, anche alcuni decenni dopo, questi lavoratori e queste lavoratrici sono fortemente penalizzati. Anzi, lo stigma sul peso sembra essersi rafforzato negli anni.

Giudicare una persona negativamente solo sulla base del suo peso significa ridurre quella persona a un corpo, come se il suo valore fosse dato unicamente da questo elemento, e non dalle sue qualità caratteriali e professionali. Significa fermarsi a ciò che si vede in superficie e non voler guardare oltre. Significa anche ignorare totalmente la possibilità che dietro un corpo non conforme agli standard estetici della società vi sia un disagio psicologico più profondo

L’introduzione di provvedimenti contro questa forma di discriminazione può sicuramente rappresentare un primo passo verso un mondo del lavoro più giusto. Tuttavia, il cambiamento più importante deve avvenire là dove il pregiudizio ha origine ed esiste: nella nostra mente.

L’articolo è stato scritto da Sofia, volontaria dell’Associazione

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