Società di massa e DCA: c’è una relazione?

Tra le tante conseguenze che l’avvento della società di massa ha portato alla collettività vi possiamo annoverare anche un aumento della diffusione dei disturbi del comportamento alimentare (DCA).

Un po’ di storia

Prima di fiondarsi a capofitto nell’argomento, lasciate che faccia un breve excursus storico su come abbia avuto inizio la società di massa e come si sia sviluppata fino ai giorni nostri, affinché possiate capire meglio i nessi tra di essa e i DCA. 

La società di massa ha avuto inizio a seguito della seconda rivoluzione industriale, alla fine del XIX secolo. L’innovazione e le migliorie in ambito tecnico-scientifico, però, non sono state causa solo del tanto elogiato progresso, ma anche di un considerevole regresso etico-sociale.

Le persone hanno iniziato ad essere paragonate alle macchine lavoratrici. Bisognava pertanto lavorare in funzione di esse. L’equazione tra l’aumento della produzione quantitativa e qualitativa delle merci e dell’arricchimento dei capitalisti era in diretta proporzionalità con l’aumento dello sfruttamento e l’impoverimento della classe operaia. 

Le persone venivano considerate come degli ingranaggi facenti parti di un enorme sistema di produzione e, in quanto tali, erano giudicate del tutto sostituibili nel momento in cui non fossero state più utili o non si fossero conformate abbastanza al sistema. 

Per quanto questa cosa non abbia avuto conseguenze immediate nell’ambito dei DCA, vi invito già a tenere a mente questo conformismo imposto dal sistema, in quanto sarà un concetto fondamentale per la trattazione che segue.

Correlazione e interdipendenza 

L’industrializzazione ha portato infatti, tra le tante cose, alla produzione di massa nei vari settori, tra cui quello tessile. Tant’è che prima della seconda metà del XIX secolo i capi di abbigliamento venivano prevalentemente prodotti a richiesta e su misura. Mentre, negli ultimi decenni del secolo, la produzione di questi ultimi è stata industrializzata, prefabbricata e dunque uniformata mediante l’invenzione di un sistema di taglie. Si vedano a questo proposito, per un ulteriore approfondimento dell’invenzione e dello sviluppo delle taglie, gli studi di Aldrich e Ashdown¹.

Sostanzialmente, questo significa, come ben spiega lo studioso Jeacle in Accounting and the Construction of the Standard Body ²,  che non sarebbero stati più i vestiti ad essere prodotti e adattati ai corpi delle persone, ma sarebbero stati i corpi delle persone stesse a doversi conformare e adattare agli standard imposti dalle taglie disponibili. ²

Facile capire, a questo punto, che le persone che in quelle taglie non vi entravano, si siano sentite inadeguate e in dovere di cambiare. 

Sebbene l’insoddisfazione corporea e il senso di inadeguatezza siano solo due delle miriadi di possibili cause scatenanti un disturbo alimentare, non possiamo certo negare che questo senso di omologazione forzata dei corpi abbia avuto una notevole influenza nella diffusione di essi a cavallo tra il XIX e il XX secolo³. A tal proposito, consiglio vivamente la lettura completa del libro Specchio delle mie brame. La prigione della bellezza di Maura Gancitano. 

Conformismo e omologazione sono dunque parole chiave della società di massa (che, se non fosse chiaro, è quella in cui ancora oggi viviamo). E sono anche due delle tante parole chiave caratterizzanti i DCA. 

Insoddisfazione ed inadeguatezza

Come già accennato in precedenza, è proprio il senso di inadeguatezza, e dunque di non conformità, che potrebbe portare un individuo, in certi casi, a sviluppare e/o a mantenere un disturbo del comportamento alimentare: la vergogna del proprio aspetto, spiega Miller ne La rivolta del corpo ⁴, impedisce infatti di capire che cosa si desidera veramente e può portare progressivamente a compiere azioni dannose per il proprio corpo. 

Quando si è affetti da un DCA infatti, in special modo per quanto riguarda l’anoressia e la vigoressia, si può tendere ad entrare in competizione con altri individui che ne soffrono. E coloro il cui corpo non rispecchia quelli che sono gli “ideali” della malattia (per quanto, ci tengo a sottolineare, i DCA non siano dei disturbi fisici, ma mentali, e pertanto non possono, o almeno non dovrebbero, avere dei parametri fisici), si sentono particolarmente in difetto e inadeguati, non conformi. 

Dunque, così come chi si trova agli esordi di un disturbo alimentare, magari per il desiderio di omologarsi agli standard della massa, inizia a non accettare più il proprio corpo e a cambiarlo; allo stesso modo chi già si trova nel mondo dei disturbi alimentari, sempre per il desiderio di conformarsi a coloro che si ritrovano nella medesima situazione, continua a paragonarsi agli altri e non accettarsi se non “almeno ugualmente malatə”. 

Considerazioni finali: il bisogno di un’attenta riflessione

Per fare il punto della situazione voglio sottolineare che l’intento di questo articolo non è quello di trovare una soluzione al problema, dapprima perché significherebbe scardinare tutto il sistema capitalistico in cui viviamo che ha industrializzato anche l’umano e l’ha reso conforme al sistema, e soprattutto perché ciò che c’è dietro ai disturbi del comportamento alimentare e dietro al vissuto di ogni singola persona che ne soffre è un qualcosa di molto complesso. 

Il mio intento è invece quello di far riflettere sulla questione e su come spesso e volentieri, e non solo nell’ambito dei DCA, sia la società stessa a volerci in un determinato modo, al fine di farci adempiere ai suoi interessi e arrivare addirittura a farci credere che questi suoi stessi interessi siano ideali per il nostro bene individuale e comune. 

L’articolo è stato scritto da Alexia, volontaria dell’Associazione

Note e bibliografia:

¹ W. Aldrich, History of Sizing Systems and Ready-to-Wear Garments, in S. P. Ashdown, Sizing in Clothing. Developing Effective Sizing Systems for Ready-to-Wear Clothing, Woodhead Publishing Limited, Cambridge 2008. 

S. P. Ashdown, Designing Apparel for Consumers, Woodhead Publishing Limited, Cornell University, New York 2014.

² I. Jeacle, Accounting and the Construction of the Standard Body, in “Accounting, Organizations and Society”, 28, 2003. 

³ M. Gancitano, Specchio delle mie brame. La prigione della bellezza, Giulio Einaudi Editore, Torino 2022, in I disturbi alimentari, pp. 80-81.

⁴ A. Miller, La rivolta del corpo, Raffaello Cortina, Milano 2005.

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