Quando ho capito che la possibilità di controllare il cibo e il mio corpo mi avrebbe fatto sentire incredibilmente potente ero praticamente ancora una bambina.
Avevo 14 anni e stavo trascorrendo le mie vacanze al mare, in Sicilia, come tutte le estati. Ma quell’estate fu diversa. Quell’estate diventai grande talmente in fretta che non me ne resi neppure conto.
«Da domani facciamo gli addominali e la corsetta tutte le mattine»
«Sì, e a pranzo basta pasta e fritti: una fetta di pane, insalata, tonno e via!»
E così, da un semplice accordo tra cugine, cominciò tutto.
Dopo qualche mese iniziai a vedere i risultati, ma la soddisfazione più grande arrivò l’estate successiva, quando proprio lì, dove nascosta dietro a un pedalò avevo scoperto che per il ragazzino per cui avevo una cotta ero “quella cicciona”, tutti iniziavano a complimentarsi con me e finalmente ad apprezzarmi. Non ero più la cugina di serie B.
Tutto filava liscio finché ad un certo punto mi resi conto che mancava ciò che formalmente mi aveva da poco resa una donna a tutti gli effetti: il ciclo mestruale. Da qui iniziò un iter infinito di visite mediche, un percorso con una psicologa che terminò prima ancora di cominciare ed entrai per la prima volta nel piccolo reparto in cui una serie di dottoresse avrebbero fatto il possibile per riacciuffare il mio ciclo mestruale facendomi recuperare i chili persi. Un tira e molla con il mio corpo durato anni. Anni di passi avanti e ricadute, di studio forsennato e traguardi importanti. Anni di «guarda che forse stai dimagrendo troppo» sempre accompagnati dal retropensiero «tutta invidia». Anni in cui il mio rapporto disfunzionale con il cibo e il mio tentativo di controllare ogni minimo cambiamento del mio corpo hanno assunto sempre di più la forma di una strategia di sopravvivenza, una coperta di Linus che ho sempre tenuto lì accanto a me, mentre i giorni scorrevano uno dopo l’altro.
Poi quella coperta è diventata troppo stretta, e i giorni hanno iniziato a non passare più.
Oggi ho 26 anni, e ho capito che quei chili non avrei mai potuto recuperarli allora.
E l’ho scoperto quando un giorno ho varcato la porta di un posto speciale in cui una persona altrettanto speciale mi ha detto che no, il mio peso non è dato unicamente dai miei chili. In quello stesso posto, che con il passare dei mesi è diventato un riparo sicuro contro le intemperie, ho guardato per la prima volta il mio rapporto con il cibo, ho riconosciuto la sua importanza e ho iniziato a prendermene cura. Un passo dopo l’altro ho iniziato a rallentare e ho scoperto che ciò che mangiamo interagisce con noi, che i suoi colori, la sua forma, la sua consistenza ci dicono qualcosa di ben preciso.
E che quando penso alla pizza la mia salivazione aumenta vertiginosamente.
Quella persona speciale mi accompagna ancora oggi ed è la mia psicoterapeuta.
Sono ancora in cammino e spero di non smettere mai di camminare, perché è camminando che ho imparato a piangere, a sorprendermi, a perdonarmi e ad aspettarmi.
Note: Questa storia, così come ogni altra presente sul nostro sito, è stata scritta direttamente da Sonia che consapevole dell’importanza che le parole possono avere ha aggiunto una nota a piè di pagina: spero che il modo in cuinon risulti troppo diretto o “crudo” in alcuni punti. Cerco di non parlare di cibo/quantità ecc. perché so che può rappresentare un trigger, stessa cosa per le misure legate al corpo. E perché fondamentalmente non è ciò che mi/ci interessa. In questo caso l’ho fatto perché è una storia vera, come tutte le altre, e secondo me l’autenticità porta chi legge a riconoscersi. E trovo che il fatto di riconoscersi nel dolore di un’altra persona, di scoprirsi simili, sia uno strumento super potente. Ho cercato di essere fedele a quello che è l’obiettivo: infondere speranza e fiducia (essendo sincera). Spero di esserci riuscita 🙂