Nel mondo di oggi bisogna fare i conti con tante malattie tra cu i disturbi alimentari. Non è facile, se ne parla troppo poco e in maniera superficiale. Con facilità ci si permette di giudicare sull’aspetto fisico, senza pensare a quanto le parole possano fare male in tante situazioni. Non avendo un disturbo alimentare non posso nemmeno immaginare quanto sia doloroso e difficile vivere questa malattia, quindi appunto non mi permetto di giudicare.
Nonostante io non soffra di un disturbo alimentare, il rapporto con il corpo è sempre stato particolare perché ti ritrovi a fare i conti con i canoni della società, impostati da non so chi e che cambiano poi ogni tot di anni, ridefinendo il concetto di bellezza. Sono sempre stata normopeso, con un fisico definito in termini scientifici “ginoide”, anche se da piccola non mi piaceva molto perché mi faceva sembrare sempre più “grossa” delle altre. Non era assolutamente vero. Sorgeva sempre però un sentimento di invidia e gelosia nei confronti di quelle bambine che erano molto magre. Una delle mie migliori amiche dell’epoca era stata vittima di bullismo e aveva iniziato a non mangiare più. Lì era scattato il terrore in tutti i genitori, soprattutto nei miei, visto che con questa bambina passavo la maggior parte dei pomeriggi.
Non ho mai fatto restrizioni alimentari durante il periodo dell’adolescenza, fidandomi del mio metabolismo che è sempre stato abbastanza veloce. Poi al liceo ho iniziato a starci più attenta, riuscivo a stare fino all’uscita di scuola alle 14 senza mangiare, considerando che la mia concentrazione è stata sempre bassa, figuriamoci come potevo seguire le lezioni. Questa cosa succedeva spesso, non sempre. Se rimanevo a mangiare fuori e mangiavo un pezzo di pizza, non è che mi sentivo in colpa, però poi a cena ci stavo più attenta.
Per un periodo, vittima di tutte le sciocchezze che leggevo su internet, non mangiavo più carboidrati la sera; barrette kellogg’s a colazione/merenda; gallette e crackers al posto del pane; pasta nemmeno l’ombra. La me di oggi, quasi nutrizionista, un po’ se ne vergogna.
Ovviamente ero dimagrita, sgonfiata, io ero soddisfatta, mia mamma un po’ meno.
Anche questo però è stato un periodo, non la normalità.
Quando mi sono lasciata con il mio primo ragazzo a 15 anni mi è crollato il mondo addosso, a quell’età il primo amore finito sembra letteralmente la fine di tutto. La voglia di fare qualsiasi cosa era meno di zero, anche la voglia di mangiare. Era estate, i miei genitori ancora lavoravano, io e mia sorella avevamo ritmi diversi e non ci incrociavamo molto. Mangiavo poco, riuscivo a fare un misero pasto al giorno e poi rimangiare il giorno dopo, in pochi giorni avevo perso diversi chili, nessuno se ne era accorto e io, nonostante il malessere per la rottura con il mio ragazzo, era soddisfatta del mio corpo. Pensavo che almeno quella fosse una “gioia” e potevo mettermi quello che mi pareva e andare al mare senza problemi. Quando andai in vacanza, li ripresi quei chili, tra i vari commenti della gente “mamma mia, quanto sei dimagrita” o “dovresti mangiare di più”.
Per un’estate ho lavorato in un centro estivo, orario dalle 7.30 del mattino fino alle 18, tutto il giorno in piedi e non mangiavo nemmeno tanto: tra il caldo e il lavoro, la fame passava. Anche lì diversi chili persi e mi sentivo proprio bene con il mio corpo. Finito quel periodo ritornai nella norma.
All’università anche c’erano periodi di alimentazione più ristretta in cui pranzavo con una mela o cercavo di portarmi il pranzo da casa per evitare di comprarlo al bar e altri momenti in cui mangiavo senza farmi troppi problemi.
Ho sempre alternato periodi di leggera restrizione e periodi in cui ci pensavo meno.
L’attenzione sull’aspetto fisico c’è sempre stata, concentrandomi più sull’alimentazione che sulla palestra. Non ne sono mai stata un’assidua frequentatrice. Quando ci andavo chiesi ad un personal trainer come sarei potuta dimagrire e lui mi disse alcuni consigli da seguire. Adesso ho i brividi, per la richiesta che al tempo gli feci e per quello che lui ha detto a me.
Ora ci penso il giusto, anche se spesso l’occhio mi cade sullo spazio tra le cosce. Mi suscita una sensazione di ansia mangiare davanti alle persone, soprattutto persone che non conosco e persone di sesso maschile. Non saprei nemmeno capire il perché, forse perché devo far vedere che non mangio tanto e che una ragazza non possa mangiare quanto un ragazzo. Non lo so, anche se sto cercando di capirlo.
Recentemente c’è stato un episodio che mi ha fatto riflettere sull’importanza delle parole: una ragazza della mia età con cui ho lavorato mi disse “tu sei anoressica, non mi entreranno mai i tuoi pantaloni”. Questa è una frase che a me ha fatto male non perché soffro o ho sofferto di un dca, m perchè quella frase è stata detta con superficialità, senza cattiveria, ma anche senza averci pensato minimamente. A me ha fatto male, figuriamoci ad una persona che ne ha sofferto quanto avrebbe potuto far male.
Da questo mi rendo conto come questo tema sia poco affrontato, di quanto sia un mondo sconosciuto per molti, di quanto sia importante far capire alle persone quanto le parole possano far male, di quanto è importante il lavoro di sensibilizzazione su questi temi molto delicati. La maggior parte delle persone sono ignoranti in materia, non nel senso che non sono istruite, ma nel senso che non li conoscono, li ignorano appunto. Non sanno il mondo che c’è dietro, la quantità di persone che ne soffre e la quantità di persone che ci lavora. Bisognerebbe parlare più di educazione alimentare e disturbi alimentari piuttosto che dell’ultima dieta fatta dai vip per dimagrire.
Questa non è la storia di una ragazza con disturbi alimentari, è la storia di una ragazza che in certi momenti fa fatica a trovare l’equilibrio con il proprio corpo.