Isolamento sociale e Disturbi Alimentari: la prigione silenziosa

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Per chi soffre di un Disturbo del Comportamento Alimentare (DCA), la mente può trasformarsi in una prigione intricata, popolata da paure, ossessioni e ansie che limitano ogni scelta. Questa complessa mappa mentale spesso porta a un progressivo isolamento sociale, alimentando ulteriormente il disturbo.

Ossessività e isolamento sociale

Piano piano, tendiamo a non utilizzare più il nostro pensiero razionale, lasciando sempre più spazio a quella voce interiore che si fa via via più forte e insistente. La voce della malattia che ci porta all’isolamento sociale.

“Studi condotti dall’istituto A.T. Beck hanno evidenziato come l’associazione tra Disturbi Ossessivo Compulsivi (DOC) e Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) si attesti intorno al 60% e tra il 14% e il 30% per il disturbo di personalità ossessivo-compulsivo.”

La malattia può prendere il sopravvento sulla nostra parte logica, influenzando profondamente il nostro rapporto con il cibo e con tutto ciò che ci circonda. A volte, per paura di affrontare situazioni legate al cibo che potrebbero crearci disagio e farci stare male, tendiamo a isolarci. Evitiamo la compagnia di amici, familiari, nuove conoscenze e le esperienze di gruppo. In sostanza, la battaglia estenuante contro i pensieri ossessivi divora energie e allontana dalla gioia di vivere.

La ragione principale per cui i disturbi alimentari spesso si presentano insieme a disturbi ossessivo-compulsivi risiede nel fatto che la malattia influenza sia la sfera psicologica che il rapporto con il cibo. Per questa stretta connessione, il disturbo viene definito psiconutrizionale.

Questa intensa attività mentale e la crescente influenza della “voce” interiore possono portare a un’ulteriore forma di allontanamento: la disconnessione interiore.

Disconnessione interiore

La vita di tutti i giorni è piena di sorprese, decisioni da prendere e sfide da superare. A volte, per difenderci da possibili delusioni o sofferenze, tendiamo a staccarci dalla realtà. Questa disconnessione può portare all’isolamento non solo dagli altri, ma anche da noi stessi, perché smettiamo di ascoltare le nostre vere emozioni.

È vero, la tentazione di rifugiarsi in un mondo ovattato, lontano dalle asperità della vita, può apparire come la soluzione più immediata. Disconnettersi sembra una via di fuga comoda e indolore. Eppure, è proprio varcando quella soglia, accettando di sentire il peso delle nostre fragilità, che si schiude l’accesso più autentico al nostro io.

Solo immergendosi in quella parte di noi che soffre e ha paura, possiamo davvero comprenderne le radici e iniziare a curarla. Il dolore è un’ombra ineludibile dell’esistenza, e la nostra reazione istintiva è spesso quella di evitare, di scappare dalla realtà costruendo barriere intorno a noi.

Prigioniero del giudizio: il Disturbo Alimentare e la paura degli altri

Il mio disturbo alimentare ha reso difficili le mie relazioni sociali. Sento una profonda inadeguatezza, non tanto per il mio aspetto fisico, quanto perché percepisco gli altri come superiori e sento di dovermi giustificare con loro. Così so cosa significa “isolamento sociale”.

Questo disturbo mi ha trasformato rapidamente, al punto che fatico a ricordare chi ero prima. Eppure, una parte di me ha sempre saputo di avere un rapporto problematico con il cibo. Solo crescendo ho acquisito consapevolezza del mio corpo e di ciò che mangiavo. Dentro di me ho lasciato crescere e ho nutrito una voce interiore che ormai condiziona ogni mia decisione. È una presenza costante, in ogni singolo momento, che mi genera ansia e i cui pensieri ossessivi finiscono per soffocare qualsiasi altra emozione o pensiero io possa avere. Mi sento quasi posseduto da questa voce, come se mi costringesse a fare la sua volontà. Chi vive un’esperienza simile sa quanto sia estenuante e difficile opporsi a essa

Come ben espresso in un articolo dell’Altra Medicina “l’anoressia, bulimia, BED e altri disordini alimentari parlano di identità spezzate, di relazioni interrotte, di un conflitto tra chi siamo e chi crediamo di dover essere. Il cibo diventa simbolo, sintomo, linguaggio: una risposta a un vuoto, a un trauma, a una mancanza.”

Insieme contro la “Vocina”

Amo la solitudine, ma l’esperienza del ricovero mi ha insegnato quanto sia importante circondarsi di persone che comprendono o rispettano il mio bisogno di stare solo.

Sentirsi compresi e non soli nella propria battaglia fa una grande differenza. Per questo, ho scelto di diventare volontario di Animenta, che ringrazio per avermi dato la possibilità di raccontarmi e di aiutare chi vive o ha a che fare con i disturbi alimentari.

Vi incoraggio a circondarvi di persone che vi amano per quello che siete e che rispettano la vostra individualità. Cercate e offrite conforto: fa bene sia a chi lo riceve che a chi lo dona. È un modo potente per contrastare quella “vocina” interiore e renderla sempre più silenziosa.

Sapete, questa prigione silenziosa dei disturbi alimentari… la conosco. Quelle sbarre fatte di pensieri ossessivi e paure ti fanno sentire così sol*, tagliat* fuori da tutto e persino da te stess*. Quella “vocina” nella testa, lo so, può diventare un tormento, toglierti le forze e allontanarti dalle persone che ti vogliono bene.

Ma c’è una cosa importantissima che voglio dirti: non sei sol* in questo. So che a volte sembra un’affermazione vuota, ma credimi, riconoscere che stai soffrendo, che ti senti fragile, e aprirti a chi ti capisce davvero (quelle persone che ti amano per come sei, senza giudicarti) può fare una differenza enorme. 

Non è una sconfitta chiedere aiuto o cercare conforto, anzi, è un atto di grande coraggio. È un modo per nutrire la tua parte più vera e, piano piano, far tacere quella “vocina” che ti fa stare male. Insieme, si può trovare la luce per uscire da questo buio e tornare a vivere davvero.

L’articolo è stato scritto da Giuseppe, volontario dell’Associazione

Contenuto a cura di Animenta

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