Storie di Disturbi Alimentari: il racconto Anna

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Ho passato un periodo fin troppo lungo della mia vita in cui non mi sono sentita viva; un periodo in cui mi sforzavo di sopravvivere e combattere contro il mio corpo. Esistevo io ed esisteva la mia ombra, ma i pensieri, la mia essenza, la mia voglia di vivere e la vera me erano scomparsi. Questo è la mia storia con i disturbi alimentari.

Mi è stato detto diverse volte: “Non avevi espressioni, sembrava di parlare con uno zombie”.

Eppure non l’avrei mai detto.  

Avevo perso me stessa, dando per scontato quanto stavo perdendo.

Non ho mai avuto una grande stima di me stessa, neanche da più piccola: è stato un continuo paragonarsi alle mie amiche, ai loro talenti, ai loro aspetti e al loro corpo.

Ero sempre io contro loro, non c’ero mai veramente solo io, i miei interessi o ciò che mi rendeva unica.

Tutto questo è iniziato inevitabilmente a crollarmi addosso. 

Ero stanca, stanca di essere me stessa ed esausta dei paragoni a cui avevo abituato la mia mente. Ero stanca della mia famiglia che sottolineava ogni volta che ero la prima a pulire il piatto alle cene e che voleva far sapere a tutti quanto mangiavo. 

Erano battute, dicevano, ma io le traducevo in un “troppo”, non “sano”. 

Avevo 16 anni e il mio corpo stava cambiando, stavo crescendo, e l’ho vissuto come una vergogna. Ero “di troppo”. O almeno, mi sentivo così per tutti…

Svuotarsi 

Ho deciso di cambiare. 

Volevo a tutti i costi cambiare l’immagine che avevano gli altri di me, come se fosse sbagliata o non abbastanza. Non c’era nessuno per cui spiccassi più degli altri.

Ricordo che avevo una generica idea di che cosa fossero i disturbi alimentari, ma non era vago il desiderio che avevo di arrivare a raggiungere il tipo di corpo a cui aspirano le persone che ne soffrono. 

L’ho sempre negato: negato di star perdendo peso, negato di star prestando attenzione al modo in cui mangiavo e a come mi calzavano i miei vecchi vestiti. 

Avevo solo quello: il mio unico desiderio, l’unica via in cui pensavo di poter raggiungere un modo per essere davvero a mio agio con me stessa, era perdere peso. 

Ma meno cibo consumavo, più il cibo consumava me.

Per mesi ho negato di avere un problema. A tutti: famiglia, amici, compagni di classe. Persino con la mia psicologa, a cui mi avevano affidato i miei, ho fatto fatica ad essere sincera. 

Non volevo essere scoperta, non volevo che mi venisse tolta questa via. 

Senza questo chi ero? Che potevo fare? Ero vuota. Ormai il cibo veniva prima di ogni cosa; compleanni, lezioni, feste, amici e il mio sport del cuore, la ginnastica… Erano tutti in secondo piano. Non avevo più la forza mentale e fisica di aver a che fare con qualsiasi altra cosa: ero consumata, in trappola, e non vedevo per me alcuna via d’uscita.

La mia trappola sicura 

Quei muri sempre più soffocanti mi hanno convinto a farmi sempre più piccola pur di rientrare sempre tra di essi e a non abbandonare mai ciò che per me era l’unica via per alleviare ogni tipo di dolore, insicurezza, o disagio. 

Volevo uscirne, ma non volevo abbandonare quella bolla di comodità e routine che aveva preso piede in ogni mio singolo giorno. 

Volevo uscirne, ma le motivazioni per continuare per la mia strada e continuare a dar retta alla malattia erano più forti: la prima di tutti, il desiderio di sentirmi al 100% malata

Lo ero dal primo momento, ma non mi sono sentita mai effettivamente meritevole di aiuto, di cure, di attenzioni e preoccupazioni… 

Mi ripetevo sempre di stare bene. 

Il cardiologo non ha riscontrato nulla che non va? Sto bene. Non ho perso peso questa settimana? Sto bene. Sono uscita a cena e ho finito quello che avevo nel piatto? Sto bene. Sto bene e non sono malata, sto bene e tutti intorno a me stanno ingigantendo la faccenda. 

Volevo essere lasciata a me stessa e, più di tutto, volevo che nessuno fosse trascinato giù con me. Mi sentivo in colpa per come le persone stavano reagendo. Le mie amiche guardavano le mie vecchie foto nostalgiche, mi dicevano che gli mancavo. Mia madre era terrorizzata dal pensiero di perdermi. I miei amici non sapevano più come parlarmi, di cosa parlarmi… Avevo finito le parole ed ero troppo esausta per distogliere i miei pensieri dal modo in cui percepivano il mio corpo e spostarlo su quello che volevano dirmi. I miei professori erano preoccupati, i miei voti non erano mai stati tanto bassi e non riuscivo a finire un compito in classe senza scoppiare a piangere perché il caos in testa si faceva troppo rumoroso e mi faceva esasperare. 

Mi sentivo una delusione per loro e soprattutto per me stessa, incapace di accettare e accogliere le loro paure.

L’unica soluzione possibile mi sembrava quindi continuare a punirmi. Privarmi dell’amore degli altri era solo un altro modo per farle ciò. 

Non meritavo di stare bene, non ancora. 

Probabilmente il momento per iniziare a prendermi cura di me sarebbe arrivato troppo tardi.

Tornare a brillare dopo i disturbi alimentari

Eppure la scintilla tornò a brillare all’improvviso e il ricordo che ne ho è sorprendentemente piacevole.

Era gennaio 2022 quando ho raggiunto per davvero il mio punto più basso. I medici e la mia psicologa avevano sempre meno pazienza ed erano sempre più alte le probabilità che mi assegnassero un letto in ospedale.

Era diventato anche per me innegabile che c’era un problema, anche se la mia volontà rimaneva quella di prestarci la minima attenzione. Eppure fu in questo momento che ho iniziato per la prima volta a sentire la mancanza della vecchia me. Mi capitava di tornare a guardare le mie vecchie foto e pensare a quanto fossi felice in quel momento, senza curarmi dei chili che non avevo ancora perso.

Guardavo i miei amici e invidiavo quanto venisse loro facile ridere spontaneamente, scherzare con le persone con lo sguardo vivo e gli occhi accesi. Osservavo loro, tutti quelli intorno a me, e sentivo solo una voglia in me di tornare a sentirmi parte di un qualcosa che non fosse una malattia o un ospedale. 

Volevo tornare me stessa. 

Non posso dire che sia stato facile per la mia testa accettare questa mia volontà, ma per la prima volta stavo finalmente accettando che il mio corpo, privato per mesi e mesi di ciò che lo rendeva sano e felice, non stava rendendo abbastanza giustizia alla vera me; me la stava portando via, stava rendendo Anna sempre più piccola e debole.

Così, finalmente, ho cambiato strada: ho permesso che mi aiutassero e ho smesso di fare affidamento esclusivamente alla mia testa. Ho lasciato con pazienza che il mio corpo mi perdonasse per il modo in cui lo avevo trattato, nascosto, e malnutrito. Gli ho chiesto scusa per averlo reso il mio scudo, posto a parare ciò che per me è sempre sembrato troppo: l’amore che pensavo di non meritare e di cui allo stesso tempo avevo disperatamente bisogno.

Ho iniziato a fare pace con me stessa, con Anna, e le ho permesso di nascere una seconda volta riscoprendo i sapori, e permettendo all’amore di entrare di nuovo nella sua vita, senza scudi, senza armi, ma solo con la paura che tutto si ripeta ancora.

La paura, nel provarci, nel fare un nuovo sforzo ogni giorno e di cadere, mi ha sopraffatta molte più volte di quante avrei voluto: perché sì, guarire dai disturbi alimentari è terrificante e abbandonare la mia bolla è la cosa più spaventosa che io abbia mai fatto, ma è molto più spaventoso vivere con la vergogna di sentire il proprio cuore battere e di avere energia per sentire, ridere e amare, intrappolati dall’anoressia.

Ad oggi non riesco a dire di aver accolto del tutto quella che sono, ma sono certa di meritare di stare bene, di ritrovarmi e di ricevere amore.

Vale la pena di uscire dai disturbi alimentari.

L’articolo è stato scritto da Anna, che ha raccontato la sua storia

Contenuto a cura di Animenta

PASTA DI SEMOLA DI GRANO DURO LUCANO

Rasckatielli

Pasta Secca 500g

Ingredienti: Semola di Grano Duro Lucano del Parco Nazionale del Pollino, Acqua.

Tracce di Glutine.

Valori Nutrizionali

(valori medi per 100g di prodotto)

Valore energetico

306,5 kcal
1302 kj

Proteine

13,00 g

Carboidrati

67,2 g

Grassi

0,5 g

Prodotto e Confezionato da G.F.sas di Focaraccio Giuseppe
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