La storia di Veronica – Animenta racconta i disturbi alimentari
A nuotare sono molto più veloce, mi sento più leggera in acqua.
Faccio molta meno fatica, sento l’acqua scivolare via. Faccio risultati migliori, ma la mia allenatrice mi ha chiesto se va tutto bene, perché mi vede un po’ dimagrita e a volte un po’ spenta. Io sto bene, non ho niente che non va. Io sono sempre Veronica.
Vogliamo parlare della concentrazione? Dei voti a scuola? Beh non può che essere migliorata se devo essere sincera. Mi sento potentissima, ottengo i voti che desidero e non ho mai avuto tutta questa dedizione per la scuola. Non mi sono mai sentita così potente in questo: studio quello che voglio, quanto voglio, per ottenere i voti che voglio.
E come va con i compagni? Bene, parlo un po’ meno con loro ma tutto bene. Quest’anno ci sono un sacco di 18esimi, a marzo sono andata a quello di A, però stata male e così sono riuscita a non mangiare nè bere niente.. Non so come mai, ma ho avuto molta paura di compiere queste due azioni alla sera davanti a tutti.. Però stavo male e non è stata colpa mia se non ho toccato nulla.
Ad aprile c’è stato il mio. Ho pianto, sono stata male. Forse gli altri non si aspettano questo da me, forse non vogliono che io sia questa Veronica. Allora forse sono sbagliata, forse devo dimagrire.
A parte questa parentesi dei compleanni, il tragitto stazione scuola non è più lo stesso. Sento tante voci, di ragazzi che ripassano, che scherzano, che si divertono, che hanno paura. Sento le mie voci nella testa, ma non voglio ascoltare. Rimedio con le cuffie e la musica. Entro in classe, mi siedo, dò la mia merenda a chi la vuole quel giorno e inizia la lezione. Tutta concentrata su quella. L’intervallo? L’intervallo lo passo a ripassare. Non si sa mai che prendo un voto basso all’interrogazione.
Partiamo per l’Inghilterra. Le mie gambe? No aiuto, si toccano quando sono seduta. La mia pancia? Le braccia? Non sono mai state così grosse.
“Veronica, sono tre mesi che non ti viene il ciclo”. Mi dice mia mamma. Io rispondo che è sempre stato irregolare e quando ho ansia non mi è mai venuto. È un periodo di stress, tra scuola e sport. Devo dare il massimo.
“Oggi è una bella giornata, andiamo a nuotare fuori”. È giugno e in effetti è una calda giornata. Mi tuffo. Spingo, ma le gambe non vengono, non vado come voglio. Faccio 50 metri. Sto male. Mi manca il respiro. “B, io entro, ho troppo freddo qui fuori, mi alleno dentro”.
Entro, nuoto, mi alleno da sola. Inizio a scaldarmi, ma la fatica diventa sempre maggiore.
Le ragazze mi guardano male, mi dicono che sono uno scheletro, ma non è così. Se mi siedo le gambe si toccano, sento grasso ovunque. Basta, voglio cambiare il mio corpo.
Uno degli ultimi giorni di quarta liceo avevamo organizzato un teatro di filosofia, ma la serata non è stata delle migliori. “Questa sera mangiamo tutti la pizza”. “No, io non ho fame, sono agitata per lo spettacolo, meglio che non mangio”.
“Va bene, allora ordiniamo 24 pizze al posto di 25” dicono i miei compagni.
Veronica, non puoi fare una cena con una pesca, dice L. Invece io dico che posso, io non ho fame. Io non sento la fame, io sono invincibile sulla fame. Sono più potente io di quel di cibo. Perché dovrei mangiare come fanno tutti? Io non sono quel tutti. S non finisce la pizza, ne dà una fetta a G. Caspita, lei si che è magra, non finisce neanche la pizza.. starà bene? Penso io.
Non vado più a nessuna festa. Su 20 a cui dovevo partecipare, sono andata a una. Ma meglio così, devo concentrarmi sulla scuola. L’anno prossimo sarò in quinta e devo dare il massimo. Mia mamma si preoccupa, mi chiede se tutto va bene. Mamma, sto bene, ho solo ansia per la scuola. Mi lasci studiare?
La scuola finisce, mia mamma mi porta dalla psichiatra che mi dice che soffro di DCA. Cosa sarà un DCA? La sigla la so, ma io cosa ho? Il mio disturbo non ha niente a che vedere con l’alimentazione. Sono solo triste, rispondo male a tutti e non ho tempo da dedicarmi. Voglio solo stare da sola. Ho sì perso qualche chilo, è vero che non ho più il ciclo, ma è tutto stress. Non ho un DCA. Non sono quel tipo di ragazza di certo.
“Veronica, questo peso non va bene. Se perdi ancora un chilo devono ricoverarti. Da casa non si può più, devi andare in ospedale”.
Sì certo, io che sono una ragazza normale devo andare là. Ci sono molto ragazze più magre di me.
Vado al mare dopo aver preso peso in una settimana per colpa di quegli integratori. Cammino, nuoto nell’acqua gelata che tutti dicono essere un brodo caldo, e faccio di tutto per nascondere il cibo e non mangiare. Devo perdere quel maledetto chilo.
Ma Veronica sta bene? Chiedono gli amici del mare a mio papà. Lui dice di no.
Io penso che non si veda che sia più magra degli altri anni. Mi sembra tutto normale. Odio tutti, odio me stessa, odio i miei genitori, odio, odio, odio, odio. Voglio solo morire. Nulla di più.
Torno dal mare. La dottoressa S dice che non mi tiene più. M, un’amica del mare, dà a mia mamma delle indicazioni su dove andare per delle sue conoscenze.
27 settembre 2018, Ville Turro San Raffaele. Ha inizio la mia rinascita.
Il primo incontro con la dottoressa in psichiatria non è dei migliori. Ne esco spaventata, ma mi dà il numero di uno psicoterapeuta. Così nel pomeriggio ho il colloquio con lui. Quello va meglio, anche se pure lui mi dice che devo essere ricoverata. “Questi stanno tutti male” penso io. Perché devo essere ricoverata se vado così bene a scuola? Perché non posso concentrarmi solo sulla scuola? In ogni caso ogni settimana continuo ad andare dallo psicoterapeuta, o in ospedale o nel suo studio, in attesa del ricovero. Mi piace andare da lui, perché mi sento capita, anche se mi dice che non mi apro abbastanza e non parlo molto. Eppure a me sembra di parlare tanto, non ho mai parlato così tanto in tutta la mia vita a qualcuno. Però cerco di fidarmi. Lui mi promette che andrà tutto bene e crede in me. Provo a fidarmi. Il ricovero non arriva, ma mio papà, tramite un suo collega, riesce ad avere un colloquio con uno psichiatra e nutrizionista. Io non vado, vanno solo i miei genitori perché il giorno dopo ho la verifica di italiano, forse l’ultima prima del ricovero. E così è: tre giorni dopo mi chiamano a casa, il ricovero è dopo 2 giorni. Il 31 ottobre devo presentarmi a Ville Turro alle ore 8.30.
Arriva il 31 ottobre, il 30 sono venuti a salutarmi i miei compagni a casa e mi hanno regalato un poncho. Entro in ospedale. Vedo ragazze magre, tutte più di me, almeno così mi sembra. Sicuramente questo non è il mio posto, sicuramente qui non devo venire io. Perché sono qua? Mi fanno diversi esami e nessuno sembra andare bene. Il peso è basso. Il dottore mi dice di iniziare come me la sento. Sembra una brava persona, aveva ragione mia mamma. Come mi aveva promesso, mentre piango sulla sedia in sala d’aspetto, viene a salutarmi lo psicoterapeuta. Mi dice che andrà tutto bene.
Devo fidarmi?
Mi assegnano la mia camera. Tra integratori e pasti rifiutati, sondino, aghi, punture, esami, dottori, infermieri, educatori io non ne posso più. Ma grazie ai miei dottori resisto, e cerco di portare a termine il mio vassoio. Ma intanto qualcosa dentro di me cambia. Forse posso chiedere aiuto, forse sono davvero in difficoltà. Forse anche io posso sbagliare, anche gli altri possono sbagliare, anche i miei genitori sbagliano con me. Forse anche io sono imperfetta, forse tutti lo siamo. Forse non devo stare male così per i miei amici che dicono di stare male. Forse la mia salute viene prima della loro. Basta con la scuola, basta con i voti. Ho anche fatto una verifica in ospedale e ho copiato, ma non l’ho detto a nessuno.
Quindi? Succede qualcosa? Penso di no, io rimango Veronica.
Esco dall’ospedale ma continuo a rimanere sotto controllo con i MAC e lo psicoterapeuta. Per fortuna, da sola non ce la farei. A casa ho continue crisi, pianti e urla. Ma forse ho bisogno di questo. Ho bisogno che tutto il male che ho dentro esca. Infatti quando vado ai colloqui con i medici poi esco rinata. Della scuola mi importa meno, preferisco prendere un 6 piuttosto che morire per prendere 9. I professori hanno detto che mi aiutano. Cosa mi costa lasciarmi aiutare? Ho sempre aiutato gli altri, perché ora non posso essere io quella che si fa aiutare? Mi sembra di essere su una poltrona d’oro per tutti gli aiuti che ho, tra medici e professori. Me la merito? Non lo so, ma forse in futuro potrò ripagare tutti del loro aiuto. E anche se non la meritassi.. Ma chi sono io per stabilire se la merito o no? Per una volta sono io al centro delle attenzioni di tutti. Ecco forse è questa cosa che mi spaventa, forse ho paura che una volta guarita non avrò più attenzioni.
Ma i dottori mi dicono che non sarà così. E io mi fido. Si ho deciso di fidarmi perché è l’unica cosa che posso fare. Lo psicologo mi dice sempre una bellissima metafora. Ogni fiore, anche se non è annusato da nessuno, profuma comunque. E lo stesso sono io. Ora le mie doti, perché si dai anche io le ho, sono nascoste. Quando sarò più in forma anche il mio fiore potrà essere annusato da più persone e potrò mostrare chi sono. Per questo mi devo fidare. Devo permettere loro di far sbocciare il mio fiore.
Inoltre, mi racconta una storia di una banconota stropicciata. Il suo valore tuttavia, è sempre lo stesso. Quindi, anche se ora sono un po’ in disordine, il mio valore c’è.
Ci sono, io sono, sono viva. È questo che conta. I miei due dottori, assieme anche alle dottoresse, mi hanno salvata. Mi hanno ridato la vita. Mi hanno fatta crescere. Sono passati pochi mesi eppure ho accumulato una consapevolezza incredibile.
Necessito però ancora di aiuto. Passata la maturità ho bisogno di un altro ricovero. Non posso continuare a sopravvivere. Inoltre ho abbuffate ogni settimana, ma ai dottori non so se dirlo perché poi non mi farebbero più stare a casa di mia nonna. Voglio la mia vita. Inizia il 5 luglio il secondo ricovero. Questo dura meno, ma sono viva. Mi sento viva. Il dottore mi dà un sacco di indicazioni alimentari. Riscopro il gelato, la cotoletta, la pasta non sminuzzata, i legumi, carne, olio, pesce, frittata e tanto altro. Mangio la pizza. Lo psicologo mi fa un discorso a fine ricovero che mi fa scoppiare in lacrime per lungo tempo. Eppure sono così felice. Sto buttando fuori i miei sentimenti, sto vivendo. Sto riuscendo a capire cosa vuol dire vivere. “Continua così Veronica”, la frase dello psichiatra. Ha completamente ragione. Devo continuare a vivere, devo continuare per la mia strada e tutto andrà bene. Continuo il mio percorso in ambulatorio.
Capisco molte cose. Innanzitutto sono e non devo essere qualcosa. Capisco l’importanza della vita, del cibo che tanto odiavo, di ogni alimento. Capisco quanto siano importanti gli affetti, le persone. Capisco quanto non sia importante il peso, quanto è importante stabilire delle relazioni sane con le persone. Capisco che posso sbagliare, capisco cosa sbaglio, capisco che non sono perfetta. Capisco cose che ora mi sembrano normali, ma che c’è voluta una malattia per impararle. Capisco come difendermi, come attaccare quando serve, come impormi e come dire di no. Capisco cose che non mi va di elencare, perché sarebbero tante. Capisco molto, molto devo ancora capire. Molto non imparerò mai. Molto devo ancora imparare.
Ora che sono passati 2 anni e mezzo dal secondo ricovero, posso dire che ne vale la pena.
Vale la pena fare tutta quella fatica per mangiare, per tornare a vivere.
Vale la pena superare ogni ostacolo, vale la pena andare contro al mostro dell’anoressia per poter vivere.
Non è corretto avere un corpo magro, un corpo che non fa ricevere attenzioni sane, ma solo preoccupazioni malate dalle persone più vicine. All’inizio, perché poi la gente si stanca di avere persone malate a fianco.
E poi, non si è mai magri abbastanza, non si raggiungerà mai quel peso che va bene, si vorrebbe sempre un numero più basso. La felicità si raggiunge se si sta bene con se stessi, e non c’è miglior modo che lavorare dentro, non fuori. Io la sto raggiungendo con i dottori, lavorando dentro di me.