Social Media e disturbi alimentari: c’è un legame?

Nel corso degli anni i social media sono stati associati ad un aumento dei disturbi del comportamento alimentare (DCA).

È importante sottolineare che non si tratta di un legame causa-effetto, quanto più di una serie di fattori che tra loro correlano e che poi, in alcune persone, possono generare pensieri e comportamenti disfunzionali rispetto al cibo e al corpo, fino ad arrivare a dei veri e propri disturbi legati a queste sfere.

In ogni caso, in risposta a tutto ciò, le piattaforme social hanno provato a cambiare la propria modalità di presentazione dei contenuti, informando gli utenti di possibili rischi annessi.

Come prima cosa, nel 2001, Yahoo ha deciso di rimuovere i siti “Pro-Ana” e “Pro-Mia”, ovvero tutte quelle pagine che promuovevano l’anoressia e la bulimia.

Qualche anno dopo, MySpace ha invece deciso di non rimuovere questi profili, ma di lavorare per portare contenuti informativi con il supporto di organizzazioni e/o professionisti.

Attualmente Yahoo e MySpace sono meno utilizzati, in quanto sono stati “sostituiti” da social quali Instagram e TikTok, ma la questione relativa al ruolo dei social media rispetto ai disturbi del comportamento alimentare rimane aperta.

Correlazione

Beat, l’ente britannico che si occupa di DCA, dichiara:

Sarebbe fuorviante individuare nei social media la causa dei disturbi del comportamento alimentare, in quanto la probabilità di un disturbo simile dipende in realtà dall’interazione tra genetica, struttura cerebrale e chimica, personalità, ambiente culturale e reazioni a eventi della vita

La cultura dominante, quindi, collude con l’insorgenza di un disturbo del comportamento alimentare, ma non ne è la causa.

Cosa fa la cultura dominante

I social media riflettono e amplificano un ambiente sociale e culturale in cui l’immagine del corpo, il perfezionismo e il controllo dell’appetito hanno un grande valore. Si tratta di ideali culturali che influenzano negativamente le persone, soprattutto quelle particolarmente vulnerabili: essere circondati da corpi perfetti quando l’immagine del proprio corpo è distorta non fa che rafforzare questo modello. 

Parliamo di un confronto con immagini ritenute “perfette”, ma non solo:

  • Nel 2018, la dismorfia da Snapchat ha portato ad un aumento degli interventi di chirurgia estetica, scelti come strumento per somigliare alla versione di se stessi garantita dall’utilizzo dei filtri;
  • Il cyberbullismo porta ad un aumento di depressione, ansia sociale e abbassamento dell’autostima: tutti fattori che concorrono allo sviluppo dei DCA;
  • I profili che pubblicano post con diete ipocaloriche, routine di allenamento e programmi di perdita peso possono influenzare negativamente chi sta cercando di guarire da un disturbo del comportamento alimentare.

Cosa è stato fatto e cosa si può ancora fare

La soluzione più semplice è quindi davvero quella di rimuovere i gruppi in cui si parla di temi sensibili? O eliminare profili che in alcuni casi potrebbero innescare reazioni disfunzionali? Siamo sicuri che non ci siano altre possibilità?

Sicuramente esistono dei profili i cui contenuti andrebbero necessariamente limitati. Allo stesso tempo è impossibile avere la pretesa di conoscere quello che potrebbe infastidire ogni singolo individuo. Questo, comunque, non è un lasciapassare ad un utilizzo sconsiderato dei social media. 

Quindi, forse, considerando il fatto che verosimilmente non potremo più fare a meno della dimensione digitale, può essere più utile imparare a fare un uso adeguato e consapevole di questi strumenti. Può essere d’aiuto creare momenti di informazione su come questi si debbano utilizzare correttamente. Del resto è come se ci avessero dato uno strumento potentissimo, senza tuttavia il libretto d’istruzioni.

Potremmo quindi ripartire da qui, informando su quello che è un corretto utilizzo di queste piattaforme. 

Cosa stanno facendo i social?

Parlando in particolare di ciò che i social possono fare, notiamo che si sono impegnati e si stanno impegnando per offrire soluzioni volte ad affrontare possibili problemi, fornendo supporto.

Instagram, ad esempio, offre la possibilità di segnalare contenuti disfunzionali da parte degli utenti e ha deciso di censurare gli hashtag considerati pericolosi. In risposta a questi hashtag (ad esempio, #anorexianervosa o #eatingdisorders ), la piattaforma apre una pagina che avvisa l’utente della “pericolosità” dei contenuti, invitandolo a richiedere, qualora ne avesse bisogno, informazioni o supporto cliccando nel link collocato in fondo alla pagina.

Anche TikTok, molto in voga in questo momento, ha inserito delle funzioni che forniscono risorse e supporto a chi ne ha necessità (ad esempio recapiti telefonici e link di associazioni che si occupano di DCA).

Profili recovery

I profili delle persone che hanno sconfitto un DCA o che stanno provando ad uscirne (i cosiddetti “profili recovery”) rappresentano uno spazio di confronto e di condivisione e infondono speranza, cercando inoltre di trasmettere un ideale di bellezza reale. Leggere le storie degli altri può essere fonte di ispirazione.

Per completezza, è opportuno sottolineare anche l’altra faccia della medaglia. A volte questi profili, nati con le migliori intenzioni, possono suscitare reazioni opposte a quelle desiderate. Questo mette in evidenza una cosa molto importante: a parità di contenuto, le reazioni possono essere molto diverse.

Quindi se da un lato è fondamentale la responsabilità comunicativa che ogni persona che usa i social network dovrebbe avere, dall’altro è importante avere una buona consapevolezza di sé. Cosa significa? Significa che se ci sono dei contenuti che, in un determinato momento della vita, non sono funzionali, si è liberi di smettere di seguire determinati profili praticando il cosiddetto “unfollow”.

I professionisti, infine, in autonomia o insieme, ad esempio, ad associazioni, mettono in chiaro il proprio ruolo professionale e i propri contatti, proprio attraverso i canali social oggi ampiamente utilizzati, al fine di interagire con chi ne ha bisogno.

Tutto questo permette di utilizzare i social media in modo più funzionale, ovvero sensibilizzando quante più persone possibili su determinati temi, tra cui quello dei DCA e aiutando chi ne ha bisogno.

Gli ideali da perseguire

Gli ideali da diffondere sono quelli reali e perseguibili. Quelli che si concentrano sull’amore verso se stessi, abbattendo idee malsane di magrezza e di perfezione che si ripercuotono poi sul corpo, sui pensieri e sul cuore.

Ecco un esempio di amore verso se stessi, presente proprio sui social:

Il vostro corpo è perfetto così com’è, dovete amarlo e rispettarlo, anzi vi dovete vestire come vi pare, sia che abbiate le gambe ‘importanti’ o meno. Ma se sono ‘importanti’ non rinunciate alle calze a rete e abbinateci anche una minigonna”.

Questo messaggio ci aiuta a comprendere una cosa: quanto sia importante prendersi cura del proprio corpo perché permette di fare qualsiasi cosa, su questa terra. Che sia respirare, alzarci dal letto o vincere una maratona.

Corpo ed anima sono collegati, intrinsecamente. E non è la forma del proprio corpo a dire quanto una persona valga. Il corpo è importante, è vero. E, allo stesso tempo, non è l’unica cosa che conta. Ciò che vale siamo noi, nella nostra totalità. 

Lo specchio 

A volte ci guardiamo con occhio troppo critico, siamo troppo severi con noi stessi. Ci accorgiamo solo delle cose di noi che non ci piacciono. Dimentichiamo di guardarci nella totalità della persona che siamo. Impariamo ad amare tutto di noi, sia le cose belle che quelle che magari vorremmo fossero diverse. Siamo fatti così. Unici ed inimitabili. Di Genny, Federica, Andrea, Riccardo, Chiara ne esiste uno/a ed uno/a soltanto. 

Non lasciamoci trascinare da quello che vediamo dentro ad uno schermo, perché, se riuscissimo ad entrarci in quello schermo, vedremmo che la maggior parte delle volte quello che ci mostra non è la realtà. Tra filtri, trucchi e app varie la realtà viene modificata. Quando ci guardiamo allo specchio queste app non ci sono: lui sa rifletterci veri, così come siamo. E va bene così. 

Ricordiamoci che quello che più conta siamo noi, nella nostra totalità.  

L’articolo è stato scritto da Federica e Genny, volontarie dell’Associazione.

*L’immagine è stata realizzata da Genny

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