I disturbi alimentari sono in crescente aumento e colpiscono persone sempre più giovani. Con la Professoressa Francesca Turtulici, docente di Disegno e Storia dell’arte, abbiamo discusso il rapporto che sussiste tra queste patologie e la scuola. Può il sistema scolastico aiutare coloro che soffrono di DCA? In che modalità?
Secondo lei, l’ambiente scolastico odierno e le figure professionali che operano al suo interno sono sufficientemente consapevoli riguardo al tema dei Disturbi Alimentari? Sanno cioè quali effetti e conseguenze possono avere su chi ne soffre a livello non solo fisico ma psico-sociale?
Credo che oggi l’ambiente scolastico nella sua interezza, costituito da docenti, psicologi, dirigenti, genitori e dagli stessi studenti, debba ancora prendere piena consapevolezza della gravità e della progressiva estensione del fenomeno dei DCA tra gli adolescenti. Il dato statistico che li attesta, secondo l’OMS, come seconda causa di morte tra i giovani, non ci ha ancora fatto riflettere abbastanza sull’emergenza che i nostri ragazzi stanno vivendo in questi anni, in cui subiscono il contraccolpo dell’isolamento e dell’annullamento delle iniziative di coinvolgimento sociale dovute alla recente pandemia.
Siamo portati a pensare che il disagio adolescenziale, al di là dei fattori propriamente peculiari di questa età evolutiva dell’individuo, sia dovuto in gran parte a fenomeni di bullismo, cyberbullismo e violenza psicologica tra pari. E giustamente le iniziative scolastiche di sensibilizzazione su questo tema si moltiplicano. Ma ci stiamo dimenticando che l’uso errato dei social network, degli smartphones e dei messaggi pubblicitari che arrivano dai media (non solo dal web), oltre a portare a fenomeni di violenza psicologica e purtroppo sempre più fisica tra i giovanissimi, sta lentamente stravolgendo anche la percezione che essi hanno di sé stessi e del proprio corpo. Un corpo spesso costretto a dover crescere troppo in fretta per adeguarsi alle assurde richieste del mondo circostante, e spesso deriso, svalutato e maltrattato, soprattutto nei casi di quegli adolescenti, sia femmine che maschi, che non riescono a stare “al passo coi tempi”.
I DCA sono solo un aspetto del fenomeno di “desacralizzazione del corpo” diffuso tra i più giovani (e non solo) in questo momento storico. Penso che sia arrivato il momento di trasmettere ai nostri studenti, oltre all’amore e al rispetto per la conoscenza e la cultura, anche quello per il proprio corpo e per quello altrui. Questo però è possibile solo attraverso la collaborazione con figure professionali specifiche ed esperte, quali psicologi, sessuologi, psicoterapeuti, nutrizionisti, e naturalmente con l’aiuto dei genitori. Figure che siano in grado di rendere cosciente l’intero ambiente scolastico delle gravi conseguenze psicologiche, sociali e relazionali della negazione o la sottovalutazione dei Disturbi Alimentari.
Può il contesto scolastico, inteso come compagni di classe e docenti, essere un fattore di rischio per chi soffre di disturbi alimentari?
Credo che esso possa costituire un rischio quando il corpo docenti e i compagni di classe non sono adeguatamente informati e formati sull’argomento. L’ignoranza e la tendenza a sottovalutare determinati fenomeni può portare a conseguenze gravi e in alcuni casi irreversibili. E purtroppo spesso la superficialità e l’incapacità di comprendere circola anche tra gli insegnanti, non solo tra gli studenti…
La minimizzazione di un problema o di un comportamento allarmante manifestatosi a scuola potrebbe contribuire ad alimentarlo. Servono pertanto informazione continua per gli adolescenti ed una formazione mirata ad hoc per i docenti.
In che modo può essere invece un fattore di protezione?
Il contesto scolastico può invece costituire un ambiente protetto quando, come già detto, viene attivata una sensibilizzazione e formazione specifica per tutti coloro che ne fanno parte. Può addirittura costituire un ambito in cui tali problematiche possono emergere, senza pregiudizi, e magari trovare un principio di risoluzione.
Secondo lei, il programma annuale di Scienze Motorie ha degli elementi che potrebbero essere rimossi o inseriti per poter facilitare la costruzione di un rapporto sano con il proprio corpo e l’attività fisica?
Essendo una docente di Disegno e Storia dell’Arte, conosco a grandi linee il programma ministeriale di Scienze Motorie previsto per le scuole superiori.
In ogni caso, da quanto ne so, sono previsti in teoria moduli relativi all’educazione alimentare, al linguaggio e all’espressività corporea, ai paramorfismi e dismorfismi. Tralasciando il fatto che spesso molti argomenti teorici di tale disciplina vengono sacrificati a favore della pratica e di attività sportive concrete in palestra, anche per l’esiguo numero di ore curricolari, ritengo opportuna la necessità di insistere sempre di più su argomenti quali i disturbi di dispercezione corporea, i codici di comunicazione e di linguaggio non verbale dell’individuo, il concetto teorico di armonia corporea e di benessere, evitando di insistere sul concetto di peso e di corpo ideale. Inoltre inserire nel programma delle attività pratiche anche esercizi di yoga, danza, bioenergetica, potrebbe aiutare ragazze e ragazzi a migliorare ed approfondire la conoscenza del proprio corpo e delle sue potenzialità, spesso sacrificate a favore del lavoro “di squadra”.
Per quanto concerne la mia disciplina, che inevitabilmente ha a che fare con l’estetica e l’immagine, è possibile trovare molti, interessanti ed efficaci spunti di riflessione e ricerca. Questi sono perfettamente collegabili con il programma disciplinare previsto.
Con quali strumenti/strategie, un docente, a suo parere, potrebbe contribuire a creare un ambiente scolastico che sia inclusivo, non sia discriminante e favorisca perciò il dialogo tra studenti e insegnanti?
Gli strumenti per rendere inclusivo e non discriminante un ambiente scolastico sono a mio parere numerosi e variegati. Innanzitutto l’atteggiamento del docente con gli studenti, fin dal primo ingresso in aula, dovrebbe essere aperto e disponibile. Questo permette di non creare un’atmosfera di competitività e rivalità tra gli studenti, bensì un ambiente in cui l’adolescente può sentirsi libero di esprimersi e di affrontare problematiche anche delicate, se non con i coetanei, almeno con i docenti.
Gli studenti hanno bisogno di percepire che comprendiamo il loro mondo più di quanto essi non credano, che siamo esseri umani anche noi, con le nostre fragilità di adulti, che il docente è sicuramente un’autorità ma anche un educatore su cui possono sempre fare riferimento. Ci sono poi molte strategie didattiche che si possono adottare per sensibilizzare gli studenti alla tematica dell’inclusione, dei Disturbi alimentari, dell’uso corretto dei social media, etc. Tra questi ci sono dibattiti, attività collaborative e cooperative tra pari, l’invito di esperti e figure professionali extrascolastiche specializzate.
Tale ambiente inclusivo è auspicabile e possibile però solo se ogni docente, di ogni materia, accetta di fare la sua parte e di dedicare una piccola parte del suo tempo in classe, indipendentemente dal numero di ore curricolari di lezione, ad affrontare tematiche basilari per la crescita e la maturazione psicofisica dell’individuo. Tematiche che spesso non è possibile studiare sui libri, ma che occorre affrontare con urgenza, ora che le menti e la personalità di questi adolescenti si stanno formando. Ora che loro sono in una fase di vita così delicata e allo stesso tempo così fertile e ricca di possibilità.