È sempre difficile cominciare a raccontare di me e del mio disturbo alimentare che da anni mi tiene stretta a sé, illudendomi di garantirmi protezione e sicurezza, di aver bisogno della sua presenza per sentirmi forte.
Perciò inizierò a presentarmi partendo dalla me senza la malattia, slegata da quella parte che tiene
prigioniera. Quella parte alla quale mi conformo ormai totalmente al punto da riconoscermi solo in relazione ad essa.
Mi chiamo Ylenia Laterza, ho 20 anni e sogno di diventare un’attrice professionista. Ho sempre avuto
moltissimi interessi nella vita, ragion per cui amo sperimentare attività di ogni tipo e intraprendere qualsiasi opportunità interessante e costruttiva che mi si pone davanti.
Mi piace l’arte, lo sport, la lettura, la scrittura, la cucina, stare tra la gente ed esplorare il mondo. Penso di essere infatti affetta da quella che viene definita come la sindrome di Wanderlust, quella malattia di cui soffre chi ama viaggiare, per cui al ritorno di ogni viaggio non mi sento mai sazia e appagata se non ripartendo nuovamente per altri luoghi.
La mia casa è nel mondo. Sono una ragazza solare, intraprendente e determinata. Vivo servendomi del sorriso come arma per sconfiggere i problemi e la negatività che mi circonda, cercando di impartire questa medicina omeopatica anche agli altri.
Arriva però un certo punto nella mia vita, più precisamente all’età di 14 anni, all’epoca frequentavo la prima superiore, che si affaccia Lei alla porta della mia esistenza.
Dapprima entrando silenziosamente, quasi in punta di piedi, cercando di manipolarmi con parole dolci,
soavi e lusinghiere, fino ad arrivare a imporre il proprio dominio in maniera tirannica e dittatoriale. Io ho
lasciato che entrasse, ho lasciato che si prendesse il potere, il controllo della mia intera vita senza opporre resistenza. Mi faceva sentire invincibile, sicura, convivevo con questa inseparabile, fasulla e ingannatrice compagna, silenziosamente.
Col passare degli anni mi ha portato via tutto, compreso lo splendido sorriso di cui mi servivo per affrontare il mondo. L’ha reso sempre più fievole, più spento, affaticato. Ciò che però non
mi ha tolto sono i miei sogni, i miei affetti, le mie passioni, i miei obiettivi e il forte desiderio di vita a cui mi aggrappo con tutta me stessa nel percorso di guarigione per riuscire a ritrovare la strada quando diviene sempre più difficile intravedere una luce e tutto si fa più confuso e cupo.
Non sopporto e non ho mai sopportato la gente troppo realista e concreta, diffido della validità delle loro visioni e affermazioni perché prive di creatività, speranza e leggerezza. Mi piace invece guardare i bambini e come affrontano la vita in modo spontaneo, spensierato e allegro perché per loro tutto è possibile, tutto è reale se ci credi davvero.
Mi fanno ricordare di crederci sempre, di confidare nei sogni e accudirli con cura, di combattere per ciò che voglio diventare perché mai nulla è perso. E di saperlo fare con ancora più forza quando di forza sembri non averne più.
Mi piace definirmi come un funambolo in equilibrio su un sottilissimo filo che giorno dopo
giorno si logora sempre più , fino ad arrivare a spezzarsi del tutto e facendolo così sprofondare in
un’immensa voragine nera. Cambiare le sorti del funambolo è possibile, ma solo quando nel momento della caduta dispiegherà le sue ali e spiccherà il volo.
La storia è stata scritta da Ylenia, volontaria dell’Associazione, che ha raccontato la sua storia