Animenta racconta i disturbi alimentari – La storia di Ilaria

“Ammettere di avere un problema è il primo passo per affrontarlo, e la forza sta proprio nel riconoscere di averne uno e combatterlo”.

Questo è sempre stato ciò che i miei genitori mi hanno detto, sin da bambina. Sono sempre stata una ragazza perfezionista, e sono sempre stata abbagliata dal voler dare il meglio di me in tutto ciò che facevo.

Non sono mai stata brava a guardarmi dentro, né tanto meno ho mai ascoltato i consigli dei miei genitori, che, sin da quando ero piccola, hanno cercato di farmi comprendere che essere concentrata esclusivamente su me stessa mi avrebbe condannato ad una vita triste, trascorsa in solitudine.

Perché sì, per me esistevo solo io, io mi bastavo. Gli altri li allontanavo, sin dai primi anni di vita. Ricordo a tal proposito gli anni delle elementari e delle medie; è stato un meccanismo di difesa dovuto anche alla paura, perché mi sono sempre sentita troppo. Troppo intelligente per essere capita dai miei stessi coetanei, troppo sensibile per affrontare il mondo, mi sono sempre sentita troppo e basta.

Troppo ingombrante e mai abbastanza.

Così sono cresciuta tra mille insicurezze e con una grande paura di deludere la mia famiglia.

Il loro pensiero su di me ha sempre avuto più importanza, ha sempre prevalso sul mio di pensiero, che ancora non avevo ben chiaro quale fosse.

Non riuscivo ad avere un’idea di me, semplice e definita. Probabilmente ciò che mi mancava era un’identità. Non credo di averne mai posseduta una.

Così era e così è stato.

Non mi sono mai sentita protagonista di un qualcosa, ma mi sono sempre sentita esclusa, messa da parte, spettatrice delle vittorie altrui.

Non ho mai riconosciuto di avere un carattere difficile, incompatibile con gli altri, con il mondo.

“Io sono fatta così”.

È ciò che ripetevo costantemente a me stessa e ai miei genitori.

Loro, intanto, preoccupati, mi dicevano che sarei rimasta da sola se non avessi cambiato atteggiamento, ma a me non importava.

Li sentivo invadenti, mi tormentavano.

Io andavo bene così, e se agli altri non andavo bene pazienza, andavo bene a me stessa.

Andando avanti con gli anni, la differenza tra me ed i miei coetanei è diventata sempre più evidente.

Sono sempre stata la classica ragazza “seria”, brava a scuola, ma, per, via del mio carattere, mi sono sempre sentita estremamente sola. Non mi sentivo capita da nessuno. Pensavo molto, troppo forse per la mia età.

Io desideravo essere vista, guardata, ammirata.

Volevo essere desiderata, voluta, amata.

Ma mi sentivo in trappola in un corpo che non mi consentiva di esprimere a pieno me stessa ed i miei stati d’animo.

Troppo grande per contenere le emozioni così forti di una ragazzina. Non mi sentivo al sicuro dentro di lui, non riuscivo a non mostrare la mia estrema fragilità.

Non mi restava che assumere quell’atteggiamento serioso che poco si addiceva ad una ragazzina.

Io, un esserino piccolo, debole e fragile, mi trovavo in un corpo già fin troppo maturo per l’età che avevo. Volevo era solo sentirmi amata ed avere la costante conferma che a qualcuno, sul serio, importasse di me.

Ma io dovevo contenermi, non potevo mostrare le mie fragilità.

Allo stesso tempo non riuscivo a fidarmi in nessun modo delle persone a cui però, a quanto mi dicevano, importava di me. A cominciare dai miei genitori.

Ecco, dunque, perché non accettavo di avere un problema.

Fatto sta che i miei pensieri mi hanno sempre accompagnata durante tutta la mia adolescenza ed io sono sempre stata una ragazza troppo riflessiva; aggiungerei, particolarmente riflessiva.

La mia mente è sempre stata quel luogo sicuro in cui trovavo rifugio dalle intemperie e dalle difficoltà della vita quotidiana. Era tutto ciò che avevo. Era casa.

E proprio lei mi ha ingannata silenziosamente, mi ha arrecato dolore e sofferenza, fino a portarmi alla distruzione fisica e psicologica.

Ma io, nonostante tutto, mi sono sempre fidata di lei, mi sono fidata ciecamente.

Non saprei come spiegarlo.

È stato tutto frutto di un processo psicologico avvenuto velocemente nell’arco di poche settimane, nell’ottobre del 2020. Ero solo una ragazzina di quindici anni quando hanno iniziato a manifestarsi i sintomi della mia anoressia. Qualcosa di estremamente potente, all’apparenza quasi incontrollabile stava crescendo dentro di me. Non so se dietro ad essa si nascondesse il desiderio ossessivo di essere amata o la paura di fallire e di non sentirmi “abbastanza”.

Quel corpo in cui mi trovavo non rispecchiava ciò che sentivo dentro di me e anche se ancora non ne ero cosciente, ciò che posso affermare, ad oggi, è che quel corpo, ero proprio io.

È arrivata insieme alla nuova stagione.

Ha inaugurato la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno. Ed ha portato con sé una boccata d’aria.

L’ho accolta, convinta che lei mi avrebbe amata più di chiunque altro. Non avrei più sofferto, con lei al mio fianco.

Mi sentivo al sicuro, ero diventata invincibile. Avevo tutto sotto controllo, riuscivo a controllare le mie emozioni. Le avevo chiuse nella parte più profonda di me stessa ed avevo gettato via la chiave.

Le avevo messe a tacere.

Per sempre, o almeno, volevo che fosse così.

Ero diventata fredda, distaccata, irritabile. Mi dicevano che ero sempre giù, che non sorridevo mai.

La verità? Io mi sentivo estremamente forte.

Non sentivo di star male, ero diventata insensibile a qualsiasi dolore fisico. Ed era in questo che risiedeva la mia forza.

Ho vissuto così per due anni, e nel frattempo la mia anoressia si è fortificata. Giorno dopo giorno.

Fino ad avere il controllo persino della mia mente.

A prevalere su di me. Perché, tra le due, quella forte era lei. Mi ha fatto credere di essere qui per me, di volermi aiutare, di voler essere mia amica, di volermi stare accanto, ma invece ha messo a tacere la vera me, quella bambina che è stata messa al mondo per amore dei suoi genitori, la ragazzina con emozioni, sentimenti e voglia di vivere. Con tanta fantasia e sogni nel cassetto. È riuscita a spegnere il mio sorriso.

Io sono caduta nel suo tranello, mi sono persa nel suo labirinto e lei ha preso il sopravvento su di me.

Ero in trappola e non riuscivo a trovare la via d’uscita.

Avevo smarrito me stessa.

Ero diventata un automa nelle sue mani. Stavo sprofondando in caduta libera nel suo vortice.

Non ne sarei mai uscita.

Per troppo tempo mi sono aggrappata al dolore, fino a sfiorarlo con un dito. 

Era lui che mi teneva in vita ed io non riuscivo a non procurarmi sofferenza fisica.

Mi dicevano che solo con un percorso dentro la mia sofferenza avrei ritrovato me stessa.

Ed infatti così è stato.

Mi sono aggrappata all’unico spiraglio di luce che vedevo dinanzi a me, ho ricordato la bambina che ero, i sogni che le ho portato via, i segni che le ho lasciato sulla pelle.

Quella bambina aveva voglia di vivere, non potevo lasciare che qualcuno si impossessasse definitamente della sua anima, piccola e fragile.

Ero già distrutta dentro. Ed i segni erano irreversibili.

Ma all’improvviso qualcosa, dentro e fuori di me, si è spezzato.

I meccanismi di controllo che avevo costruito si sono improvvisamente inceppati.

Ti risvegli da un lungo sonno e senti le voci dei tuoi genitori. Urlano e piangono perché temono di perderti. Non sai chi sei, ma soprattutto non sai dove sei.

Vedi solo davanti a te un briciolo di luce e di speranza che risiede negli occhi delle persone che ti amano.

Questa volta decidi di fidarti ciecamente.

Piangi dentro di te, sei distrutta, lacerata. In fiamme.

Ma sei grata alla vita per ciò che ti ha dato.

Non c’è nulla di cui avere paura, stai solo cercando di ritrovare te stessa.

Ciò che mi ha tirato su dal fondo è stato l’istinto di sopravvivenza. Ho scelto di salvare me stessa da un mostro che mi stava prosciugando e così ho scelto di vivere, ed ho scoperto, quasi inaspettatamente, che al di là della paura c’è un sole bellissimo.

Lasciate che la vita entri dentro di voi, e non vi pentirete mai di aver scelto voi stessi.

Con affetto,

Ilaria

“Mi trascino sul fondo da sola, in caduta libera, potrei fermarmi, gridare aiuto, ma il dolore mi tiene in vita. L’anoressia è stata il mio ‘io voglio’, spiazzante e grandioso. L’unico. Il solo che potessi pronunciare”.

L’articolo è stato scritto da Ilaria, volontaria dell’associazione, che ha raccontato la sua storia

Contenuto a cura di Animenta

PASTA DI SEMOLA DI GRANO DURO LUCANO

Rasckatielli

Pasta Secca 500g

Ingredienti: Semola di Grano Duro Lucano del Parco Nazionale del Pollino, Acqua.

Tracce di Glutine.

Valori Nutrizionali

(valori medi per 100g di prodotto)

Valore energetico

306,5 kcal
1302 kj

Proteine

13,00 g

Carboidrati

67,2 g

Grassi

0,5 g

Prodotto e Confezionato da G.F.sas di Focaraccio Giuseppe
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