“Non vedo l’ora di andare in vacanza” è una delle frasi che pronunciamo più spesso e, in effetti, come si può biasimare chi desidera soltanto staccare la testa e scoprire nuovi posti? Peccato, però, che per alcune persone, specialmente quelle affette da DCA, viaggiare non significhi relax e libertà.
Viaggiare con un disturbo del comportamento alimentare (DCA) significa portare con sé non solo una valigia piena di vestiti, ma anche di pensieri e fragilità che rendono il cammino più complesso. Quella celata vocina interiore non va mai in vacanza, in qualunque stagione si decida di partire.
È un’instancabile stacanovista: lavora senza sosta, senza pause né tregue. Non perde tempo e resta accanto a noi come una gemella siamese.
Viaggiare, con un DCA, può trasformarsi in un incubo
Scoprire posti nuovi può sembrare stimolante e incoraggiante, ma la verità è che questa forza non supera sempre la potenza della nostra vocina: può essere solo un’illusione.
I DCA occupano, influenzano e compromettono ogni aspetto della vita e un viaggio, che per altri regala emozioni serene, può trasformarsi in un incubo.
Quando dico che la nostra vocina “non va mai in vacanza” intendo esattamente questo: l’ansia legata all’organizzazione comincia con l’idea stessa di partire e non termina al ritorno, ma continua a pesare anche nella vita di tutti i giorni.
Già dal momento della decisione emergono i primi segnali del suo dominio:
“Come farò in un paese che ha una cucina diversa da quella che mi rassicura a casa? Come farò a seguire i compagni senza poter dire di no? Dobbiamo prenotare un appartamento con cucina, l’hotel è da escludere, perché la mia alimentazione deve restare il più possibile uguale a quella quotidiana. Vabbè, sono solo cinque giorni, ce la posso fare. Ma che ansia questo cibo che mi circonda: lo vedo ovunque”.
Il pensiero malato scatta subito come un allarme: “Ma davvero pensi di poter andare in giro per il mondo e riuscire comunque ad ascoltarmi, facendo ciò che ti dico io?”.
Quando programmiamo qualcosa a medio-lungo termine, spesso fingiamo di ignorare dubbi e paure, che emergono quando la data X si avvicina: la decisione ci costerà cara, provocherà un livello di disagio estremo, impedendoci di vivere l’esperienza con serenità, e il tormento esploderà più forte.
Eppure, sappiamo che viaggiare è la scelta giusta, perché risveglia in noi un’emozione più autentica e profonda di quella malata. Perciò, dobbiamo permetterci di ascoltare la nostra anima.
Organizzare un viaggio è una strategia che utilizziamo per mettere a tacere la malattia. Non ci verrebbe mai in mente di fare qualcosa sapendo che non vincerebbe lei. Se invece dentro di noi sboccia questa idea, significa che sta vincendo il nostro Io e il coltello dalla parte del manico ce l’abbiamo noi. Stiamo scegliendo di prenderci cura di noi stess*, spint* dal desiderio di costruire reali e solidi ricordi, diversi dagli ordini perfezionistici a cui siamo costrett* di continuo.
L’esperienza del viaggio è anche gastronomica
L’essenza del viaggio è anche l’esperienza gastronomica: la cucina locale è tra le attrazioni turistiche più quotate. In ogni angolo del mondo il cibo è una necessità naturale comune, ed è l’unica certezza che troveremo ovunque. Non importa in quale Paese voleremo: il cibo sarà sempre parte dell’esperienza.
“E se mi venisse voglia di qualcosa di diverso? Se al supermercato non trovassi ciò che desidero? vendono le cose che voglio io? Gli altri non vedono l’ora di fermarsi a fare uno spuntino tipico, o di uscire a colazione, pranzo e cena, godendosi il pasto come un momento rigenerante per il resto della giornata. Io, invece, vorrei che questa parte sparisse”.
Camminare in un campo minato
Queste sono solo alcune delle sfaccettature che compongono un DCA. La vocina malata ci abbindola e inganna, facendoci credere di volerci fare compagnia per non lasciarci sol*. Ma il luogo sconosciuto diventa un campo minato: ad ogni passo dobbiamo stare attent* a dove mettere i piedi, perché le bombe possono esplodere. Dobbiamo muoverci lentamente e con cautela, ma al tempo stesso essere veloci per non distrarci. Sarebbe un crimine da ergastolo senza possibilità di libertà vigilata cedere alla tentazione di scontrarsi con lei. Non esiste neppure uno sconto di pena per buona condotta. La “buona condotta” che allevia la nostra pena non è quella che lei pretende: per lei significa soltanto continuare ad obbedirle.
Ma se continuiamo a seguire le sue imposizioni, ci condanniamo ad una cella stretta affollata, osservat* dalla sola ed unica telecamera di videosorveglianza in un carcere di massima sicurezza, rovinando e deludendo il bisogno di felicità e libertà.
Qualche strategia per viaggiare con un DCA
Non dobbiamo allarmarci: c’è sempre qualcosa che possiamo fare per vivere l’estate in modo più sereno e non trasformarla in un incubo.
Ecco alcune strategie che possono aiutare:
- Indossare ciò che fa stare bene: scegliamo vestiti comodi, che ci fanno sentire a nostro agio. Non importa se fuori fa caldo e la scelta più ragionevole sarebbe indossare capi freschi: ciò che conta è sentirsi liber* e seren* dentro i propri abiti senza vagare tra i brutti pensieri.
- Esplorare con anticipo i ristoranti della zona. Può essere utile dare un’occhiata ai ristoranti della zona con un po’ di anticipo per familiarizzare con ciò che troveremo, magari insieme ai compagni di viaggio, così da abituarci all’idea e arrivare più tranquill*. In questo modo potremo decidere sul momento con più leggerezza lasciando spazio alla mente di godersi la compagnia. In questo modo, anche gli altri, essendo maggiormente coinvolti, sapranno meglio come aiutarci supportando le nostre esigenze facendoci sentire protett*.
- Portare qualcosa presente nella nostra quotidianità: se lo si desidera, possiamo mettere in valigia qualche snack o alimento che ci piace per gli spuntini della giornata. In questo modo, con l’appoggio degli altri, potremmo alleviare la pressione e avere una piccola certezza che fa stare bene.
- Anche se questo non avere il controllo totale sulle proprie scelte (e soprattutto su quello che si troverà poi nel piatto) può sembrare una sconfitta, è in realtà un grande segno di forza: riuscire a fidarsi degli altri e affidarsi agli altri. La fiducia può diventare un elemento di forza nei momenti più difficili.
- Utilizzare gli strumenti appresi durante il percorso di cura. Portare con noi una lista scritta di piccole strategie da mettere in pratica può aiutare nei momenti più delicati. È un grande passo ricordare che i nostri strumenti sono una grande risorsa.
- Condividere con i compagni di viaggio: parlare con genitori, amici o chi ci accompagna è fondamentale per partire più sereni. Esplicitando paure e bisogni e chiedendo di evitare commenti inopportuni aiuterà a non sentirci sol* ed incompres*.
- Confrontarsi con la propria équipe di cura. Prima di partire, può essere importante parlarne con i propri medici e terapeuti per avere consigli pratici e decidere insieme se è il momento giusto di partire, trovando soluzioni adeguate ad affrontare le diverse situazioni.
L’articolo è stato scritto da Ilaria e Camilla, volontarie dell’Associazione