A 16 anni mi sono ammalata di anoressia. Negli anni successivi mi sono chiesta e mi hanno chiesto, diverse volte, che cosa significhi (per davvero) soffrire di Disturbi del Comportamento Alimentare. Ci ho messo quasi 5 anni per rispondere a questa domanda, e ancora oggi, che di anni ne sono passati 7, non so se la risposta possa essere corretta. Per provare a darvi la mia risposta, vi racconto prima un episodio che è successo diversi anni fa:
Mi stavo quasi per addormentare quando in TV sentii parlare di anoressia. Qualcuno disse che l’anoressia è un fantasma che ti si annida nella mente.
Rimasi ferma, quasi bloccata a pensare a quelle parole. Mi scese una lacrima. Avrei voluto urlare.. perché l’anoressia, la bulimia, il bingo eating, i disturbi alimentari non sono nella mente. Sono ovunque. Nello stomaco, nella mente, nel cuore. Un disturbo alimentare lo senti sulla pelle. L’anoressia io l’ho vissuta e sentita in ogni sua sfaccettatura sulla mia di pelle.
Lo senti quando ti addormenti e cominci a toccare il tuo corpo. Cominci a chiederti se tu abbia mangiato troppo durante il giorno, cominci a dirti che domani dovrai evitare il pane, che domani dovrai andare a correre fino a quando non sentirai la fatica fin dentro le ossa.
Lo senti quando ti alzi e ti guardi allo specchio. Osservi il tuo riflesso e analizzi il tuo corpo. Io l’ho fatto e continuo a farlo e forse lo farò per sempre. Mi alzo la magliette e controllo la mia pancia, la controllo come se le potesse capitare qualcosa, come se da un giorno all’altro potesse scomparire, (Magari sta pensando la mia mente), o per meglio dire, potesse gonfiarsi.
Un disturbo alimentare lo senti nel tuo sguardo e in quello degli altri.
Per favore, smettiamola di dire che i disturbi alimentari sono dei semplici capricci.
Grazie alla pagina Instagram dell’Associazione, @animenta_dca, abbiamo chiesto ad alcune ragazze/i che cosa significasse per loro aver sofferto di un disturbo del comportamento alimentare. Ecco le loro risposte, che sono pezzi di un puzzle che racchiude le loro storie.
‘Soffrire di un DCA è come avere sempre un compagno di vita addosso, che ti sussurra cose.
All’inizio pensi che sia un compagno buono, che voglia farti felice. Invece no: è lì per distruggere la tua vita. Non puoi liberartene, è dentro la tua testa. Il disturbo ti tiene legato a sé perché senza il tuo corpo, senza il tuo spazio non può esistere e tu non vuoi abbandonarlo perché ti fa quasi pena, perché non vuoi mettere fine a una parte di te.
Vivere con un DCA è come vivere in una relazione tossica con se stessi.‘
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Vuol dire esser divisi a metà, senza più una realtà, bensì due: ci sei tu e c’è Lui. Non riesci più a fidarti né di te stesso, né dei tuoi cari. “Almeno Lui sa cosa desidero nel profondo, me lo ripete in continuazione, è sicuro di sé, è l’unico mio punto fermo, vuole ch’io abbia ciò che ho sempre desiderato”, pensi, giorno dopo giorno. E ci credi, ci credi sempre di più, ti ci aggrappi, ti fidi; ma ancorarsi all’albero maestro su di una nave in balia della tempesta non ti salverà la vita e non le impedirà di affondare.
Per quanto ci provi, Lui sarà sempre un passo avanti. Come Achille con la tartaruga, non lo raggiungi mai. E come una sirena, Lui ti ammalia, ti soggioga con promesse che manterrà, noncurante della tua incolumità, a qualunque costo. Si ingozza dei tuoi pensieri, dei tuoi ricordi, della tua volontà, del tuo coraggio, tracanna tutto come fa un vampiro con il sangue…
E ti prosciuga.
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Soffrire di un DCA significa perdersi e difficilmente ritrovarsi. È non avere il controllo su stessi perché è lui che in realtà controlla te. Da quando entrerà nella tua vita, lui sarà sempre al tuo fianco, ti accompagnerà e non ti lascerà mai solo.
È odiare il proprio corpo, così tanto da nutrirlo fino allo sfinimento, riempiendolo con ciò di cui lui non avrà realmente bisogno. Ed è una guerra fatta di continue battaglie contro se stessi, in cui nella maggior parte dei casi ne esci sconfitto, perdendo ogni volta una parte di te, fino ad arrivare a non riconoscere più chi sei.
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Soffrire di DCA vuol dire convivere con un’ombra. Vuol dire essere schiavi di un qualcosa che regola la tua vita, a suo piacere.Guardarsi allo specchio e vedere un’immagine che vorresti vedere ma che non c’è, che vorresti raggiungere, ad ogni costo, senza pensare alle conseguenze.
Rifugiarsi dietro l’ombra ma che continua a camminare sempre ad un passo avanti a te.
Odiarsi, perennemente. Non piacersi. Avere i pensieri intrappolati in una perfezione che non esiste.
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Per me ha significato misurare il mio valore, la mia autostima e le mie capacità sulla base del mio aspetto fisico.
Ha significato limitarmi, credere di non essere abbastanza, sentirmi inferiore. E ho colmato tutto questo dolore attraverso il cibo che sembrava essere il mio unico amico. L’unico che, apparentemente, nel breve termine, mi dava la soddisfazione e il piacere che io non riuscivo a provare.
Quando ho capito che un disturbo alimentare non c’entra molto col cibo (che era solo un mezzo per comunicare quanto stessi male), ho iniziato a lavorare su me stessa. È un lavoro quotidiano, ma è bello poter dirigere la mia crescita e il mio miglioramento.
I disturbi alimentari sono malattie mentali che attraverso il corpo mostrano agli altri la sofferenza dell’anima.
Perché una malattia mentale non la comprendi se non la vivi sulla tua pelle, perché trovare qualcuno che ti accompagna o che ti capisca è come dire di aver imparato ad andare in bici senza, però, avere mai tolto le rotelle.
Questo articolo nasce perché c’è bisogno di sapere e di fare capire che i Disturbi Alimentari non sono mai stati e mai saranno dei capricci.
Questo articolo racconta parte delle loro storie e delle loro emozioni.
Ognuno vive le sue esperienze secondo il proprio essere, i propri modi di agire e i propri pensieri.
E’ importante chiedere aiuto e saper chiedere aiuto. Sempre.
È importante sapere che da un Disturbo Alimentare si può guarire. Diamo al nostro corpo, alla nostra mente e alla nostra anima il tempo di cui ha bisogno.